In The Box 17/09/2024 11:13
Oggi Totti non sarebbe di moda
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Fateci caso, il pallone non si sgonfia più. E non c'entrano nulla i materiali avveniristici utilizzati per confezionare l'attrezzo. Parliamo di filosofie. Di fine ultimo. Di mezzi su cui salire per completare il viaggio senza inconvenienti.
Un anno e mezzo fa, mezza Italia derise Vincenzo Italiano e la sua Fiorentina perché il gol decisivo subito dal West Ham nella finale di Conferenze League arrivò in extremis con la difesa schierata a centrocampo. Sempre più spesso i calciatori "moderni" non percepiscono i momenti, non li sanno leggere. Bombardati da nozioni tattiche, necessitano di allenatori che dal primo al centesimo minuto stiano a bordocampo col joypad delle console in mano a telecomandarli. E la colpa non sempre è degli allenatori. Spesso il bug si riscontra alla voce personalità. Che in panchina ci sia Guardiola o De Rossi, Motta o De Zerbi, si fatica ad andare in autogestione.
Badate bene, autogestione non significa ammutinamento. Vuol dire difesa del territorio conquistato. Del risultato. Manca la percezione del pericolo. Sempre più spesso le squadre chiamate alla rimonta, nei minuti di recupero non partono all'assalto alla garbaldina, si attengono al copione, fatto di costruzione dal basso, di giro palla, mentre la gente disperata sugli spalti o davanti al televisore urla, sgolandosi, di buttare il pallone avanti. Il massimo dello slancio è dei portieri che a venti secondi dal fischio finale se c'è un calcio d'angolo salgono nell'area avversaria per cercare il gol di testa. Se invece il gol nei minuti di recupero è da evitare, si segue la sceneggiatura giocando il pallone come se la partita fosse iniziata da un quarto d'ora.
Quante volte avete assistito negli ultimi anni alla scena tipica in cui Totti, invece di cercare l'area puntava la bandierina nella metà campo avversaria per poi dare le spalle al mondo intero, curvando la postura e giocando il pallone con la suola per irretire i nemici fino a conquistare una punizione per fallo di frustrazione o uno, due, cinque calci d'angolo da battere corti col compagno per guadagnarne altri e fare passare secondi vitali? Sempre più raramente. Il pallone, quando necessario, va sgonfiato. Ma nessuno lo sgonfia più. E manco si spazza. Al massimo lo si spara nella metà campo avversaria quando non riescono gli schemi. Ma a dieci o venti minuti dalla fine, urlando così al mondo intero che non si riescono più a seguire gli intendimenti del proprio allenatore. Come a dire: siamo in tilt, non sappiamo cosa fare.
Un po' quello che è successo alla Roma contro il Genoa. Avrebbe meritato la vittoria, ma si è accartocciata nel momento di apnea e alla fine il Genoa, bene organizzato ma molto modesto nella resa, ha potuto crederci fino al recupero nel recupero. E dai e dai, un gol lo prendi. Perché la Roma difendeva il fortino sbagliando sistematicamente le scelte. Uno stop sballato di Shomurodov, i soliti impacci di Celik, un tentativo non si sa di cosa di Pellegrini. Che ha subito fallo, ok, ma ha rischiato la giocata davanti alla propria area invece che sparare via il pallone verso l'infinito sapendo che, cronometro alla mano, il Genoa probabilmente non avrebbe avuto il tempo di riorganizzarsi per tentare la giocata della disperazione. Facilitata poi delle belle statuine, in maglia bianca chiazzata di arancione, impalate davanti a Svilar.
Ci vuole personalità anche per cercare la bandierina e iniziare in quell'angolo una danza tribale propiziatoria. Perché rompe gli schemi. E i calciatori di oggi sempre più di rado sono in grado di andare fuori spartito.
In the box - @augustociardi75