In The Box 12/08/2023 17:50
Matic, Paredes, l'unto che diventa untore e il solito gioco delle parti
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Ogni calciomercato è uguale all'altro. Cambiano le possibilità economiche, cambiano i super protagonisti che hanno soldi da spendere, ma le dinamiche sono sempre le stesse. Anche le reazioni della massa, e spesso le reazioni sono figlie di percorsi mentali banali, che si fermano al primo strato di pelle, perché si ha paura a scavare, non si vogliono scoprire i nervi, toccare i muscoli, non ci si vuole sporcare col sangue andando a fondo.
Giorni fa veniamo a sapere dalla fonte più sicura che esista sulle cose di Roma, che è scoppiato il caso Matic. Fino a quel giorno, da qualche giorno, in Francia parlavano di offerta del Rennes al calciatore, propenso ad accettare. Approfondiamo. E veniamo al dunque. Il caso esiste, il centrocampista vuole andare, gli anni di contratto sono due, il piatto è ricco, lo stipendio alto. Scelte di carriera. Di portafogli. Anche di vita professionale. Lo spogliatoio della Roma non è diverso dagli altri.
A conferma di ciò non bisogna per forza raccontare aneddoti sulla Lazio di Maestrelli, negli anni in cui serviva il metal detector. Non serve snocciolare aneddoti sui clan, degli argentini, dei brasiliani, dei romani o dei milanesi, sulle liti Giannini-Renato o su Ancelotti che appiccicò Sheva al muro. Storie vecchie, arcinote, ingiallite. Utili a volte, però, per ricordare che non esistono posti di lavoro in cui tutti si amano, vanno a cena e in vacanza insieme e fanno gruppo con le rispettive famiglie. Semmai fanno gruppetto.
Trigoria non si sottrarre alla regola. Quindi Matic non deve essere amico di tutti. L'importante è lavorare per il bene comune, la squadra. Concetto banale. Quindi è successo che lo spogliatoio della Roma, a cominciare dell'allenatore, ha visto in Matic uno che a pochi giorni dal via ha pensato di scendere dalla nave. Apriti cielo.
Per la legge del "dimmi solo ciò che voglio sentirmi dire", è partito il tiro al bersaglio mediatico. All'inizio non contro Matic, contro chi ne parlava e ne scriveva. "Sei nemico della Roma, sei un mitomane che millanta di parlare con Mourinho, stai destabilizzando la piazza". Solite storie. Mentre invece chi si abbeverava alla fonte del club, si beccava like e allisciamenti. "Tu sì che dici la verità", "Grande!" "Mio padre!" "Mi nonno!" Già, perché la Roma smentiva. Solita banalità del "da Trigoria fanno sapere". E che dovevano fare a Trigoria? Quello che banalmente e stoicamente fanno tutti i club, armando uffici stampa o esponendo dirigenti. Fa parte del gioco. Un club deve fare i propri interessi, non quelli dell'informazione. Chi informa, forse, dovrebbe invece andare oltre il messaggino ricevuto dagli uffici dei centri sportivi. A ognuno il suo ruolo, la sua parte in commedia. Perché non parliamo di tragedie ma di commedie.
Matic ha aperto una voragine. Non soltanto perché un sontuoso calciatore rischia di lasciare un vuoto in campo a una settimana dall'esordio in campionato. La voragine ha visto sprofondare anche la considerazione del gruppo per un calciatore che parte dello spogliatoio in pochi mesi ha eletto punto di riferimento. L'unto del Signore è diventato l'untore.
Poi nel calcio si sa come vanno le cose. Basta che salti un trasferimento, che si torni in campo, che si vincano due partite e avanti tutta come niente fosse. Come è giusto che sia. Perché alla fine, al netto delle cazzate da social che coinvolgono calciatori, allenatori e robe varie, a colpi di "Brother", "amicomì" e "fratellocà", contano solo i risultati. Ma il caso c'è. Qualcuno ci ha messo almeno tre giorni in più per iniziare a parlarne, per carineria o per convinzione ferrea che qualsiasi cosa suggerita dai club vada bevuta senza chiedersi perché. Quindi col passare dei giorni Matic è diventato un mostro, un serial killer, e la Roma è passata dall'essere lodata come club forte senza macchia e senza paura, a essere etichettata come una specie di associazione di bamboccioni che si fanno mettere i piedi in testa da chiunque. Perché? Forse perché alcune strategie, anche comunicative, andrebbero riviste. Perché passano gli anni e le proprietà, ma rimangono salde le ripicchette, la permalosità, la ricerca del consenso e degli interlocutori meno curiosi da investire come veicoli.
Passa un giorno, lunedì scriviamo di Paredes, sempre grazie a chi avrà pure mille difetti ma va diretto alla questione, e apriti cielo due, la vendetta. Altra valanga di insulti. "A cazzari!" "Non sapete niente e fate il male della Roma". Di contro, c'era chi insisteva, stoico. "Non c'è nessun Paredes, nessun caso Matic, ce lo dice la Roma". E via andare di like per quelli che ve tutto bene madama la marchesa. "Mi padre", "Mi nonno", "Volo". Noia pestilenziale.
Ora, quasi una settimana dopo, tutti parlano di Paredes. Peccato. Mica per gli insulti gratuiti ricevuti. Peccato perché nonostante l'età, Matic è molto più forte di Paredes. Che poi non è detto che finisca così. Matic può restare, ma c'è una frattura, non necessariamente scomposta, da saldare. Se Matic resta (permettetemi: magari!) un faccia a faccia privato potrebbe sistemare tutto. E non c'è nessun riferimento al gossip banale sulla sua vita privata. Affari suoi. Ne parli chi vuole farlo, almeno in questa rubrica non passeranno mai certe voci da cortile. Estate non insolita, niente di nuovo. I casi esistono, da sempre, ovunque. Solo che quando capitano nella squadra del cuore, la gente reagisce a pelle, molti lo fanno insultando, banalmente. Niente di nuovo. Sono altre le cose gravi nelle vita.
In the box - Augusto Ciardi