La penna degli Altri 23/12/2009 11:46

Milian: " Amo Roma e sono Romanista davvero"

La chimica tra i due (più esplicito, caciarone, diretto, il personaggio di Milian, più sottile, paradossale, persino surreale Bombolo), creava un risultato assolutamente irresistibile. E se Tomas Milian, cubano esule dal colpo di Stato che aveva portato al potere il generale Fulgencio Batista, raccontava, magnificamente, una Roma che gli era stata cucita addosso, Bombolo forniva un contributo di spontaneità, di forza lessicale (completato dallo strepitoso doppiaggio di Ferruccio Amendola), che ancora oggi, a più di venti anni dalla fine di quel fortunato ciclo cinematografico, ne garantisce freschezza e incisività. Dicevamo che il ritorno di Milian, oltre che a farci piacere, ci ha anche interessato, questo perché il personaggio da lui portato al successo ha tra i suoi ingredienti irrinunciabili (nonostante gli esilaranti tentativi di appropriazione avanzati persino da alcuni sostenitori della e udite, udite... della Lazio), proprio l’essere romanista. Non voglio ricorrere alla presenza di Tomas Milian ad un Roma-Torino del 1984 tra i tamburi del Commando (la fonte del succulento particolare è Tonino Cagnucci e qualsiasi conferma in merito ci farebbe piacere), a noi interessa più sottolineare come il personaggio del commissario Giraldi sia nato per “essere romanista”. Non sarà sfuggito a molti lo sciarpone giallorosso spesso ostentato (persino sulla pista da ballo del film “Squadra antifurto”, ma come al solito non ne sono sicuro) da Milian o le sue battute fulminanti in cui la fede romanista serve a sottolineare una stoccata che è già andata a segno. Accade in “Squadra antimafia”, dove Milian sibila ad un suo avversario: “La prossima volta mannamene quattro che due so’ pochi e ricordate che a Roma io ero cintura giallorossa de karaté”.

Se non bastasse, poi nel 1983 Milian gira, per la regia di Bruno Corbucci, il film “Il diavolo e l’acquasanta”. Il nostro esce dai panni di Giraldi per indossare quelli di Bruno Marangoni, ex centravanti della Roma, che dopo un terribile incidente ha abbandonato il calcio per vivere di una serie di piccoli espedienti. Marangoni, che arriva anche a simulare il suicidio (minacciando di gettarsi dal Colosseo come Alberto Sordi ne “Un americano a Roma”) troverà una via di riscatto nell’aiuto di Don Gaetano, parroco di un immaginario paesello del Lazio, che gli chiede di risollevare le sorti della malandata squadretta locale. La pellicola è infarcita di immagini riprese all’Olimpico e in una trasferta della Lupa a San Siro di fine anni settanta. Il Castel Franco, alla fine, arriva allo scontro decisivo con una rivale che guarda caso indossa la maglia bianconera. Torna dunque “a casa”, un simbolo romanista, a cui la “lontananza”, a quanto sembra, non ha fatto dimenticare i giorni passati nella capitale... anzi, a Rinaldo Frignani, due giorni or sono, Milian ha dichiarato: «La fiction a cui sto lavorando s’intitola “Roma nuda”, ed è anche un omaggio alla à che mi ha amato e mi ama di più, al punto che quando ne parlo mi commuovo. Tifo pure per la Roma perché "er monnezza" doveva essere romanista». A leggere queste cose, al vecchio Milian che già sentivamo come un lontano zio d’America, viene anche a noi voglia di commuoverci, ma finiremmo per tradire lo spirito del suo personaggio e quindi preferiamo, nel congedo, offrirgli qualcosa, nello stile però di Bombolo, che aprendo la porta all’ennesima irruzione dell’amico nemico maresciallo Giraldi, ancora in accappatoio esclamava: «Commissà posso offrire qualcosa? Un caffè? Un the? Un liquore? Un mostacciolo? Io non c’ho niente, ma che je posso offrì?».