La penna degli Altri 16/01/2010 09:38

Juan: «Sono rinato: voglio le coppe e il terzo posto»



Un’ora abbondante di chiacchierata che ci ha confermato l’impressione di un ragazzo che sa quello che vuole, un professionista vero, un campione a cui Dunga non rinuncerebbe mai, uno nato calciatore, «a diciassette anni ero già un professionista» , un uomo legatissimo alla famiglia e al suo Brasile, un leader che non ha bisogno di tante parole per esserlo. Anche se lui dice che parla poco. Sarà, ma a noi non è sembrato.



Sta per cominciare il girone di ritorno. Come giudica la prima parte della sta­gione della Roma?

«L’inizio è andato male, malissimo. Era­vamo in crisi. Poi però siamo cresciuti e siamo arrivati vicini alla zona , che è il nostro obiettivo. Ora sia­mo in corsa e possiamo provare fino in fondo a conquistare il terzo-quarto posto».

Quali possono essere le avversarie nel­la volata?

«Ci sono tante squadre e sono tutte lì, in pochi punti. e , ad esem­pio. In teoria siamo avvantaggiati ma dob­biamo stare concentrati per raggiungere l’obiettivo. La ci manca: è dif­ficile far passare il martedì, il mercoledì sapendo che devi giocare giovedì in Euro­pa League. Noi calciatori eravamo abitua­ti alla e la Roma ha le qualità per stare in ».

Dovesse scegliere tra la qualificazione alla e la conquista dell’Euro­pa League?

«Dico tutt’e due. La nostra rosa è attrez­zata per correre per entrambi i traguardi. Anzi, per tre, perché c’è anche la Coppa Italia che consideriamo molto importan­te ».

Presto non avrete più Julio Baptista, che ormai è dell’Inter.

«Mi dispiace che vada via. E’ brasiliano, è un campione, è un amico. Ma credo che questo affare possa accontentare tutti: la Roma, l’Inter e Julio, che ha una nuova op­portunità professionale e umana».

In compenso è arrivato Toni. Se lo aspettava così forte?

« Me lo aspettavo perché lo conoscevo bene, l’ho seguito anche quando giocava in Germania. E’ un grande attaccante e ci darà una grossa mano. Ha già fatto vede­re contro il Chievo le sue qualità».

A Trigoria potrebbero presto sbarcare altri due brasiliani: Simplicio e Azevedo.

«Simplicio è bravo, lo conosco da molto tempo. Non posso dire che lo prenderei, perché non ho abbastanza soldi... Però si­curamente è un buon giocatore. Su Azeve­do invece non mi pronuncio, è giovane e l’ho visto poco. Se dovesse venire, comun­que, lo accoglieremmo a braccia aperte e lo aiuteremmo a inserirsi. Ma non mi pia­ce parlare di giocatori che potrebbero es­sere acquistati per rispetto dei miei attua­li compagni. Sono questioni che riguarda­no la società».

Sembrava potesse arrivare anche Adriano alla Roma.

«Non conosco la sua situazione. Se fosse venuto alla Roma sarebbe sicuramente stato utile, perché è un grande attaccante. Ma da tifoso del Flamengo ( ride, ndr) mi sarebbe dispiaciuto perderlo...».

La Lazio invece sta seguendo Rever, di­fensore centrale del Gremio.

«Non conosco bene neanche lui. Ma ho sentito dire che è bravo».

A proposito di mercato, anche Juan ha tante richieste. Resterà alla Roma?

«Non sono più un ragazzino. Quando ho cominciato a fare il professionista, a 17 an­ni, avevo molti sogni. Ora invece penso al­le questioni pratiche: ho un contratto fino al 2013 e penso solo alla Roma. Sia io che la mia famiglia viviamo molto bene a Ro­ma. Mi piacerebbe vincere qualcosa qui».

Si è parlato di un forte interessamento del Real Madrid.

«Non ho mai avuto contatti con nessuno. Né con il Real Madrid, né con altre socie­tà ».

La Roma peraltro la considera incedibile. Soprattutto adesso che i problemi fisi­ci sembrano finiti.



