La penna degli Altri 22/02/2010 09:03

La sporca dozzina non molla un palmo

Erano quattordici quei punti a fine ottobre, quando i giallorossi persero per l’ultima volta in campionato, sul campo dell’Udinese. Da allora, quindici risultati utili di fila, e sette vittorie nelle ultime sette giornate, una rimonta irresistibile sulla ricca e viziata capofila, un abisso scavato via via tra sé e le concorrenti per la zona-, Milan escluso.

Un capolavoro che ora non è più folle pensare possa concretizzarsi di qui al 16 maggio. Sarà durissima, paradossalmente – ma nemmeno troppo – non dipenderà solo dalle strabilianti risorse dei giallorossi, però ci si può provare. La determinazione, la voglia e anche la lucidità del gruppo romanista sono quelli giusti, il resto si vedrà nei prossimi tredici appuntamenti.

Manca ancora una vita, mannaggia. Ma intanto sappiamo che la Roma che pareva non finire mai è ricominciata subito, nell’occasione ideale: a ventiquattro ore dal terzo pareggio consecutivo di un’Inter che non sa più vincere e contro l’avversario giusto, il Catania di troppi scempi al Cibali, dell’orrido digì Lo Monaco, dell’antipaticissimo Mihajlovic. Al serbo, in particolare, le squallide provocazioni della vigilia sono tornate come un boomerang sul faccione. Poteva risparmiarsi l’inelegante uscita su , che gli ha replicato a dovere, speriamo che il suo pronostico iettatorio si rovesci al cento per cento: “La Roma non batterà il Catania – aveva detto sabato – e non vincerà lo scudetto”. Bene, bravo, bis.

La Roma al contrario il Catania lo ha battuto più nettamente di quanto dica il risultato finale, firmato da una nuova prodezza di quel Vucinic finalmente diventato insostituibile, scacciando dubbi e insicurezze dalle nostre capocce di tifosi (e commentatori) sempre all’eccesso: giovedì notte era bastata una battuta a vuoto, dopo diciassette vittorie e tre pari, per farci temere chissà quale tracollo. E’ l’inizio di una mini-crisi, aveva azzardato addirittura qualche portasfiga alla Mihajlovic.

Crisi un corno. La Roma ieri era piena di assenze pesantissime: da e Toni al magnifico Pizarro, dall’acrobata Giulietto Sergio a Mexes, che in questa à vorrebbe mettere le radici e non merita certo di dover fare così spesso i conti con i delinquenti che tormentano lui e la sua splendida famiglia.

A quanti li hanno sostituiti, a partire da Doni, rispettato dal pubblico dell’Olimpico alla faccia degli ignobili (e inascoltati) appelli di qualche presunto capopopolo, per arrivare a Cerci, che nell’arco di tre giorni ha forse imboccato definitivamente la strada della maturità. Per sovrammercato, la squadra, certo non rincuorata dal passo falso conosciuto contro il Panathinaikos, era stremata: venerdì mattina – questa è la coppa Uefa, bellezza – s’è svegliata ad Atene, due giorni dopo s’è ritrovata davanti lo sguardo allucinato di Sinisa.

Ebbene, gettandosi alle spalle tutti i suoi problemi, la straordinaria sporca dozzina di Ranieri non ha mollato un pallone, un palmo di terreno, un’occasione. Non ci rompano le scatole, adesso, con la carenza di grandi giocate (a parte i lampi di Vucinic e Cerci, la sontuosità di Juan e la feroce concretezza di ), con i pochi tiri scagliati contro Andujar (serve recuperare la forza del duo To-To, là davanti), con la sofferenza finale peraltro curata dalla rabbiosa caparbietà della Bestia, capace di tenere in scacco da solo tutto il Catania, piantando le unghie per minuti e minuti attorno alla bandierina al confine tra la Montemario e la Sud. Abbiamo occhi anche noi, l’abbiamo visto l’affanno di una squadra che aspettava come una liberazione l’ultimo fischio dello sciatto Bergonzi.

Solo che noi, a differenza di tanti analisti che camuffano le proprie speranze per seri pronostici, sappiamo pesare la qualità vera di certe prove. E per questo confessiamo senza remore il nostro entusiasmo per il risultato di ieri. Che porta ovviamente tre punti, ma a conti fatti potrebbero valerne sei. Sì, perché in una sfida come quella che s’è srotolata sull’orrida erba dell’Olimpico, tra ciuffi di broccoletti e cime di rapa, il rischio di inciampare era enorme. Oltre che per i nostri citatissimi guai, per colpa della più che discreta organizzazione di quella squadra argentina curiosamente iscritta al campionato italiano, capace due settimana fa di infilare come polli Zarate e compagni, e magari anche a causa dell’ennesimo fenomeno da fischi per fiaschi: difficile, anche in mezzo alla malinconica èra- Collina, trovare interpreti avvilenti come Bergonzi, da ribattezzare non a caso Bergonzo, per questioni di rima baciata.

La partita, più intensa che spettacolare, è cominciata in effetti con un Catania sorprendentemente predisposto al possesso-palla, ben distribuito sul campo, arroccato con caparbietà davanti ad Andujar (niente male il lungagnone Spolli). La Roma, che Ranieri aveva rovesciato come un calzino, l’ha scardinata con il gran gol di Vucinic, splendido nell’impattare al volo di piatto, stavolta davvero con il killer instinct del bomber e poi ha provveduto soprattutto a controllarla, trovando via via confidenza in un assetto esaltato dalla buona volontà di tutti. Detto di Cerci, che ha disputato la sua più bella partita da titolare con la maglia della Roma, costruendo con Cassetti (assai più efficace di Motta in fase difensiva) una strepitosa catena di destra, difficile pensare va qualcuno che abbia tradito le aspettative.

Dove non si è arrivati con la tecnica pura, che peraltro a questa squadra di certo non manca, si è arrivati con il cuore, con la disperata voglia di compattarsi, di correre per lo stesso obiettivo, di tirare l’anima coi denti. Anche a costo di urlarsi dietro qualche insulto, come hanno fatto e Vucinic. Magari potevamo augurarci un Menez più pratico, ma di certo l’abbiamo trovato molto più concentrato di altre volte. Magari potevamo sognare un Riise di nuovo scardinante con le sue incursioni: ma è ovvio che, per quanto bionico, anche il norvegese debba respirare un po’.

Doni in compenso non ha sbagliato una mossa, anche se oggettivamente protetto a meraviglia da Juan e compagni, e nel finale persino Faty ha saputo rendersi utile, mentre Baptista ci ha ricordato di essere un titolare della Seleçao, cavando dai suoi muscoli un quarto d’ora abbondante di impegno feroce. Questa è la Roma, amici cari, la Roma di Claudio Ranieri, cinquanta punti (tutti suoi) in classifica e un istinto da pompiere per il quale dovremmo abbracciarlo. Meglio pensare al Panathinaikos, poi al e continuare a volare bassi, per ora. Tanto ormai in alto ci siamo arrivati.

Basta guardare quella fantastica classifica che da ieri sera fa impazzire noi e quell’altro simpaticone di Mourinho. Magari per ragioni leggermente opposte, crediamo.