In The Box 30/10/2023 10:11

Tutti nella comfort zone

Progetto senza titolo

LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Non una vittima sacrificale, ma una squadra che come massimo risultato poteva ottenere un eroico e fortunato pareggio, sapendo però di doversi scontrare con un destino già segnato. La sensazione che ha offerto la Roma a Milano è quella di una squadra convinta più del dovuto del divario esistente con i più forti del campionato. Il match è stato anticipato dalle parole di Tiago Pinto, che ha evidenziato la stortura dei calendari che per la Roma spesso diventa tortura. Tutti possono giocare il lunedì tranne noi, la sintesi. Ok, chiaro, se ne discute da settimane. Nei bar, a scuola, sui social, tramite i media locali. Quindi? Pinto è dirigente di una società che non ha peso politico, persino le provinciali sanno battere i pugni sui tavoli che contano. La Roma no. Non si offenderà nessuno leggendo questa affermazione. La Roma nella classifica della politica calcistica arriva ultima. Arriverebbe ultima anche in Serie B. Serve a poco parlare come parlerebbe qualsiasi tifoso. Cosa fa il club per avere diritti che tutti possono vantare, tranne la Roma? Se fa qualcosa, lo fa nel modo sbagliato, perché non ottiene nulla. Se non fa nulla, inutile lamentarsi, si diventa ridicoli. Che ci sia un torto arbitrale o una stortura "politica", quel silenzio ostentato diventa complice di un sistema che poi non si può contestare.

E arriviamo alla partita. Si capisce subito che aria tira. Attacco contro difesa, assenza totale di verve costruttiva. Massima concentrazione in fase difensiva, ma non basta, perché col passare dei minuti la Roma fa da sparring partner all'. L' che scherza sulle fasce Kristensen e Zalewski, l' che col suo dinamismo in mediana fa diventare dei lillipuziani , Cristante e Bove, l' che neanche deve impegnarsi per fare in modo che Lukaku ed si perdano nella solitudine. Non c'era bisogno dei fischietti per inibire il belga. Sarebbero bastati i limiti e l'atteggiamento della Roma. Lukaku per la prima volta in carriera non ha fatto un tiro in porta, e non per colpa della curva nord nerazzurra o delle vergognose campagne stampa di alcuni rinomati media nazionali. Due big match in dieci partite. Due sconfitte senza attenuanti, col Milan il primo settembre, con l' il ventinove ottobre. Due partite caratterizzate da assenze che, possiamo dirlo, non dipendono soltanto dalla sfiga. Perché, con tutto il bene che gli si possa volere, Pellegrini, Dybala e Smalling sono diventati un problema per una squadra con la personalità di un topolino impaurito quando gioca contro le big, e che tecnicamente, tolti alcuni lungodegenti, vale poco. Se poi iniziamo a valutare il mercato estivo, possiamo parlare forse, dopo due mesi e mezzo, di Aouar, né carne né pesce, di Kristensen che si aggiunge alla collezione di terzini destri da incubo, dello stesso Ndicka, che si è capito non sia la reincarnazione di Thuram padre. A parte il totem Lukaku, soltanto i più ingenui e a digiuno di calcio internazionale potevano credere che la differenza la facesse Renato Sanches. 69 minuti giocati su 900 (più recuperi). A oggi, una follia pensare a lui per il salto di qualità in mezzo al campo. Sapere di potersela prendere con Pinto, deus ex machina di questa sontuosa operazione, non aiuta, non porta punti in classifica, non offre soluzioni a un centrocampo indebolito persino rispetto a un anno fa. Poi però uno rielabora il match del Meazza. E non serve un corso a Coverciano per capire che la Roma potesse e dovesse fare di più. Perché ha dato la sensazione di scendere in campo in attesa dell'ineluttabile. Troppa grazia per l'. Sembrava la partita che una volta si giocava il giovedì sul campo di allenamento in vista del match di campionato: -Pro Patria, -Pergocrema, o qualcosa del genere.

La Roma è arrivata a Milano mentalmente già mangiata. Senza un briciolo di volontà per ribellarsi al destino. Difendiamo il fortino, se poi il nemico fa breccia, usciamo con le mani in alto, doveva andare così. L' potrà pure vincere la Serie A con venti punti di distanza dalla seconda. Le seconde linee sulle fasce, Carlos Augusto e Darmian, sarebbero titolari e capitani nella Roma attuale. Per loro entra Frattesi, per noi al massimo Pagano. Tutto vero, ma tutto ciò non giustifica statistiche finali che creano imbarazzo: un solo tiro in porta, assenza totale di assistenza alle punte, uno contro uno sistematicamente persi, carattere da debuttanti allo sbaraglio e mancanza totale di spirito reattivo dopo il gol di Thuram, quando recupero compreso mancava un quarto d'ora al fischio finale. Così non va bene. Il campionato non può diventare una lunga tappa di avvicinamento agli ottavi di Europa League. Perché sarebbe una via crucis. C'è la sensazione che a Trigoria ci sia un clima da "tiriamo avanti fino a maggio, prendiamola bene il più possibile, tanto a fine stagione cambiamo programma e allenatore, e magari nel frattempo proviamo a fare strada in coppa". Se così fosse, sarebbe delittuoso. Friedkin, Pinto, Mourinho e la squadra escano dalla comfort zone della mediocrità di una Serie A che vede la Roma dal 2018 essere una comparsa.

In the box - @augustociardi75