In The Box 23/04/2024 12:26

Gli anestesisti

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LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Ancora una volta, Daniele De Rossi ieri ha impartito una lezione di comunicazione a margine della partita. Vero che ha tolto alibi alla squadra, che ha perso per meriti del Bologna e non per colpa dell'arbitro, ma ha anche fissato nelle teste pensanti un paio di frasi emblematiche, soprattutto quando ha ribadito che l'Atalanta affronterà la Fiorentina a giochi fatti. In modo elegante, senza polemizzare, ha tirato una stilettata al sistema calcistico italiano, poche ore dopo le dichiarazioni del presidente Casini che, come se non sapesse che la Roma giocherà in Europa League, aveva esaltato la magnanimità della Lega nel concedere al club la possibilità di scegliere in che giorno giocare contro il Napoli.

Ma se il 25 c'è il recupero a Udine, e il 2 maggio c'è il Bayer, quando, se non domenica, si sarebbe potuto andare al Maradona? Il 32 ottembre? Sembra una serie tv del genere fantasy. Come l'arbitraggio di Maresca. Che non avrà inciso sull'esito di Roma-Bologna, ma è riuscito lo stesso a risultare il peggiore in campo. Peggio di Angelino, Celik e Abraham. A fine primo tempo c'era la sensazione che avrebbe ammonito pure Ryan Friedkin in tribuna autorità. E guarda un po' la Roma perderà per squalifica Paredes e Llorente. Amen.

De Rossi si trova a fronteggiare a testa alta il momento cruciale della stagione, le mine vaganti vestite da arbitri, e l'aria strana che a Roma ha sostituito da anni il ponentino. Perché da qualche stagione, una dozzina, c'è una parte di piazza che si lega più al galateo che alla passione, che prende le distanze dall'animo romanista, da sempre di lotta e mai di governo. Ci si indigna per le proteste, che il più delle volte sono sacrosante. E involontariamente, o per scarsa conoscenza, si rinnega il passato. Perché a chi parla di arbitri gli viene risposto "ti meriti Ferrero e Gaucci". Come se Dino Viola e Franco Sensi in passato non si fossero mai schierati contro i soprusi subiti. È un modo di pensare figlio della prima era americana quando, per assenza di carisma nei dirigenti che si alternavano nei vari uffici amministrativi, non si era in grado di rappresentare lo spirito ribelle di una tifoseria che da sempre fa i conti coi torti arbitrali.

Un manierismo fuoriluogo, fuori dal tempo, in un calcio che deve prevedere anche la marcatura del territorio. Un organigramma dirigenziale per nulla rappresentativo ai tempi di DiBenedetto e Pallotta, più un metodo tutto americano fatto di toni bassi e riguardosi. Che ha fatto proseliti anche fra i tifosi. Un metodo americano che ha fatto clamore pure nella Roma attuale, perché il silenzio assordante post Budapest continua a echeggiare.

Ma poi ci si rende conto che quando il club si rompe le scatole e decide di alzare la voce, e da un po' di tempo lo sta facendo sia in pubblico sia nelle famigerate sedi opportune, la reazione della massa è parzialmente soft. Per esempio, il duro comunicato post Udine ha impattato su una piazza parzialmente anestetizzata da una dozzina di anni di bontonismo inamidato. Se ne è parlato, ma neanche troppo. Ed è tosta per un club provare a legittimare i propri diritti, se ai media nazionali spesso vestiti da farisei, si aggiunge chi in casa inorridisce davanti alle escandescenze dei tesserati della Roma. Nei decenni scorsi se qualcuno affermava che a fine stagione torti e favori si compensano, Roma scattava in piedi a controbattere. Quasi mai si otteneva giustizia. Ma quantomeno ci si toglieva un peso dallo stomaco.

In the box - @augustociardi75