La penna degli Altri 21/01/2010 10:14
Bernardini, Ginulfi e Giannini. Alla Juve cè chi ha detto no
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Meno comodo parlare di altri no arrivati a Madama, dei no più solidi e convinti, poco adatti, evidentemente, a far letteratura. Alberto Ginulfi, ad esempio, non vive su unisola, però da ragazzo si alzava alle quattro per aiutare la zia al banco di pesce del mercato di piazza Vittorio. La sua è una storia dascesa e passione che evidentemente fa poesia solo in riva al Tevere. Lesordio, da giovanissimo, nellottobre del 1962, poi tantissima gavetta alle spalle di fuoriclasse come Fabio Cudicini. Poi, dopo la vittoria in Coppa Italia e la bella avventura in Coppa delle Coppe, allinizio degli anni 70, la Juventus che ha appena messo le mani su Capello, Spinosi e Landini, pensa di portarlo a Torino. Lui, consultato sulla faccenda dirà semplicemente: No, io sono tifoso della Roma, sto bene dove sto».
E un no che non ha riempito le pagine di giornale, pronunciato da un atleta che ha onorato sempre e comunque la maglia numero uno della Roma. Sembra però che i no che dal Tevere salgono verso Torino abbiano una vocazione clandestina. Non se ne parla, e i particolari sono avvolti in una penombra difficile da penetrare.
Eppure qualcosa, ogni tanto, si riesce a carpire, come nel caso di Peppe Giannini. Il Principe rifilò il primo gol in serie A proprio alla Juventus, il 28 ottobre 1984. A comunicargli che sarebbe sceso in campo era stato Paolo Roberto Falcao, sullaereo che portava a destinazione la squadra. Si dice che quel giorno Agnelli, oltre ad infuriarsi con il suo ospite Enrico Vanzina (colpevole di aver esultato con troppa enfasi al pareggio di Giannini, in piena tribuna donore, verrà abbandonato, a piedi, allo stadio, per punizione) sinnamorò delle geometrie di quel giovanotto in maglia giallo-rossa. Fu così che lavvocato, quattro anni più tardi si farà vivo con Dino Viola mettendogli tra le mani un assegno in bianco per acquistarlo. I mondiali del 1990 sono alle porte, e con essi i lavori che di fatto priveranno per due anni la Roma dei suoi incassi, unica fonte di reddito e sopravvivenza per un club in quegli anni. Viola convoca Giannini a Trigoria e gli comunica lofferta. Il discorso del numero uno della Roma è chiarissimo: «Che vogliamo fare? Io non ho nessuna intenzione di cederti, tu, anche se mi fai arrabbiare, rappresenti la romanità, la continuità con la Roma della mia gioventù, di Fulvio Bernardini e Attilio Ferraris IV. Io non ti cedo». Era altrettanto chiaro che se Viola rinunciava al classico valigione di danaro, Giannini doveva fare la sua parte: «Quando cera il rinnovo del contratto non me la sentivo di andare oltre certe richieste sapevo a cosa aveva rinunciato lingegnere e io decisi di fare la mia parte. Ho rinunciato a tante cose, è vero, ma non me ne sono mai pentito».
Il fascino della Vecchia Signora tende a sbiadire dietro alla semplicità straordinaria di questi gesti
La Juve
finisce per ridiventare solamente una squadra nata su una panchina di Corso Umberto e chi ha voglia di sedersi su una panchina a Torino? Certamente non ne aveva voglia Fulvio Bernardini quando, allapice della sua popolarità di tecnico, Umberto Agnelli lo contattò per proporgli di vestirsi di bianco-nero. Fulvio si faceva negare, spediva allapparecchio sua moglie, sperando fosse lei a trovare un pretesto qualsiasi, poi, finalmente si decise a liquidare la cosa personalmente: «Cosa vuole, la Juventus è già così forte che se venissi anche io ad allenarla non ci sarebbe più nessuna chance per le altre squadre. Lasciamo andare». In verità lasciarono andare tutti, Ginulfi, Giannini, Bernardini, tutti senza rimpianti. Guidati da una scelta di cuore e dal quel briciolo di pazzia che fece dire un giorno a Gianfranco Zigoni: «Non ho nessun rimpianto, a parte quello di aver accettato di tagliarmi i capelli quando ero alla Juventus. Ma ero troppo giovane». Poi, quando
è cresciuto, è passato alla Roma.