«Ci tengo a chiarire questa storia, per­ché mi hanno disturbato certe voci. Due anni fa, proprio in questo periodo, ho avu­to un infortunio alla caviglia destra (in una partita di Coppa Italia contro il Torino, ndr). Da quel momento ci sono stati mille infortuni muscolari all’altra gamba per di­fetti di postura: questo mi creava una no­tevole tensione al flessore sinistro. Pensa­vo che i problemi fossero dovuti ai musco­li, visto che non sentivo più dolore alla ca­viglia, e invece no. Era sempre quella ca­viglia. Devo ringraziare le persone che mi hanno aiutato a superarli, lo staff medico della Roma ma in particolare il fisiotera­pista Gigi Novello, che ha scoperto l’origi­ne dei miei problemi, mi ha dato sicurez­za e li ha risolti».

Sono cambiate tante altre cose da quan­do Ranieri è il suo allenatore.

«E’ vero. Siamo intervenuti sulla dieta, attraverso gli esami del sangue. Da brasi­liano amo molto la carne, ma questo non andava bene. Troppe proteine. Ho diversi­ficato l’alimentazione: per fortuna in Italia si può mangiare la pasta... E poi ho dovu­ondiali to cambiare le scarpe da gioco: anche quelle creavano dei fastidi. Il mio sponsor me ne ha mandate di nuove e, anche gra­zie a un plantare, ora va molto meglio».

Ranieri dice di non avere mai allenato un difensore forte come lei.

« Sono parole che mi rendono felice. E nello stesso tempo mi responsabilizzano, mi fanno venire più voglia di lavorare. Ma non so dire se sono un leader, mi viene da ridere a pensare di esserlo visto che parlo poco... Per me conta sempre e solo la squa­dra ».

Si può dire che i metodi di allenamento di Spalletti non fossero adatti alle sue ca­ratteristiche fisiche?

« Posso dire che con Ranieri mi trovo meglio perché lavoro molto sulla velocità e meno sulla potenza. Per un difensore credo sia la cosa migliore. Ma questo non significa che con Spalletti mi trovassi ma­le e che i suoi metodi fossero sbagliati. Ho giocato tanto anche con lui».

Forse nell’era Spalletti ha saltato tante partite perché i recuperi erano affrettati.

«Beh, quando capitano certe partite che valgono una stagione, come Roma- Arse­nal l’anno scorso, ti viene voglia di rischia­re. Se ho giocato è perché me la sentivo. Pensate che una volta, nel ritorno degli ot­tavi di contro il Real Madrid, dissi a Spalletti che non ero pronto, che sarebbe stato meglio se fossi rimasto fuo­ri. Lui mi rispose che dovevo andare in campo, che aveva bisogno di me. Ho gio­, abbiamo vinto, nessuno si è fatto ma­le e nessuno ha detto niente. Aveva ragio­ne l’allenatore. A volte proprio giocando ti rendi conto che stai bene, soprattutto quando vinci».

Si è detto: Juan si risparmia con la Ro­ma per giocare al top nella nazionale bra­siliana.

«E’ falso. Ed è un’altra cosa che mi è di­spiaciuto sentire. Dal 2002 in poi sono sta­to il giocatore del Brasile più convocato. Sapete qual è stato il periodo in cui ho sal­tato più partite in nazionale?».

No.



«Il mio periodo alla Roma. Parliamo del­l’attualità: l’ultima partita che ho giocato nel Brasile è quella della Confederations Cup contro l’Italia (giugno 2009, ndr). Poi mi sono infortunato. Ma anche in passato ho cercato di rispettare le esigenze della Roma. Ho saltato un’Olimpiade, assecon­dando la richiesta della società. Ho evita­to di giocare partite di qualificazione quando rientravo da un infortunio. E per la Roma sono andato in campo anche se sentivo dolore o se ero poco allenato».

A novembre si è arrivati allo scontro di­plomatico per la sua mancata risposta al­la convocazione di Dunga.

«E’ stata una decisione della presidente ( chiama così Rosella Sensi, ndr) e io l’ho accettata. Anche lei si è preoccupata per le mie condizioni fisiche. Ma dovete capi­re che per noi giocatori a volte è difficile: come fai a dire di no quando la tua Nazio­nale di chiede di partire anche se sei infor­tunato, solo per fare gruppo? Inoltre, per noi che giochiamo in Europa, la convoca­zione arriva 15 giorni prima dell’evento. E’ difficile stabilire se sarai pronto a gio­care o meno, per questo i medici della fe­derazione vogliono vederti nei giorni pre­cedenti alla partita».



