La penna degli Altri 16/02/2010 10:33

Jolly Scaratti, la beffa di Strasburgo e la staffetta ideale con Ranieri

vi passavano davanti. E’ una vecchia foto in bianco e nero della stagione ’56-’57, con la squadra Primavera,

al torneo di San Remo, mentre festeggia alzando la coppa.
In basso a destra, un giovanissimo (e magrissimo) Giorgio Rossi, al suo primo anno nei ranghi tecnici della società. In piedi, il presidente D’Arcangeli e l’allenatore Masetti, mentre, tra i giocatori, si riconoscono due ragazzi che avrebbero – ognuno a suo modo – lasciato un segno vestendo la maglia giallorossa: a sinistra, accosciato, Alberto Orlando, classe 1938, centravanti e ala destra della Roma già nella stagione successiva e poi dal ’59 al ’64, e Francesco Scaratti, di qualche mese più giovane (è nato il 19 febbraio del ’39), che – pur crescendo nelle giovanili giallorosse – avrebbe fatto il suo esordio in prima squadra soltanto nella stagione ‘67/’68 (a ventotto anni suonati!), con Oronzo Pugliese in panchina, e dopo aver a lungo peregrinato tra Siena, Ferrara, Mantova, Verona e aver giocato nella Capitale con Romulea e Tevere Roma. “Torrimpietra”: così lo chiamavano i tifosi, dal nome del paese alle porte di Roma in cui è nato, ma anche per l’idea di durezza e “rocciosità” che suggeriva e che lo contraddistinse lungo tutto l’arco della carriera. Il ruolo? Fondamentalmente, quello del jolly. Un vero e proprio tuttofare. Scaratti poteva giocare terzino, mediano, mezz’ala o tornante, e rivelarsi sempre prezioso. Come di fatto fu, in quei primi anni ’60 in cui le sostituzioni erano ancora di là da venire. E, quando ci si infortunava, si rimaneva comunque in campo. Magari spostati all’ala sinistra, dove, seppure si era di poco aiuto, perlomeno non si facevano danni (anche se non mancavano i “gol dello zoppo”, come quello di Giacomino Losi contro la Samp, che gli valse il soprannome di “Corederoma”, ndr). 

Fu proprio dalla stagione ‘67-’68 che si aprì la possibilità di portare in panchina un di riserva (il “12”). E dall’anno successivo anche il numero “13”, che, non a caso, doveva poter essere un giocatore eclettico,

insomma un jolly a tutti gli effetti. Fu così che la duttilità e la poliedricità di Scaratti divennero, oltre che

preziose, anche proverbiali.
Basti dire che ci fu addirittura chi, come Paolo Mazza, allenatore della Spal (nelle

cui file Francesco esordì in serie A il 2 ottobre del 1960), si convinse di poterlo utilizzare come centravanti,

per via di quel tiro potente anche se non supportato da particolari doti tecniche (anche i suoi “stop”, infatti,

sono rimasti altrettanto proverbiali). Sette anni alla Roma: 122 presenze in campionato, con 8 gol, più le 22 partite giocate in Coppa Italia, con 2 reti, e le 21, sempre con 2 gol, disputate in competizioni europee. Su tutte, quella che nel ricordo dei tifosi, resta forse la rete più significativa, anche se resta associata ad una beffa: è quella segnata in Polonia, nei supplementari della semifinale di ritorno di Coppa delle Coppe contro il Gornik Zarbrze. In campo, con lui, anche Capello e Spinosi, che con Landini sarebbero passati alla al termine della stagione. L’andata, a Roma, era finita sull’1-1, con le reti di Salvori e Banas. Quel giorno – era il 15 aprile del ’70 – la Roma, a Katowice, era andata in vantaggio proprio con Capello, che aveva ribattuto in rete il rigore paratogli dal . Il pareggio arrivava solo al 90’, su rigore, con Lubanski, che nel primo tempo supplementare raddoppiava. A sei minuti dal termine il 2-2 di Scaratti, da cui la beffa: la regola del valore doppio ai gol segnati in trasferta valeva solo se questi erano realizzati nei 90 minuti regolamentari. Ci fu anche chi uscì per le strade a festeggiare, mentre purtroppo si rendeva necessario lo spareggio. La storia è nota: una settimana dopo, a Strasburgo, fu ancora 1-1. Ancora con Lubanski e Capello. Con la sorte affidata per l’ultima volta alla monetina (la qualificazione attraverso i calci di rigore sarebbe infatti entrata in vigore proprio dopo quella sfida). Le immagini televisive non risparmiarono un ulteriore scorno: dopo il lancio (con Peirò che – si racconta – scelse “testa”, contro le indicazioni di Helenio Herrera che voleva “croce”), si videro infatti esultare i giocatori in maglia bianca, quella della Roma. Peccato che, nel frattempo, le due squadre se le fossero scambiate.

Non erano, del resto, anni fortunati, per la Roma. Scaratti vi riuscì a vincere una Coppa Italia, nel ’69, e un Torneo Anglo-Italiano, nel ’72. L’ultimo anno di Francesco Scaratti alla Roma è il ‘73/’74. Un anno di

cambiamenti, anche nelle regole, che sembrano tagliare fuori “Torrimpietra”, come se – a trentaquattro anni

– avesse ormai fatto il suo tempo o fosse comunque il testimone di un calcio, questo sì, d’altri tempi. Non è

un caso che proprio da quella stagione, pur restando possibile la sostituzione di un giocatore più il ,


la panchina si estende, quasi timidamente, al “14”. Su quella della Roma arriva Manlio Scopigno, che vi resterà sei sole giornate prima di lasciare il posto a Nils Liedholm, mentre la rosa viene sottoposta ad una radicale trasformazione: se ne vanno Bet, Franzot, Salvori e Mujesan e arrivano Paolo Conti, che prenderà spesso il posto di Ginulfi, ma anche Pierino Prati e Angelo Domenghini, oltre a Batistoni e a Negrisolo. Intanto, trovano sempre più spazio, provenienti dalla Primavera, Francesco Rocca e, con un anno di meno, Agostino Di

Bartolomei e Bruno Conti. In difesa, a competere per un posto e a togliere quindi chance a Scaratti, anche un altro giovane, appena un po’ più grande, che in quell’anno giocherà 6 partite prima di emigrare altrove, in attesa di tempi migliori. Il nome? Claudio Ranieri.