In The Box 03/04/2024 14:56
Bolliedholm
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Siamo nel 1989, esistono già i social. Su Instagram si moltiplicano le foto dei giovani a bordo della Renault Super 5, mentre i boomer evidenziano su Facebook la praticità e il comfort della neonata Fiat Tipo, che ha finalmente mandato in pensione la Ritmo. Ancora qualche settimana e su Tik Tok impazzerà come colonna sonora la Lambada. Sanremo lo hanno vinto la Oxa e Leali, il capolavoro lo ha cantato Mia Martini (Almeno tu nell'universo), ma le radio passano di continuo Vasco di Jovanotti e Cosa resterà degli anni 80 di Raf. Twitter ancora non si chiama X, ma nel 1989 social e giornali si sono già adeguati ai tempi moderni.
Nils Liedholm, che si è beccato un esonero da Dino Viola, viene richiamato al capezzale di una Roma altamente deludente, nonostante gli arrivi a inizio stagione di Renato Portaluppi e dell'annuncio golden boy italiano Ruggiero Rizzitelli. Avventati più che spregiudicati, i commenti un tanto al chilo crocifiggono il santone scandinavo. Liedholm non si chiama più per cognome. È il Bollito. Bolliedholm. Così lo etichettano i nuovi guru della comunicazione su twitch, tra un'esclusiva che si rivelerà una balla e una diretta urlata fino a fraccassare i timpani degli abbonati al canale, urticante fino a fraccassare i coglioni degli sfortunati che si beccano su WhatsApp gli audio inoltrati. Più che calcio mordi e fuggi, è calcio mordi e vomita. A Roma chi vince si becca la pecetta.
Non si sarebbe salvato neanche il suo allenatore più grande di sempre. Figuriamoci se due anni dopo avrebbe potuto farla franca #ottaviobianchipelatolaromaciairovinato. Sarebbe stato hashtag in tendenza per almeno un semestre. E ammetto di averlo cantato pure io perché "si permise" di ridimensionare l'idolo Giannini. Ottavio Bianchi. Una Coppa Italia vinta nell'anno in cui la sua Roma arrivò in finale di Coppa Uefa, vinta dall'Inter con favori arbitrali. Funziona così. Bianchi, che allenava la Roma più di trenta anni fa, fa parte della stretta cerchia dei quattro allenatori della Roma ad avere vinto almeno un trofeo dal 1987 a oggi. Con lui, Capello, Spalletti e Mourinho. Prima di Bianchi, Eriksson, che fu considerato un ufo troppo freddo nonostante propose la Roma più bella di sempre, vinse una Coppa Italia e perse non si sa come uno scudetto. Uniti da un destino ingrato. Uniti dalle pecette. Quelle di una città che si autodefinisce schietta e sincera ma che spesso tracima nell'irriverenza piaciona, sguaiata e presuntuosa. Che accoglie tutti ma venera il pressappoco, preferendolo a tutto ciò che è distante anni luce dalla propria indole. Non passa il forestiero, nonostante nel calcio la Roma abbia vinto soltanto grazie a gente importata.
Quindi, Ottavio Bianchi? Capirai, un bresciano che vive a Bergamo, più che forestiero, uno straniero, o meglio un alieno, e il suo modo di fare che non prevedeva pacche sulle spalle e ammiccamenti in conferenza stampa, che cozzava troppo col volemose bene che deve vigere ad altezza Laurentina. Capello? Aspettiamo che ci renda la Mazda. Spalletti? Ci ha messo del suo per rovinare la seconda esperienza romana, ok, ma si è fatto ingoiare da un vortice di acque limacciose, si è scannato con Totti, ci ha rimesso per tutti la Roma e lui, per molti, rimarrà soltanto il Pelato maledetto.
Quindi è toccato a Mourinho. La frangia più patetica di nuovi haters è composta dagli amanti del salto della barricata. Adoranti fin quando il portoghese se la comandava, elemosinanti di informazioni di seconda e terza mano a ogni ora del giorno e della notte, pronti e proni fino a concedergli lo ius primae noctis, hanno poi imitato Schettino e ora lo deridono. Non solo sui social. Chi vince, spiazza la piazza. Talmente disabituata a vincere che si convince che ci sia qualcosa che non va da trovare, e se non trova nulla costruisce. Aneddoti, peccati, retroscena. Perché a Roma troverai sempre una gola profonda pronta per rancore e mitomania a raccontarti, ricamando, il dettaglio più scabroso.
Ora in panchina c'è De Rossi. Sette vittorie, due pareggi e una sconfitta, più due turni superati in coppa. Ma è bastata una grigia pasquetta in Salento per guastare il tempo. L'augurio è che vinca, che entri nel gotha dei vincenti. Ma che non entri nel club dei pecetatti. Lui non è forestiero, conosce la materia. Sa navigare certi mari, ma sappia che persino il grande Liedholm oggi sarebbe finito tra le spire della cialtronesca abitudine di respingere i vincenti. Troppi grandi per la pigra indolenza locale.
In the box - @augustociardi75