Il suo Brasile è ancora il grande favori­to del Mondiale?



« Sono tanti i favoriti. Quest’anno poi partecipano tutte le squadre che hanno già vinto almeno un Mondiale. Sulla carta è una lotta tra Brasile, Argentina, Italia, Germania, Inghilterra, Francia. In più la Spagna per come gioca. Ma poi conterà la condizione fisica, tecnica e mentale di quel mese».

Ronaldinho ci sarà?



«Non lo so. E’ un grande campione ma dipende da Dunga. Sono certo che il no­stro ct farà le scelte giuste e prenderà la decisione migliore per il gruppo. Mi ren­do conto che non è facile selezionare gli uomini, il Brasile ha tanti giocatori bravi. Si potrebbero fare due nazionali».

Diego invece è fuori visto che sta fati­cando molto nella .

«Crescerà anche lui. Adesso la è in un periodo difficile e Diego, come Felipe Melo, ne risente. Sono convinto che la Ju­ve si riprenderà. Speriamo dopo la partita con la Roma».

Amauri non trova posto nella vostra Na­zionale e potrebbe giocare in quella italia­na.

«Non entro in queste decisioni che sono personali. Dunga non chiude la porta a nessuno, ma forse Amauri pensa che sia difficile trovare spazio nel Brasile. Per quanto mi riguarda, a parte il fatto che or­mai non posso tornare indietro, sono trop­po legato al Brasile per giocare con un’al­tra maglia».

Ci passi la battuta: purtroppo per voi, non è brasiliano...

«Ma guardate, mica solo i brasiliani san­no giocare a calcio. A volte anzi i nostri giocatori hanno estro, dribbling, ma meno abilità di altri nel tiro o nel passaggio. Co­munque Francesco è uno dei calciatori più forti con cui abbia mai giocato. E’ sul livel­lo di Ronaldo, Romario, Ronaldinho».

Che tipo di allenatore è Dunga?



«
E’ molto capace, così come il vice Jor­ginho. Unisce la mentalità europea a quel­la brasiliana, lavorando sulla solidità di­fensiva. In più, essendo stato un calciato­re fortissimo capisce le necessità dei gio­catori. Sta diventando un campione anche in panchina».

Anche in Europa è partita la moda degli allenatori giovani, dopo Guardiola.

« E’ una tendenza che può funzionare. L’importante, quando si passa dal campo alla panchina, è capire che non si è più cal­ciatori senza perdere il vantaggio, ogni tanto, di pensare ancora come un calciato­re » .

Juan sarà allenatore a fine carriera?



«No, non mi ci vedo. Sono troppo gene­roso, non so dire di no. E poi, come dicevo prima, parlo poco ( ride, ndr). Si è mai vi­sto un allenatore che non parla?».



Chiuderà la carriera nel Flamengo?



«Se potessi scrivere la mia storia di cal­ciatore, vorrei che finisse così. Ma al mo­mento non si può dire. Dipenderà da tan­te cose».

Che vita fa, fuori dal campo?



« Sto molto a casa con la famiglia e gli amici, qualche volta vado al mare. Mi pia­ce l’Italia, è simile al Brasile. Mi piace tut­to dopo cinque anni vissuti in Germania. Anche il sole...».

Peccato che in Italia i campi da gioco e gli stadi non siano all’altezza.

«E’ vero. Ed è un peccato perché per un calciatore è il massimo giocare davanti a tanta gente su terreni perfetti».

Se non avesse fatto il calciatore, che carriera avrebbe scelto?

«Non ci ho mai pensato, perché ho ini­ziato prestissimo a giocare».

E’ nato come difensore?



« No. Nella scuola calcio del Flamengo giocavo a centrocampo. Mio zio sosteneva che dovessi diventare un difensore ma a me non piaceva. Un giorno però mancò un mio compagno e l’allenatore decise di ar­retrare me che ero il più alto della squa­dra. Se non fosse stato per questa situa­zione, ora non sarei qui a parlare con voi».

