In The Box 10/10/2024 11:13

Meglio in francese che niente

ghisolfi in the box

LR24 (AUGUSTO CIARDI) - C'è stato un tempo in cui era lecito convincersi che la Roma avesse un organigramma perfetto per fare calcio nel modo migliore, per rappresentarsi con decoro e amministrare come un club dovrebbe. Era il 2011, la prima Roma americana ingaggiava Fenucci, Baldini e Sabatini. Il presidente era Thomas DiBenedetto. Ricordate? Ogni era, ogni governo, ogni proprietà calcistica, ha una propaganda. La propaganda dell'epoca lo descriveva come uno dei personaggi più influenti al mondo, i quotidiani uscivano con le foto satellitari delle sue proprietà, si evidenziava che la dependance della tenuta diBenedettiana fosse più estesa del Molise.

A distanza di pochi mesi, DiBenedetto, quello col cognome che prevede la terza lettera maiuscola, fu degradato perché in ascesa c'era James Pallotta, per i più intimi Jimmy. Quindi Thomas, per gli ex amici Tom, divenne quello che portava sfiga perché quando andava all'Olimpico la Roma perdeva. Di lui si ricordano le foto nei Roma club e nelle pizzerie. Ma torniamo ai dirigenti. Baldini più Sabatini più Fenucci. C'era tutto per fare bene. E va detto che Sabatini e Fenucci fecero bene. Peccato che Baldini si era trasformato. Doveva essere il custode della Roma. Fu la cosa peggiore che si potesse immaginare. Arrivò scazzato, svelando in conferenza stampa che non c'era un solo motivo per cui dovesse tornare ma che era tornato lo stesso. Per impedire che si regalassero biglietti omaggio in tribuna. Insomma, era meglio se fosse rimasto a bere caffè. Sabatini fu costretto a diventare frontman. E gli piacque troppo. Al punto che la narrazione epica che lo accompagna da quasi tre lustri lo racconta come se fosse un filosofo con l'animo del cavaliere che va alle crociate. Rappresentava al meglio la Roma? No. Aveva un portafoglio di vocaboli molto ridondanti, leggermente superiori alla media calcistica, quindi in conferenza stampa ammaliava gli animi più semplici. Ma se la Roma era vessata dagli arbitri, se c'era da ribattere a frasi ambigue o pesanti nei confronti del club giallorosso espresse da terze persone, spesso spariva pure lui. Come tutti, salvo rare eccezioni.

Ci siamo focalizzati sull'organigramma della stagione iniziale del corso americano, perché sulla carta era il migliore possibile. Ma ciò nonostante pieno di lacune. Figuriamoci gli altri. Non va dimenticato che la Roma ha avuto per un quadriennio Italo Zanzi nel ruolo di CEO. Oggi va di moda scagliarsi contro i CEO. All'epoca Zanzi al massimo era oggetto di ironia per la presunta bella vita che conduceva. Nessuno si chiedeva se fosse il dirigente giusto, sapendo che non lo era. Uno da quasi un milione lordo l'anno che arrivò a incassare persino un bonus Champions League da centinaia di migliaia di euro lordi.

C'è stato a lungo, e in vari ruoli, Mauro Baldissoni, avvocato come l'attuale delegato Lorenzo Vitali, che con gli anni acquisì esperienza in materia calcistica, ma che quando entrò nella Roma era un debuttante assoluto. Umberto Gandini, oltre venti anni nel Milan di Berlusconi e Galliani, risultò sprecato per certe mansioni affidategli. Se ne andò in punta di piedi dopo neanche due anni.

Quindi, fra i direttori sportivi parlanti, si sono alternati Monchi, tragico pure come comunicatore, e Petrachi, che solo per aver provato a difendere la Roma dopo uno scempio arbitrale contro il Cagliari si scavò la fossa a Trigoria. Perché la linea editoriale dell'associazione sportiva targata USA era dettata dal bontonismo manierato. Erano soliti ringraziare gli arbitri che a fine partita ammettevano di avere massacrato la Roma con decisioni folli. Giammai battevano i pugni sul tavolo. I corridoi di Trigoria dovevano essere la passerella di Pitti Uomo. O un salotto da circolo lungofiume.

Ci sono stati Fienga e Berardi, fino alla Souloukou, più Tiago Pinto. Totti dirigente durò un amen, ma era folle pensare che potesse durare nel club in cui il primo consigliere del presidente Pallotta era Baldini, quello che non ha mai capito per quale dannato motivo fosse tornato.

Oggi c'è Ghisolfi, l'unico dirigente disintegrato dai mass media prima ancora di mettere piede in Italia. Deriso, quasi diffamato, dopo lo scempio di Monza ha fatto ciò che era giusto fare. Urlare sdegno. In francese? Sì, ma sarà meglio sentir dire 'C'est penalty!' o si stava meglio quando i dirigenti ringraziavano il catastrofico arbitro di Roma-Monchengladbach per avere ammesso gli errori? Ghisolfi viene bullizzato dal giorno del suo annuncio. D'altronde è facile dedicare chi non ha le spalle larghe così. Ghisolfi sconta gli errori dei predecessori, gli si addebitano anni di assenza altrui nei ruoli di rappresentanza. Perché nessuno dei signori nominati in questo rubrica può vantarsi di avere rappresentato, custodito e difeso al meglio la Roma vestendo i panni da dirigente. Quindi Ghisolfi verrebbe criticato pure se parlasse in romanesco e si vestisse da Meo Patacca.

In the box - @augustociardi75