La penna degli Altri 24/01/2010 10:30
1-2 Gratta e vinci
Una rasoiata di Totti dal dischetto a impattare il vantaggiochoc confezionato da Del Piero: per Francesco il primo gol segnato a Torino, il numero 10 in campionato e numero 188 in serie A, con buona pace di Signori; poi la spietata incornata di Riise a incocciare lo straordinario arcobaleno tracciato da Pizarro, a battezzare l1- 2 pra icamente allultimo respiro del match. La sfida che sognavamo sè materializzata così, sotto i nostri occhi, in un crescendo di emozioni che sarà difficile dimenticare. Anche perché per un po, almeno fino al guizzo vincente di un Taddei troppo furbo per Grosso e alla conseguente trasformazione del capitano, abbiamo temuto di aver vestito per lennesima volta i panni dei puntuali consoltori degli afflitti.
Di sicuro la sorte pareva averci voltato le spalle, in quellavvio raggelante non solo per il termometro sprofondato subito sotto zero: la partita di Toni, preferito allamico Totti per mettere in crisi una difesa zoppicante quanto zeppa di campioni del mondo, è durata tre minuti scarsi. Due palloni toccati, il riacutizzarsi del problema al polpaccio sinistro, una raffica di comprensibili imprecazioni e via. Certo, stavolta a subentrare al colosso atteso da anni cera Francesco, mica un ragazzino o un mezzo giocatore qualsiasi. Ma, è un fatto, dopo centottanta secondi la Roma si è ritrovata a dover costruir un match completamente diverso da quello che aveva preparato per una settimana. In campo è rimasta la sostanza, è ovvio, incarnata da quel Pizarro capace di soffocare come un minuscolo gigantesco pitone Diego, che fu devastante per Spalletti allandata. E da Juan, implacabile nel cancellare dalla sfida Amauri. E da Taddei e Riise, micidiali martelli sulle fasce. E da Perrotta, impreciso ma instancabile nel suo movimento a pendolo. Ma cè comunque voluto un po per ritrovare gli equilibri giusti, orfani del terminale grande e grosso cui si voleva affidare lassalto a Buffon, con Totti entrato a freddo e persino invitato da Ranieri a non affondare troppo lo scatto.
Per una discreta porzione della prima parte, se si escludono i tocchi sempre illuminanti del capitano, il gioco romanista pure organizzatissimo è sembrato trovare sbocchi offensivi soprattutto nei lampi di Vucinic, uno che certe partite le ha certamente nelle corde, ma che al posto delle scarpe chiodate pare sempre infilare gli splendidi piedi in du pantofole odorose di borotalco. Movimento tanto, conclusioni poche. Poco male, sarebbero arrivate al momento giusto. La Roma del resto si è distribuita sul campo in modo esemplare, sin dal primo fischio di Tagliavento (il nostro portafortuna: dieci arbitraggi, dieci vittorie), producendo un pressing formidabile. La Juve più viva del solito, aggrappata soprattutto ai ruvidi muscoli di Sissoko, è parsa a lungo in grado di imporci brividi solo sui palloni alti, gli unici che gli uomini di Ranieri hanno concesso agli avversari di scagliare verso la loro area: ma, tampinati alla perfezione da Juan e compagni, Amauri, Marchisio e Del Piero non sono mai riusciti a inquadrare lo specchio di Giulietto Sergio. Poi, allimprovviso, ce lha fatta proprio Del Piero, una manciata di minuti dopo il riposo, mandandoci di traverso anche le parole di miele pronunciate alla vigilia: Se sommiamo i gol miei e di Francesco, superiamo quota 500: per me è un orgoglio giocare contro avversari così.
Dentro a quel rabbioso drop sini tro, che dopo mille rimpalli ha tagliato a fette la nostra porta prima di schiantarsi sul palo interno e poi in rete, abbiamo avuto paura di rileggere le pagine più amare della nostra storia. La sfiga che spesso ci attanaglia opposta alla sfacciata fortuna altrui. Ma è stato un attimo. Questa è unaltra Roma, ha un altro dna, un altro carattere. E la Roma della rabbia, della determinazione, del cinismo. E delle grandi rimonte. Anche a Torino, come altrove, la voglia di non mollare si è trasformata via via in una spinta irrefrenabile. Superata la doccia scozzese del tiro mancino di Del Piero, i giallorossi hanno stretto alle corde gli avversari. E stato di Taddei, uno dei grandi resuscitati della gestione Ranieri, il blitz fulminante: un guizzo irresistibile nel cuore dellarea bianconera, Grosso costretto allabbraccio allocco quanto mortifero, lesecuzione impeccabile di Totti, un destro millimetrico a bruciare le dita protese dal gigante Buffon.
E non era finita, non poteva finire senza che limperatore Claudio, rimasto ben lontano dai dirigenti che lo cacciarono come un barbone (Ho salutato Ferrara e i giocatori, gli altri non li saluto), consumasse la sua vendetta. Ancora Taddei ha lanciato nello spazio la formidabile corsa di Riise, quasi centro metri da mezzofondista a squarciare la difesa della Juve costringendo Buffon allintervento da cartellino rosso. La squadra di Ferrara in dieci nel finale elettrizzante, quella di Ranieri sempre più convinta di doversi prendere la partita. Ecco allora un altro lampo, quasi allo scadere: il pallone strappato da Pizarro a Diego, il cross di selvaggia bellezza, la martellata di Riise lanciato verso Manninger come un ariete. Gratta e vinci, vinci e gratta. Ottavia vittoria in undici partite, la terza di fila, più tre pareggi. Nessuno ha fatto meglio, nemmeno lInter per una notte lontana otto punti, mica unenormità. Pare un sogno eppure è proprio così: forse il bello deve ancora venire.