La penna degli Altri 16/01/2010 09:29

Il Piccolo Gigante



Cominciamo dal petardo di Cagliari?

«Se fossi uscito, non me lo sarei mai perdonato. Pensavo solo a rientrare, nient’altro. Anche se poi ho accusato, ho giocato con un continuo fischio nell’orecchio».



Uscito lei, la Roma è stata rimontata. Un caso?

«Direi di sì. Se l’arbitro avesse annullato il primo gol, non si penserebbe alla mia sostituzione».



Da Spalletti a Ranieri. E’ vero che ha sofferto molto la partenza di Luciano?

«Come uomo mi ha dato molto, anche se ero più legato al suo staff. Lui non lo sento dal giorno in cui se n’è andato. La sua Roma ha giocato un calcio eccezionale, ha sfiorato lo scudetto. E poi, nessuno si aspettava la sua partenza, ci ha sorpreso molto. Si era parlato di progetti, ma io ho capito che nel calcio, questa parola, non esiste. Perché bastano tre risultati negativi e nessuno se la ricorda più. Va tutto a monte con poco, altro che progetto. Però quella squadra non riusciva più a fare il calcio di prima, non era facile continuare. Un fatto di testa».



E ora con Ranieri?

«Va bene, siamo tornati ai nostri livelli. Ci siamo sbloccati. Ranieri è diverso da Spalletti».



In cosa?

«La squadra di Spalletti in campo aveva solo il biglietto di andata: si pensava ad offendere, ad andare tutti avanti, per il ritorno ci si doveva arrangiare. Prendevamo molti gol in contropiede. Adesso siamo più razionali, più corti e accorti. Di sicuro meno spettacolari».



All’inizio per lei qualche problemino c’è stato.

«Giocavo in maniera diversa, laterale del rombo. Lì è meglio uno con un’altra gamba, tipo Perrotta. Ora sono tornato a fare il perno davanti alla difesa e va meglio per me e per , che può segnare più gol».

In genere davanti alla difesa ci gioca uno con un fisico diverso dal suo.

«Mi arrangio con la capacità di leggere in anticipo le azioni. Altrimenti nello scontro fisico soffro».



Lei come Falcao, come Cerezo. Gli accostamenti si sprecano.

«Grazie, ma non sta a me dirlo Diciamo che mi piacerebbe vincere quello che hanno vinto loro. Per me conta il riconoscimento del gruppo. E devo dire che sono stimato da tutti».



Ha l’impressione di essere sottovalutato dalla tifoseria, o da una parte di essa?

«Non mi interessa. Io non sono uno bravo nelle pubbliche relazioni, non sono un uomo da telecamera. Quando finisco di lavorare, vado a casa e spengo tutto. Il resto non mi interessa. Se andassi appresso a queste cose, diventerei pazzo. E non è possibile».



Quando parla di calcio usa sempre la parola “lavoro”, non un divertimento. Come mai?

«In Italia il calcio è un lavoro, non più un divertimento, come in Spagna e in Inghilterra. Si vive di passioni e business e se sbagli due partite te lo fanno pesare. Come fai a definirlo divertimento? Ricordiamoci Calciopoli. C’era l’esigenza di vincere per forza. Perché vincere porta soldi».



Un processo di inasprimento: i tifosi contestano, si arriva anche ad episodi al limite.

«Noi qualche tempo fa ci siamo limitati a subire qualche petardo, anche se beccarseli alle tre di notte non è stato proprio il massimo. Quello che è successo a Torino non va bene. Si rischia di valicare il limite del consentito. Se i granata vanno allo sciopero, hanno ragione. Così deve essere per tutti».



Questa mentalità rischia di rovinare il calcio in Italia?

«La rovina del calcio è il business. Troppi soldi. Mal gestiti. Quando avevo diciannove anni guadagnavo a Udine più o meno duemila euro al mese, ora ai giovani mettono in mano fior di milioni. E poi ci stupiamo se uno si sente come un Dio e perde di vista l’essere ragazzo. Già lui non si diverte più».



