La penna degli Altri 15/02/2010 10:19

La storia lo racconta la Lazio non esiste



Il primo comprende la grande maggioranza degli appassionati della Lupa, ed auspica una retrocessione

della Lazio
, possibilmente all’ultima giornata su autorete decisiva di uno dei baldi atleti tesserati da Lotito. Nella seconda schiera, decisamente minoritaria, abbiamo i buonisti, quelli che per dirla alla Enzo Jannacci: «Speriamo che la Lazio si salva, poi arrivano a casa e stappano una bottiglia di Don Perignon per bagnare il “B day” ». Esiste però, ed è questo lo scopo autentico del mio articolo, un terzo fronte, elitario, che coinvolge i “primi tra pari” dell’universo romanista. Questa fazione pretende di dimostrare al di là di ogni ragionevole

dubbio che la Lazio non esiste. Non si tratta di una boutade o di un tentativo di sfottò estremo. Non ci riferiamo, cioè, al vecchio adagio secondo cui in undici stagioni la Lazio è mancata all’appello della serie A e dunque non esiste. Il nostro ragionamento muove da diversi rilievi di carattere storico.

Il 6 giugno 1927, presso la sede della Lazio, si svolse l’incontro finale tra i rappresentanti dell’Alba, della Fortitudo e del club biancoceleste per cercare di assorbire gli aquilotti nella fusione che avrebbe dato vita alla Roma. Si trattò di un proforma, operato ad uso e consumo delle alte gerarchie del partito, per dimostrare che sino all’ultimo si era fatto di tutto per dare osservanza al clima di “concordia fascista” che si voleva imporre alla nazione. Italo Foschi, però, badate bene, non prese parte a quell’incontro. Voleva dimostrare, anche simbolicamente, che la presenza o meno della Lazio non spostava di una virgola l’eccezionale rilievo della nascita di un sodalizio che prendeva, davanti agli occhi del mondo, il nome di AS Roma. Con quel gesto,

consapevolmente, Italo Foschi ha azzerato la storia quasi trentennale della Lazio, l’ha privata, di fatto, di una propria autonomia. La Lazio e il laziale, da quel giorno vivono sul presupposto dell’antiromanismo.

Non mi ha sorpreso leggere che in un ideale museo bianco-celeste, si vorrebbe ospitare una maglia del Liverpool. “Loro”, esistono solo in funzione della contrapposizione con la Lupa. Di più, “loro”, dal 7 giugno 1927 hanno smesso di esistere.

La Roma, richiamandosi nel nome ad un impero millenario ha privato la Lazio di una reale ragione di essere e pochi anni più tardi, l’ha privata anche del giocatore simbolo, . Non c’è stato Sclavi, né Piola, né Wilson che tengano il confronto, Bernardini, a metà degli Anni Venti era la Lazio, il suo volto per i tifosi biancocelesti valeva più di una bandiera, era un’incisione nella pietra che recitava: “IO SONO!”. Ed ecco che nel 1928 Fulvio passa alla Roma, ma non basta, immediatamente si vota alla maglia che indossa, completamente. Bernardini è stato la Lazio, ma quando la Roma ancora non c’era … nata la Lupa, spontaneamente, le si è votato. Il passato dimenticato, bruciato … tanto che Fulvio nei primi anni del suo passaggio alla Roma, nei derby rifiutava persino di farsi fotografare con i vecchi compagni.

La Roma ha avuto il potere di cancellare l’identità della Lazio, di disarticolare le sue radici, renderle vaghe, fragili. Negli anni a venire, come una maledizione, non c’è stata una bandiera di questa società che abbia sopravvissuto al tempo. All’inizio degli Anni 70 sembrò che Giorgio Chinaglia fosse riuscito a ridare alla Lazio la consapevolezza di se stessa. Ricordate il dito alzato di Giorgione sotto la ? Quel dito era un urlo

di identità: “Ci sono … esisto … sono davanti e contro di voi … sono la Lazio!”. Un manifesto potente, ed anche i romanisti cedettero che veramente la Lazio, avesse trovato la sua identità.Fu però un fuoco di paglia, nella stagione 1974/75 l’anno successivo al titolo, Chinaglia, dopo i due derby persi bruciò le maglie sculettate. In quel falò iniziò ad andare in fumo, nuovamente, l’identità ritrovata della Lazio, capace di consumarsi, fino ad incenerirsi, nel peso di una rivalità, che la storia non le permette di sostenere. Chinaglia completò poi l’opera fuggendo negli Stati Uniti e i suoi periodici ritorni si sono abbattuti sulla Lazio come una calamità rovinosa, rischiando di cancellarla per sempre dal calcio professionistico.



Verso la fine degli Anni 90 una terza incarnazione della Lazio tentò nuovamente di affermare la propria esistenza. Un nuovo scudetto, le coppe, tutto inutile, alla prova del nove, a cancellare anni di vittorie bastò l’autorete di Negro. Il popolo biancoceleste sprofondo in una crisi d’identità aggravata dallo scudetto della Roma, sino a toccare il vertice in quel derby in cui Alessandro Nesta, il capitano dello scudetto, chiese di lasciare il campo non reggendo più il confronto con Delvecchio. Quel giorno, ancora una volta, la Lazio iniziò a chiedersi: "chi sono?". Quel giorno, ancora una volta si dimostrò  che la Lazio non c’era. Non esisteva.