La penna degli Altri 22/03/2010 09:44
Krieziu e quel pianto sul treno per Napoli

In un angolo del salotto, su un comodino in legno cera una foto del settembre del 1942 che ritraeva la consegna della coppa dello scudetto che era in mano al presidente Bazzini circondato da tutti gli atleti di quella Roma. La foto era assolutamente inedita come tanti dei racconti che quel giorno Krieziu riversò nel mio registratore. Iniziò così, con la sensazione di un privilegio che mi veniva concesso, la conoscenza di un uomo che ho approfondito nel corso degli anni con periodici incontri. La storia damore con la Roma non si era mai conclusa, quella professionale era invece finita su un treno diretto verso Napoli, quando la Società lo aveva dovuto cedere: «Non mi vergogno a dirlo, su quel treno mi disse ho pianto, perché proprio non volevo lasciare la Roma». Ascoltavo quelle parole e capivo quanto grande fosse lo spessore morale di questa generazione di atleti. Krieziu raccontava in un modo fresco e spontaneo con unimmediatezza che mi sorprendeva per lironia e lefficacia. Fino a che rimarrò su questa terra potrò raccontare di aver camminato assieme a lui, ai bordi del perimetro di quello che una volta era Campo Testaccio.
Ad un certo punto si fermò e mi disse: «Da quel lato cera la tribuna, proprio in quel punto quando debuttai un tifoso mi urlò: Aho ma se po sapè come cavolo te chiami?. Mi fermai e mi misi a ridere battendogli le mani. Fui sommerso dagli applausi. Non lo scorderò mai». Neanche io lo scorderò mai, camminavo allombra del Monte dei Cocci e mi sforzavo di imprimere nella mia memoria i colori, i suoni, il volto di Naim. Nel 2007 accompagnai Krieziu e suo figlio Marco ad incontrare Ennio Morricone. Doveva nascerne un pezzo di dialogo tra un tifoso illustre e il campione della sua giovinezza. Morricone aveva fortemente voluto quellincontro e sembrava ansioso di venire a patti con quelle che erano le sue memorie di bambino: «Ricordo che lei era di una velocità spaventosa
ma come faceva?». Krieziu rispose con un sorriso: «Facevo i 100 metri in 11 secondi, ma sa, io venivo dallatletica leggera». Non aveva mai superato la beffa di essere stato accantonato dalla guida della Roma dopo aver ricevuto formale promessa di restare alla guida della squadra nella stagione 64/65. La parola data per lui era sacra. A maggio del 2009, Marco e Naim Krieziu mi hanno fatto lennesimo grande regalo intervenendo alla presentazione del libro che avevo realizzato sullo scudetto del 1942. Un volume che sulla copertina aveva proprio quella foto che nel 1992 avevo ammirato nella mia prima visita.
La freccia di Tirana, come ieri ha titolato in maniera perfetta il Romanista, è ora in cielo e io cerco inutilmente un modo efficace per chiudere questo mio racconto. Mi torna in mente allora un trafiletto della Gazzetta dello Sport del luglio del 1942 che documentava linteressamento dellAmbrosiana per la giovane ala albanese della Roma. Lui mi disse che di proposte ne erano arrivate molte, ma che aveva sempre risposto allo stesso modo: «Se non disturbo a me piacerebbe restare». Sulla scrivania infinitamente lontana mi osserva una sua immagine scattata il 18 gennaio 1942. Quel giorno, scrisse Bruno Roghi: «Le reti di Krieziu allAmbrosiana hanno voltato come
uno schiaffo la faccia della partita». E della storia.