In The Box 27/05/2025 12:13

Liberi da che cosa?

risateitb

LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Ci siamo concentrati sulla rincorsa alla zona Champions League nella speranza che la semi impresa di Claudio Ranieri diventasse un miracolo. A mente fredda, a campionato chiuso, guardando la classifica, ci chiediamo in cosa la Roma avrebbe potuto fare meglio negli ultimi mesi, e ci viene da maledire la serata di Bergamo, perché il percorso nel girone di ritorno è stato affrontato a ritmo scudetto. Ma la classifica finale parte da Cagliari-Roma e termina a Torino-Roma. E allora, preso atto dell''ennesima stagione che si giocherà senza Champions League, evidenziamo anche un altro dato.

La Roma ha chiuso il campionato a 13 punti dal Napoli, senza mai avere dato la percezione di potersi avvicinare al podio. Come troppe volte accaduto negli ultimi anni. Quasi 7 vittorie di differenza. Un'enormità senza senso. E pensare che il Napoli non è la Juventus, non è l'Inter, non è il Milan, squadre che nei decenni spesso hanno staccato la Roma in classifica annichilendo ogni speranza di competitività. Napoli e Roma appartengono alla stessa categoria. Sono storicamente club che provano a contrastare i potentati del nord, riuscendoci una volta ogni venti anni, raccogliendo briciole e collezionando arrabbiature epocali, lamentando torti e costringendosi a celebrare le poche stagioni epocali del passato. La Roma come il Napoli, come in parte la Lazio, come in minima parte la Fiorentina.

Nel mentre, da troppo tempo, a Roma si è abbassata l'asticella delle aspettative. Dall'arrivo degli americani, si contano sulle dita di una mano le partecipazioni alla Champions League e avanzano anche, le dita. Nel mentre, realtà periferiche sono cresciute. Da poco meno di dieci anni è esploso il fenomeno Atalanta. da rivelazione a realtà consolidata. La Roma le ha fatto spazio fino al punto di essere soddisfatti se si perde di misura a Bergamo.

"E che vuoi andare a fare punti a casa di Gasperini?" Era il motivetto stonato cantato dalla propaganda della prima Roma americana. Stava diventando normale che, oltre alle grandi del nord, si pagasse dazio pure all'Atalanta. Roba da sbattere la testa contro gli spigoli. La Roma che per fatturato e monte stipendi stava nettamente davanti ai nerazzurri, non poteva più neanche immaginare di competere con loro. Oggi c'è pure il Bologna. Sì, la squadra che ha vinto la Coppa Italia dopo quasi mezzo secolo. E via a lodare il lavoro degli emiliani e a sospirare "magari sapessimo farlo pure noi".

Noi che da troppo tempo ci siamo specializzati nelle celebrazioni degli avi. Ogni giorno una ricorrenza. Ci esce la lacrimuccia nel giorno dell'anno in cui abbiamo battuto il Barcellona di Messi. Ci sale l'erezione il giorno del compleanno dei nostri idoli. Rimpiangiamo direttori sportivi che in carriera non hanno manco mezzo trofeo, esultiamo se il Sunderland viene promosso in Premier League obbligandosi a riscattare Le Fée. Rimpiangiamo le plusvalenze realizzate vendendo Marquinhos e Alisson. Ci battiamo il petto per gli ottantasette punti di Spalletti. I calciatori vantano più targhe regalategli dai volenterosi club dei tifosi che obiettivi raggiunti. C'è un appiattimento che fa spavento. Speriamo che venga l'allenatore X così da poter rinfacciare allo speaker o allo streamer odiato di avere detto che sarebbe arrivato l'allenatore Y. Viviamo perennemente in uno spin off. Gli altri giocano, competono, vincono. Noi giriamo film che vedremo soltanto noi, nella nostra testa. Intorpiditi.

Il Napoli in tre anni ha vinto due scudetti. In due modi diametralmente opposti fra loro. Noi facciamo la guerra dei sottoinsiemi: la scelta dell'allenatore la commentiamo in base ai nostri interessi, io sono per i pragmatici tu per i giochisti, devo vincere la mia partita e soltanto dopo, forse, si penserà alla Roma. Sosteniamo le correnti di partito, ci si schiera a seconda di simpatie o antipatie nutrite ne confronti di dirigenti, addetti stampa, maestranze che frequentano Trigoria. Nel frattempo, la bollente tifoseria del Napoli nel giorno della celebrazione della squadra che sui pullman scoperti passeggia per lungomare Caracciolo, al netto delle classiche esagerazioni, ostenta una sorta di pacatezza mentale. Sapete perché? Perché vincere a Napoli non sarà diventata un'abitudine, ma ora sanno come si fa, hanno acquisito consapevolezza. In tre anni lo stesso numero di scudetti vinti nei precedenti novantasei. Vincere fa bene e per provare a farlo ancora anticipano tutti puntando De Bruyne. Danno la sensazione di avere fatto il salto di qualità. A Roma, dall'arrivo degli americani, vincere è diventato un optional. Un trofeo, europeo, dal 2008.

E il pensiero corre al 2011, quando all'annuncio della cessione del club in molti scendevano in piazza con la bandieretta in mano. Giallorossa? No. Stelle e strisce. Urlavano "siamo liberi".

@augustociardi75