La penna degli Altri 27/11/2009 13:19
Vucinic, Pruzzo, Boniek e gli altri. Quelli che il calcio gli fa un baffo

In tal senso, dice la nostra storia, meglio i baffi della barba che aveva prima e che faceva molto anni 70 e protesta proletaria (ricordate i vari Breitner, Sollier e compagnia cantante di quei tempi?), ma poco figli della lupa (non in senso politico, per carità, quello è un terreno nel quale non vogliamo entrare). Anche se alla barba è legato il ricordo di quel 2-2 da salvezza allOlimpico con lAtalanta nel 1978-79 al quale i giocatori della Roma arrivarono senza radersi per rispettare
il voto di non farlo fino a salvezza raggiunta. Così, oltre che per il risultato favorevole e soffertissimo, la partita passò alla storia anche come quella dei barbudos. Molti ricordano, poi, che sul finire della sua storia romanista i baffi andarono a ricoprire anche il viso candido di bimbo Ancelotti, a quei tempi capitano della squadra. Vicino a lui, in quel periodo, giostrava il danese Klaus Berggrenn, che aveva dei tipici baffi vichinghi: gialli come i suoi capelli e quelli di Eriksson, che lo aveva voluto nel centrocampo giallorosso al posto di un altro baffo, ma di ben diverso spessore, sia per il colore che per lo spessore. Quello del brasiliano Toninho Cerezo, uno dei calciatori più forti che abbiano mai vestito la maglia della Roma. Uno, tanto per capirci, completamente diverso dal connazionale Falçao, che amava radersi il viso come un vero antico romano. Insieme erano un cocktail vincente.
Cerezo, a sua volta, aveva sostituito nel ruolo un altro baffo pilastro della storia romanista come laustriaco Herbert Prohaska, numero otto della formazione del secondo scudetto, della quale era capitano Agostino, che ogni tanto si lasciava dei piccoli baffetti sotto al naso. Quasi fossero un segno distintivo indispensabile per far parte di quella squadra di campioni nella quale spiccavano anche i baffoni del sindacalista Michele Nappi e quelli più tradizionali di Aldo Maldera, ai quali nell83-84 si aggiunsero quelli folti e neri del marchigiano Emidio Oddi. Il baffo per eccellenza del gruppo, però, era quello di bomber Pruzzo, che quando stava nellarea di rigore non si faceva scappare un pallone che era uno, per poi andare ad esultare in maniera spontanea e bellissima sotto la sua gente. Ecco, quelle esultanze quasi mistiche di Pruzzo sarebbero da mostrare ai contemporanei per indurli a riscoprire la spontaneità del gioco del calcio e della gioia del gol. Altro che i musi di Balotelli o le incazzature di qualcun altro. Ma perché oggi quando segnano sono sempre tutti incazzati? Boh, forse è il segno dei tempi.
Sempre nella grande Roma dei primi anni 80 troviamo poi i baffetti alla DArtagnan di Astutillo Malgioglio, portiere di riserva e gran signore che investiva i guadagni in una palestra per il recupero dei ragazzi disabili. Poco dopo quel periodo ci furono i baffi furbi di Boniek, poco prima quelli messicani di Mauro Amenta, che a centrocampo facevano il verso a quelli tignosi di Romeo Benetti, che nel ruolo di mediano, negli anni 70,
aveva avuto come precursore un altro baffuto alla vichinga come Loris Boni. Ai suoi tempi il portiere era baffone Paolo Conti, che davanti aveva un difensore stile moschettiere come Giacomo Chinellato. Negli anni 50, invece, cera stato il baffino del grande Alcide Ghiggia, mentre tra gli 80 e i 90 la storia giallorossa verrà segnata dal baffetto di Rudi Voeller, al quale ogni tanto si accosterà quello appena accennato di Carnevale, che a volte se li lasciava crescere come faceva Prati negli anni 70 per incutere più timore alle difese avversarie. Insomma, lavrete capito. Per storia e tradizione i baffi ben si accostano alla Roma e forse anche per questo quelli di Vucinic ci piacciono molto. E poi chissà che non siano veramente di buon auspicio facendolo definitivamente entrare tra i nostri migliori attaccanti coi baffi.