La penna degli Altri 08/11/2009 09:30

La barzelletta Juan

a disamine perplesse, mentre la vicenda del contratto

di sarebbe passata come il giusto suggello di una procedura ovvia. Ma nell’amaro presente in cui siamo precipitati un po’ di normalità ci serviva eccome, dacché era proprio la normalità, per noi, a essere divenuta una sorta di miraggio.


Una nebbiosa sagoma fuggitiva dissoltasi del tutto nel naufragio col Livorno e che avrebbe potuto risostanziarsi con un rachitico pareggio a Udine. Pareggio che sarebbe stato più che normale mantenere una volta ristabilita la parità in campo. Nulla da fare. La normalità, pure quel giorno in terra friulana, ha voluto infingersi nei panni del suo inverso, che si chiama eccezione.

Per la Roma perdere a Udine, compulsiamo gli annali, è sempre stata una ferale eccezione. Col Livorno l’eccezione (di per sé ferale: Diamanti docet!) è già costituita dal pareggiarci, figuriamo  perderci.

Di questo passo, però, un abbozzo di restaurata normalità

dovrebbe farci rabbrividire nella prospettiva della partita

odierna, connessa a una tradizione che annuncia scenari

normalmente cupi. E’ vero, per un breve torno di anni siamo stati blanditi dall’idea che a una prolungata e

mortificante normalità se ne fosse avvicendata un’altra, per noi assai più aurea, ma già la prima sortita stagionale a Milano contro il Milan ci ha ridimensionati all’antica consuetudine del “tanto lì si becca sempre”. Dati i tempi, stasera potrei pure sopportarla una sconfitta tra le mura di

uno stadio che minaccia di essere tornato proibitivo. Potrei sopportarla a patto che il riproporsi di questa nefasta e radicata normalità prosegua poi nella normalità degli eventi che le verranno appresso. Ossia, in una normale vittoria con l’Atalanta e via discorrendo.

Ma nella stagione in corso dubito che sarà così, e molto di ciò che dovrebbe essere normale ci verrà piuttosto dispensato come eccezionale secondo criteri assolutamente random. Gli stessi che, coi nerazzurri, mi fanno

addirittura sperare nella super-eccezione capace di ripristinare per una volta ancora quella eccezionale normalità venuta a rompere l’altra normalità di ben più antica data che ci ha sempre visti sconfitti a San Siro.

Ma sì, giochiamo almeno con le parole in attesa che la Roma riprenda a giocare a calcio. Un qualsiasi calcio,

fosse anche quello brutto promesso da Ranieri. Ridiamoci sopra per non piangere dentro. Come non bastasse il clima di passaggio a vuoto che si respira in à, leggo le note prepartita che alla voce “indisponibili Inter” dicono: nessuno. Bene, pure questa ci mancava. Figurarsi, certi aiutuini a noi mai. Normalità. Da Julio Cesar a Milito, ci saranno tutti. E i loro tutti sono davvero tanti. Per contro, penso alla normalità della consueta falcidie che ci riguarda. Dei pochi che in genere abbiamo, pure oggi ne avremo


ancora meno. Bene: i pochi contro i troppi. E vabbè. La vedremo lo stesso, ci saremo lo stesso, spereremo lo stesso. Ciò detto e promesso, tornando ai vari caduti perenni che infoltiscono la cifra degli “indisponibili Roma”, qualcosa vorrei dirla sulla barzelletta Juan. O sulla vergogna Juan, fate voi. Sapete quel tesserato della nazionale brasiliana che ogni tanto viene convocato dalla Roma? Eh, lui. Non riesco più a tenermi

dentro un’espressione che avendo forma di parole pretende di essere finalmente messa su carta: mangiapane a ufo. Oh, l’ho scritto, l’ho detto, e non aggiungo altro! Anzi, no, una cosa sì la aggiungo. Si tratta del ricordo di uno splendido calciatore comprato nel corso dello stesso mercato di gennaio che ci portò Candela. Parlo di Omarì Tetradze.



Ormai (anagramma di Omarì) ogni volta che penso a Juan mi viene in mente il russo. Tre tazze loribattezzarono subito i laziali, sempre arguti e spiritosi. La Roma chi ha comprato? Tre tazze e una candela… ahahah. A volte è facile denigrare un cognome non avendo appigli per farlo con la persona, poiché Tetradze era forte davvero, e se ebbe poco tempo per dimostrarlo fu a causa di un grave infortunio che si procurò giocando con la maglia giallorosa addosso. Saputa la diagnosi – grave, da ripresa lenta, di molti mesi – Omarì andò in società e propose la rescissione del contratto senza nulla pretendere. Un pensiero da poeta, un gesto da atleta. Tetradze. Pensate che ingiustizia: su Google lo trovate linkato alla voce “bidoni”. Un

giocatore che dobbiamo essere orgogliosi di avere avuto in squadra. Qualcuno dovrebbe scrivere un libro su di lui, libro che poi qualcun altro dovrebbe regalare a Juan. Tanto, al verdeoro il tempo per leggere non manca.