La penna degli Altri 29/10/2009 09:15
La giostra horror non si ferma
Stava già disfacendosi, questa Roma impantanata su tutti i fronti nelle sue incapacità. Ora sembra addirittura evaporata. Certo, se Vucinic a pochi minuti dalla fine avesse messo dentro un pallone che era praticamente impossibile calciare in tribuna, avremmo con ogni probabilità raccolto un punto buono almeno a tamponare langoscia che ci tortura senza tregua. Ma cosa ci sarebbe rimasto addosso, comunque, di questo viaggio in Friuli? Le immagini di una banda che, senza Totti, pare valere oggi una delle ultime, piuttosto che una delle prime quattro del campionato: lordinato tran-tran prodotto in avvio, lappena dignitosa reazione al vantaggio Udinese, la modesta tenuta in inferiorità numerica. E questa, ormai, la Roma?
Le risposte vanno cercate non solo nel match che segna il terzo tonfo consecutivo della conduzione Ranieri, quanto nellimmobilismo degli ultimi mesi, nelle tante bugie, nella costante fuga dalle responsabilità, dellincapacità di organizzare una realtà che, per sua natura oltre che per le competenze richieste, non può essere gestita come una pizzeria a taglio. La partita lavete vista tutti, ci viene la nausea solo a provare a raccontarvela. Al primo tiro in porta, secondo triste consolidato copione, è passata lUdinese. Prima, venti minuti di sola Roma, tanto per incrementare le nostre illusioni. Non avevamo cominciato male, sia pure in mezzo agli errori e alle debolezze che sappiamo: il morbido indecifrabile caracollare di Vucinic, volenteroso
quanto ormai negato al tiro in porta, leterno tramonto di Taddei, il misterioso infiacchimento di Brighi, le sofferenze di Cassetti sui velocisti friulani. Era sembrata reggere anche quella difesa-colabrodo, col resuscitato Juan per una volta miracolosamente al suo posto, a dispetto di quel tridente avversario che metteva i brividi solo a leggerne la mescola micidiale: il furetto Sanchez, il capocannoniere Di Natale, il tosto Floro Flores. Abbiamo retto con dignità, se non altro, almeno fino a quando il napoletano con il nome da hidalgo non ha infilato Doni con uninzuccata millimetrica. Lì ci siamo come squagliati, a conferma della precarietà di un gruppo avvilito dalla sfiga oltre che dalle proprie miserie. LUdinese, che veniva da tre batoste di fila, ci ha fatto ballare la rumba per diversi interminabili minuti. Il carattere da onesta provinciale perché al momento questo è la Roma, per oggettiva cifra tecnica ci ha riportati a spingere almeno con un minimo di sostanza. Certo, quando Guberti ha ciccato il sinistro al volo come un commendatore con gli amici al circolo ci
è venuto da piangere: era lui, bloccato Burdisso dallennesimo infortunio di questa gestione sciagurata anche
nella jella, lunico rinforzo (diciamo pure così) dellultimo mercato a disposizione di Ranieri. Poi Handanovic ha detto no a Motta, quindi alla martellata di Juan, ma per fortuna non ce lha fatta sul tap-in di De Rossi, rivisto almeno lui felicemente arrembante. L1 a 1 agguantato quasi allo scadere del primo tempo ha incrementato i nostri sogni di inguaribili ottimisti. Ci ha pensato Taddei, fin lì già malinconicamente inutile, a riaprire lincubo, insultando il guardalinee Stefani, severo quanto permaloso, come aveva già fatto in precedenza: Roma in dieci dal 3° della ripresa. Sè rotto anche Motta (un brutto stiramento, stavolta: non può essere solo una maledizione, quella che da anni tormenta Trigoria), dopo mesi è rispuntato dalla cripta Cicinho, sè fatto cacciare Basta, incassando il secondo giallo per trattenere lo scatto di Vucinic in contropiede. Poteva essere la svolta per i giallorossi, nel match tornato in parità numerica e narcotizzato anche dai tremori udinesi. Forse Ranieri avrebbe dovuto pescare subito qualcosa, in quella pur risicata panchina: magari un Baptista o un Okaka in grado di andare a fare a sportellate con i difensori di Marino, non proprio terrorizzati dalle giocate di Vucinic. Invece non è cambiato niente e la svolta lha centrata lUdinese, che probabilmente neanche ci credeva più granché. Proprio come in un incubo, è rispuntata in mischia la capoccia di Floro Flores, pronto a sfruttare la sua prontezza di riflessi quanto lingloriosa panzata di Doni, monumento al portiere che fu. I giochi si sono chiusi a quel punto, inutile sperare che qualcuno facesse per una volta con decoro il suo mestiere. Inutile soprattutto chiedere un gol a Vucinic, che da 150 giorni si astiene con impegno formidabile da questo compito pure banalissimo per un attaccante tecnicamente dotato (e strapagato) come lui. Quello che resta del montenegrino con i colpi di Ibrahimovic sè mangiato un pari più facile di quello fallito domenica contro il Livorno, scaricando da brocco alle stelle un gran pallone messo in mezzo da Cicinho. Match finito, come una squadra abbandonata da tempo alle sue miserie, ormai perfettamente in linea con una società che conosce concretezza soltanto nella pervicacia mostrata nel difendere il proprio indifendibile operato, nel cercare in ogni modo e con ogni mezzo consensi alla propria lampante incapacità, nel difendere con i denti non gli interessi di un esercito di appassionati (e una bandiera che è di tutti) ma i propri ricchissimi autofinanziamenti, nel ribadire la sempre più evidente volontà di mantenere, costi quello che costi, il controllo di una proprietà-paracadut che, pure, non potrà mai essere assimilata a un palazzo, a un quadro, a un servizio di posate. Un club allo sbando, una squadra a brandelli. Vergognatevi. E aridatece la Roma, prima che sia troppo tardi.