In The Box 02/11/2023 16:36
La vita degli altri
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Consapevole dei suoi limiti, problemi e difetti, la Roma ha due motivi che possono indurre a un moderato ottimismo. La capacità di migliorare recuperando gli infortunati, soprattutto in alcuni reparti in cui si contano dei casi clinici mortificanti, e la consapevolezza di dovere fare la corsa su squadre tutt'altro che imbattibili.
C'è da capire se la fuga in vetta alla classifica sia definitiva. Perché se Inter, Juventus e Milan hanno piazzato lo sprint decisivo, con conseguente mini torneo a tre per lo scudetto, allora per entrare in zona Champions League si scanneranno cinque squadre per un posto, o due se la coppa che conta aprirà alla quinta italiana in classifica. Napoli, Fiorentina, Atalanta, Lazio e Roma.
Ultima del contingente al momento è la squadra di Mourinho (con tutti i complimenti del mondo, non prendiamo in considerazione il Bologna rivelazione), perché all'ultimo respiro la Lazio ha stoppato la Fiorentina. Ma la Lazio stessa fa i conti con l'anagrafe di Immobile, con il famoso gioco di Sarri che non ha mai attecchito al punto da renderlo un marchio di fabbrica, e con un'altalena di risultati che causano una precarietà di giudizi sulle reali possibilità di una squadra che mai come quest'anno ha tante alternative ai titolari. Basti pensare al fatto che, finalmente per loro, c'è un vice Immobile in grado addirittura di relegare il titolare in panchina. E che in mediana sono in sei per tre maglie (Luis Alberto, Cataldi, Vecino, Guendouzi, Rovella e Kamada). Eppure oltra ad avere perso 3 partite in più rispetto a un anno fa, segna molti meno gol (13 rispetto a 22) e ne subisce molti di più (12 oggi, 5 nel 22-23). Numeri che si possono spiegare anche con un impegno mentale in Champions League nettamente superiore rispetto al piglio con cui ha affrontato Europa League e Conference League nella passata stagione, quando collezionò figuracce.
La Fiorentina lo scorso anno a quest'ora era un mezzo disastro. 10 punti, 8 gol fatti (meno di 1 a partita), ben 12 subiti. Poi avrebbe cambiato marcia, centrando addirittura due finali nelle coppe. Reggerà la sua attuale tendenza in campionato? Presto per dirlo. All'Olimpico, lunedì, non meritava di perdere. Ma la sconfitta con l'Empoli ha avuto il sapore di una partita che rimanda all'esame di maturità una delle due squadre. Quella di Italiano, appunto.
Scaliamo la classifica, al quinto posto c'è il Napoli. 18 punti, 8 in meno rispetto alla cavalcata con Spalletti, che dopo dieci giornate aveva vinto tutte le partite tranne quelle pareggiate a Firenze e con il Lecce. Ora c'è Garcia. Per molti napoletani, il francese è il sangue del santo che non si scioglie, il presagio sin dal suo ingaggio che sarebbe andata a finire non male ma malissimo. Garcia ci prova, tra le dichiarazioni di De Laurentiis che prima appicca l'incendio e poi si veste da pompiere, coi calciatori più in vista che a favore di telecamera lo mandano al patibolo se vengono sostituiti. Ci prova e commette pure parecchi errori. Eppure il Napoli sta lì, inteso come in lizza per il quarto posto, e può passare il turno in coppa. Ma è una squadra scalabile, e soprattutto sembra una bomba a orologeria, col timer pronto a scandire secondi di angoscia dopo ogni vittoria mancata.
Quindi c'è l'Atalanta, oggi quarta. Gasperini ha superato persino la crisi del settimo anno, un capolavoro senza soluzione di continuità. Sono praticamente partiti tutti i grandi protagonisti delle prime stagioni, salvo De Roon, ma le trasformazioni non hanno scalfito la crescita di una società che pratica ai massimi livelli il calcio sostenibile. Quest'anno vanta pure uno Scamacca in più. Che nonostante un avvio in infermeria, può dare ai nerazzurri ciò che da oltre un anno non ottenevano più da Zapata. Atalanta che però da un paio di stagioni non sembra più quella schiacciasassi che per sette, otto, dieci partite devastava big e provinciali. Si inceppa con più frequenza. Travolge meno, vince in maniera meno disarmante.
Atalanta, Napoli, Fiorentina e Lazio. Quattro squadre che precedono la Roma, che non sta a distanze chilometriche. Che deve recuperare tanti punti persi nei match contro le residenti nella seconda metà della classifica (10 contro squadre dal tredicesimo posto in giù). La domanda è sempre la stessa. Quale Roma? Quella con Smalling, Renato Sanches, Pellegrini e Dybala? O quella che ha perso pure Spinazzola, che rivedremo dopo la sosta? Perché tutto è migliorabile, a cominciare dalle prestazioni offerte nei match in cui non ha vinto. Si poteva fare meglio, per prestazione, persino contro la super Inter. Figuriamoci contro Torino, Genoa, Verona e Salernitana. Ciò spazza via molte attenuanti, ok.
Ma leggendo i tabellini delle partite in modo oggettivo si possono pure cancellare tanti presupposti sbagliati. Perché la storia di questo primo quarto di Serie A dice che è un errore parlare delle potenzialità della Roma di Smalling, di Sanches, del capitano Pellegrini e di Dybala a supporto di Lukaku. Perché Smalling è out da sessanta giorni, Sanches finora è stato un calciatore virtuale, Pellegrini ha fatto soltanto una partita per intero su dieci. E il Dybala che manca da un mese, aveva già saltato tre match a inizio stagione.
Nessun alibi, giusto rimarcarlo. Anzi, uno spunto di riflessione per il futuro. Provare nei limiti del possibile a rafforzarsi con calciatori poco inclini ai guai fisici. Anche così si migliora una squadra. Meglio un soldato semplice vivo che un grande generale moribondo.
In the box - @augustociardi75