Da quando è arrivato a Roma è stato pa­ragonato ad Aldair, l’unico giocatore per il quale la società ha ritirato la maglia.

«L’ho conosciuto a Roma ma è sempre stato un mio idolo, un punto di riferimen­to. Mi fa piacere l’accostamento ma io non posso percorrere la sua stessa strada: è ar­rivato alla Roma più giovane di me, ha avuto più tempo per costruire la sua storia in questo club. Ha lasciato un grande ri­cordo e ha ancora tanti estimatori. E’ giu­sto che sia così per quello che ha fatto nel­la Roma e nella Nazionale».

Tornando a lei, quale è stato il momen­to più difficile della sua avventura roma­na?

«Tutti i momenti in cui non ho giocato per infortunio. Ho avuto dei dubbi sul mio recupero. Per fortuna ho avuto al mio fian­co moglie e figlio a darmi tranquillità. Mio figlio già gioca a calcio: vedeste come pic­chia... ».

Lei invece è sempre stato un difensore deciso ma pulito.



«Ho sempre giocato in questo modo. A volte è necessario commettere un fallo ma io cerco sempre di prendere il pallone. Si­curamente mai vorrei fare male a un av­versario » .



Qual è il difensore della Roma con cui si trova meglio?



« Non è una questione di uomini. L’im­portante è adattarsi agli stili degli altri. Un difensore centrale deve pensare sempre in due. Mexes lo conosco meglio perché da due anni giochiamo insieme. Ma anche con Burdisso e Andreolli c’è feeling».

E’ possibile immaginare una Roma con la difesa a tre?

«Si potrebbe fare».



Ranieri vuole una Roma attenta alla fa­se difensiva. Come cambia il modo di gio­care dei difensori?

«Un po’ è cambiato. Giochiamo sempre con la difesa a quattro ma con un modulo diverso. Ranieri ha detto che avrebbe ab­bandonato lo spettacolo però non vuole far giocare male la Roma. Nessuno vuole gio­care male perché l’arma migliore per ar­rivare a vincere è giocare bene».

Con il nuovo allenatore tanti giocatori sono rinati.

«Con Ranieri abbiamo lavorato tutti tan­tissimo, ci siamo sacrificati. All’inizio fa­cevamo le cose più semplici poi, quando abbiamo preso fiducia, abbiamo comincia­to a giocare meglio».

Si aspettava l’esplosione di Julio Ser­gio?

«Chiunque gioca nella Roma ha le qua­lità per farlo. Lui è stato bravo ad aspetta­re il suo momento. La Roma ha quattro portieri di qualità: non dimentichiamo quello che ha fatto Doni in questi anni».

Come si spiega la crescita dei portieri brasiliani?

«Da noi i preparatori stanno lavorando molto. E i risultati ora si vedono: ai brasi­liani si dà fiducia».

Anche l’Inter ha un brasiliano. E’ davvero una squadra irraggiungibile?

«E’ la squadra più forte perché può cam­biare tanti giocatori mantenendo lo stesso standard. Non è tanto un problema di chi insegue, il fatto è che loro non perdono mai e vincono anche le partite impossibi­li. Comunque è ancora presto, c’è tutto un girone di ritorno da giocare. La Roma pro­verà a prendere più punti possibile per av­vicinarsi al vertice. Due anni fa ci siamo andati vicini, dimostrando di avere quali­tà per farlo».

Mourinho le piace?



«Non lo conosco. Ma tutti i giocatori che lavorano con lui sono entusiasti, quindi de­ve essere un allenatore bravo».

Riuscirà a competere per la ?

« L’Inter è tra le squadre che possono vincerla. A me piace più di tutte il Barcel­lona, che gioca un calcio splendido. Ma ci sono anche Real Madrid, Chelsea, Man­chester United».



La Roma deve rimandare la sfida alle grandi d’Europa ma ha ancora tante par­tite importanti da giocare: tra queste il derby. Quanto conta per Juan la partita con la Lazio?

«Tantissimo. Quando sono arrivato non la sentivo più di tanto. Adesso è un’emo­zione che si percepisce prima, durante e dopo. La gente per strada ti chiede solo di battere la Lazio».

Roma- Lazio è come Flamengo- Flumi­nense a Rio de Janeiro?

«No, molto di più».