Qualche tempo fa ha detto: non vado da Spalletti, sennò mia moglie si arrabbia.

«Era una battuta. Mia moglie e i miei figli stanno bene qui. Anche io. Sono un pigro, odio gli spostamenti, i traslochi. Non ce la farei. Ma al di là di questo, a Roma sto benissimo davvero».



E se la Roma dovesse ridimensionarsi?

«Non mi ci faccia pensare, non mi piacerebbe ritrovarmi in una squadra come era prima del mio arrivo. Io piuttosto vedo un futuro in e una società senza problemi. Pur sapendo che nella Roma ci sono solo due giocatori intoccabili, che non si muoveranno mai, gli altri sono sempre in bilico. Come vede torniamo al discorso dei progetti, che non si possono fare. Io a Roma sto bene, però mi piace anche lottare per grandi traguardi».




Che le importa dei traguardi, tanto alla fine vince sempre l’Inter.

«Già. Mi ricorda quelli dello spot, «ti piace vincere facile?». L’Inter ha tre squadre a disposizione, spende più di tutti. E vince, appunto, facile. Guardi ora, hanno Eto’o che va in coppa d’Africa e loro non è che lo aspettano, ne comprano un altro. Finchè funziona così, per gli altri non ci sono possibilità. Eppure noi due anni fa avevamo sfiorato il miracolo, però ci hanno tolto sette punti».



E siamo quindi a parlare di arbitri.

«Certe volte è dura pensare che non lo facciano apposta. Però si va avanti».



Un altro problema nel calcio, il razzismo.

«Qui ce n’è anche meno rispetto ad altri paesi, come Spagna e Germania. Si parla tanto di Balotelli e delle persone di colore, ma quello che ho sentito dire io a e in questi anni, nemmeno ve lo racconto».



Su, via...

«Vi farei venire in campo durante il riscaldamento, su vari campi. Insulti sulla loro romanità, sulle cose personali, sulle loro famiglie. Il massimo l’ho sentito una volta ad Ascoli nel 2007, prima della partita. Cose irripetibili, davvero pessime. Ecco perché io mi sono affezionato molto alla Roma e alla maglia, proprio perché stiamo sulle scatole (il termine era un altro, ndr) a tutti. Quindi non c’è un razzismo, ci sono vari razzismi che vanno combattuti».



E della questione Balotelli che ne pensa.

«Non scherziamo, lì non è razzismo. Ce l’hanno con lui per i suoi atteggiamenti. Talento indiscutibile, ma a noi ne ha combinate tante, troppe. In campo ti riempie di calci inutili, parla in continuazione, provoca. Spero che non incontri mai un collega con la luna storta... Si parla tanto di lui perché è uno che sa vendersi bene. Adesso è dura gestirlo, magari è stato sbagliato qualcosa all’inizio».



Il calcio va verso lo “spezzatino”: si gioca dal venerdì al lunedì. Che ne pensa?

«Io sono per le partite la domenica con le famiglie allo stadio. Ma comandano le tv, e torniamo al business di cui sopra. Tra qualche anno ci troveremo con gli stadi vuoti e con i calciatori che giocheranno le partite con un joystick in mano».



Che farà da grande?


«Voglio occuparmi dei giovani del mio quartiere a Valparaiso, Playa lancha. Giovani che hanno problemi seri con la droga, con la cocaina. Ce ne sono alcuni, di tredici anni, che vivono con lo sguardo perso nel vuoto, li chiamiamo gli allucinados. Non sanno che fare, dove andare. Si possono aiutare attraverso lo sport, per tirarli fuori da questa situazione bruttissima».



Rimpianti?


«Ho vinto poco, vorrei chiudere con qualche traguardo in più. Intanto guadagniamoci la , anche perché quest’anno lo scudetto è andato»




All’Inter sarebbe riuscito a vincere.

«Sì, forse. Ma non sono pentito di essere venuto alla Roma. Anzi».



Sogni particolari?

«Un gol di testa. E quel giorno abbandonerò il calcio...». Pek, ma poi non così Pek.