La penna degli Altri 16/11/2009 09:39
Crampo prolungato

Allinizio gemo, non ragiono, impreco sordo e mi ripeto: stringi i denti che passa. Niente da fare. Allora chiamo
qualcuno, che se cè lo sveglio e viene. Mi sdraio sul pavimento, sollevo la gamba e imploro di flettermi la punta del piede allingiù per allungare il muscolo. Piu forte! Più forte! Bestemmio. Non serve. Rabbioso, tiro calci allontanando il soccorritore che, morto di sonno, mi manda a quel paese. Rantolo, aspetto ancora. Passano i minuti, passa unora, ne passano due, ne passano tre. A quel punto, stranamente, senza che io neppure me ne sia accorto, lespressione mi si è un po normalizzata dimostrandosi meno tenace della sofferenza. Non denuncia più la smorfia dellinizio, quella smorfia muta che era limmagine stessa dellinsopportabilità; al massimo, ostenta labbra tirate e la mascella serrata. La si direbbe lespressione di uno che sia assillato da un male generico. Chi mi vedesse così, potrebbe tuttal più commiserarmi, ma senza provare lo slancio di intervenire durgenza. Segno preclaro che con quel male che pareva insopportabile ho (abbiamo) cominciato a convivere. Gli ipocondriaci trovano addirittura il modo per affezionarsi ai propri dolori divenuti congeniti. Gli ostinati no: quandanche il crampo abbia trasmesso allintero corpo la certezza di essersi radicato nel muscolo per sempre, in loro la speranza non verrà mai meno e per non uscire di testa si adatteranno a viverla con una parte periferica della coscienza. E lì che lhanno collocata, in modo da sapere, alla bisogna, dove recuperarla. Cosa che faranno a ogni piè sospinto.
Nel nostro caso, fuor di metafora, basta una sosta di campionato. Niente partite, nessun palpito da calcio giocato ed ecco che si torna a pensare ad altro: a quel pensiero che non allenta mai la presa, a quel crampo maledetto. La Sensi, lautofinanziamento, il mercato impossibile, la carità dei potenti, il declino. Tante maniere omologhe e diverse per definirlo. Declino è forse quella che le sintetizza tutte. I più tragici ne fanno sinonimo di estinzione. Da qualche giorno, però, sta tornando in auge lipotesi di una cura già vagheggiata a suo tempo e che successivamente sembrava caduta in non cale. Persistente nellintermittenza, è la cura a cui si dà più credito: la cura Angelini. Roba di casa nostra. Piacerebbe a molti. E si illaziona, si tripudia, ci si esalta e ci si deprime. Un modo come un altro per massaggiarsi il crampo che intanto continua a fare il suo lavoro di crampo. Tantè, la settimana di stallo consente la proliferazione delle voci divulgate sottoforma di notizie. E un passaparola caotico in cui la competenza di chi sa viene svilita dalla prosopopea di chi non sa. In cotanto guazzabuglio, linfermo si illumina. Ci crede, vuole crederci. Mette in azione la parte più fanciullesca di sé, socchiude gli occhi cercando di bearsi col sogno della guarigione. Un fomento che immagino durerà poco. Lincalzare di Roma-Bari ci riconsegnerà, crampizzati, al nostro essere ormai così per molto tempo ancora.
§Per quanto? Direi per cinque anni almeno. Presumo, infatti, che questa proprietà un suo progetto ce labbia sul serio: quello di difendersi dietro a Totti. La Sensi sa bene che (già ho avuto modo di scriverlo) col capitano in squadra non si precipita, e che una Roma con Totti potrà essere contestata, ma sino a un certo punto. Sotto questo aspetto i cinque anni di contratto hanno, fra le altre cose, il significato di un periodo lungo su cui far conto.
Ciò che di sicuro le signore Sensi non potranno mai gestire è piuttosto il dopo Totti. Quello no, nel modo più assoluto. Ma forse per allora può essere che il crampo sia davvero svanito. Nel corso di questi cinque anni, però, sin quando non saremo giunti in prossimità del loro malaugurato scadere, dubito che potremo mai più deambulare come una persona dallandatura normale. Ammucchiandomi nei ranghi dei depressi, mi conforto
con pensieri esotici. Tipo che Garrincha, da zoppo, è stato la più grande ala di tutti i tempi. Aglietto? Forse.