La penna degli Altri 09/02/2010 10:35
Ranieri profeta in patria
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A Valencia, Claudio preparò la pappa a Hector Cuper, capace di balzare in sella a due finali di Champions. A Londra, gettò le basi del Chelsea moderno, salvo poi essere scartato da Roman Abramovich per fare posto a José Mourinho: non proprio la stessa visione del mondo. Eppure la scoperta di Frank Lampard, che allepoca militava nel West Ham, fu un «colpo» di cui ancora oggi Ranieri va fiero. E pazienza se dal «suo» Chelsea, corretto ma non stravolto, Mourinho avrebbe ricavato un paio di titoli, i primi dopo mezzo secolo. È la vita. Nel 2004, quando ancora allenava i blues, Claudio arrivò a un pelo dalla finale di Champions: quella che poi avrebbe vinto il Porto di Mourinho (e dai). Semifinale di andata, Monaco-Chelsea: sulluno pari, Meier caccia il greco Zikos, e con gli avversari in dieci Ranieri effettua il più logico dei cambi, dentro Hasselbaink, una punta. Morale: 3-1, ma per il Monaco di Deschamps. Che, al ritorno, gli impone un avventuroso e fatale 2-2.
Ranieri è fatto così. Seminatore, non raccoglitore. Le sue squadre non mordono: graffiano. Chi non sogna di allenare la Juventus? A Claudio la offrono in coda a Calciopoli, dopo lunica retrocessione della storia e la relativa promozione. La Juve politicamente più anoressica. Un grissino, al confronto dei panettoni milanesi. Gli inglesi ne hanno apprezzato la signorilità e il pragmatismo. Lo chiamano «tinkerman», laggiustatore, lartigiano che cambia e ricambia la foggia del suo vaso. Viceversa, per gli juventini diventa sarcasticamente il «cantante», che alla musica di Xabi Alonso ha preferito il chiasso di Poulsen. Corsi e ricorsi, Ranieri allenava la Fiorentina quando, il 4 dicembre 1994, si presentò al Delle Alpi, andò sul 2-0 e, naturalmente, perse 3-2. Il gol del sorpasso venne realizzato da Alessandro Del Piero, col quale avrebbe poi baruffato in altri tempi, probabilmente più maturi, decisamente meno fausti.
Sono i Chievo a metterlo in crisi, le triplette dei Pellissier più che le diavolerie degli Ibrahimovic. Dicono di lui: è un debole. Falso. «Se volete che faccia giocare Del Piero in quanto simbolo della Juve, allora perché non Boniperti?». Oppure, nellurbe: «Tutti sanno come gioca Totti, anche i sassi. Francesco si regoli». Francesco si è regolato. E contro la Fiorentina, in capo a 45 di litigante nulla, è stato «licenziato» in tronco. Monsieur Blanc lo sbolognò a due giornate dal termine, quando la Juve, in discesa libera, era comunque terza. Rosella Sensi lha recuperato a inizio stagione, due sconfitte e ciao Spalletti, ciao calcio-champagne. Claudio non ha trovato macerie, ma neppure circoli di boy scouts. Nei momenti in cui tutto girava storto, ha appeso la squadra al muro delle responsabilità: abbasso i merletti, evviva il gioco duttile e pratico, De Rossi un po più avanti, Pizarro un po più indietro, e preferibilmente una spalla al Pupone. Alé.
Attorno alla sua filosofia, e al motto che meglio di tutti la riassume - «camaleonte solido»: un calcio, cioè, più racconto che poesia, più mimesi che ambiguità - Ranieri ha addobbato di coppe e coppette la sua vetrina e il suo commercio, dal Napoli del dopo Maradona (dopo, appunto) al Parma di una salvezza insperata e del boom di Giuseppe Rossi. Con tanto di Juventus-Roma 1-2, «io, quelli lì (i dirigenti) non li saluto». Con tanto di Mourinho che, per scherno, gli aveva gonfiato gli anni fino a settanta e rotti. E con la solita etichetta appiccicata sulla valigia: il migliore dei ripieghi. Che barba.