In The Box 04/05/2023 10:17
La prova del dna
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Due anni fa, l'annuncio. Che lasciò (quasi) tutti con un palmo di naso, spiazzati, increduli, spaesati. Mourinho alla Roma e la Roma fa il giro del mondo, finisce persino nelle home page dei siti di testate storiche newyorkesi, quelli che in home page ci finisci se sei una guerra, un'intervista a un capo di stato o un articolo sulla moda snob planetaria del momento. Se ingaggi Mourinho ti prendi tutto il pacchetto, gli dai le chiavi di casa, del cancello del centro sportivo, dell'aereo privato, gli dai persino le password degli account dei social ufficiali del club. Fai guidare lui. E la Roma in parte lo ha fatto. Un biennio di sold-out, con un trofeo internazionale, col plebiscito della gente che va allo stadio, di fari accesi su una realtà calcistica che storicamente i fari se li è fatti puntare solo in caso di eventi sportivi trionfali. Quindi, raramente. Tre anni di contratto, quasi due consumati, un ultimo segmento di stagione che dirà se si potrà tornare in Champions League tramite piazzamento in classifica o magari (magari!) attraverso un altro trionfo europeo da perdere la testa. Insomma, la Roma di Mourinho è ancora in corsa su due fronti. Fa registrare uno spogliatoio unito, che tende perennemente verso il suo guru, così come la stragrande maggioranza dei tifosi, soprattutto quelli che riempiono sistematicamente l'Olimpico o, quando non è vietato, accompagnano la squadra in trasferta. Effetto Mourinho? Effetto Mourinho.
Chi lo conosce bene, chi non se lo deve fare raccontare, non aveva dubbi. Lui ti cambia i connotati, ti scuote finché non ti svegli dal torpore, ti stimola fino a fare credere che stia demolendo e non costruendo. Già. Al netto del suo tallone d'Achille, perché lui più di ogni altro allenatore non tollera la sconfitta, che lo porta anche a tracimare a fine match, non lascia nulla al caso, e sa come si sposta l'attenzione. Non dalle sue responsabilità, ma dalla squadra, soprattutto nei momenti cruciali, quelli che mettono in palio trofei e non capitoli si filosofia utili per adescare adepti e aumentare la grancassa mediatica. Lo ha fatto anche ieri. Mentre Palladino, che ha un potenziale grande futuro davanti, entrava in questioni che non gli competono, scandalizzato dalla panchina della Roma, Mourinho iniziava a giocare davanti ai microfoni Roma-Inter e Roma-Bayer, ma anche Bayer-Roma e quello che eventualmente ci sarà dopo. A modo suo. Ma anche in questo caso, lo capisce chi lo conosce bene. Sicuramente non Palladino. Strategia vincente? La sua storia fa propendere per il sì, poi però le partite bisogna giocarle e magari avere calciatori per poterle giocare.
La Roma ha una squadra ai box. Alcuni infortuni sembrano avvolti dal mistero, ma anche in questo caso bisogna considerare i calcoli, fatti sapendo di correre rischi perché il calcio non è una scienza esatta, perché è chiaro che i pezzi da novanta acciaccati stia cercando di recuperarli per la partita coi tedeschi. Perché se la Roma avesse fatto come altre squadre, che le coppe le guardano in televisione, contro il Monza Dybala lo avrebbe mandato in campo nel finale. Non c'è bisogno di spiegare quanto serva l'argentino per le partite più importanti della stagione, che "rischiano" di diventare fra le più importanti della storia del club. "Starò con questi ragazzi fino all'ultimo minuto di questa stagione".
E poi? Si chiedono in molti. Ma perché? Ancora non è chiara la situazione? Lo scriviamo da sei mesi, ma soprattutto lo ha detto lui, fino a due mesi fa. Nonostante, nel mentre, siano comparsi annunci mediatici figli di interpretazioni smentite dallo stesso portoghese. Chi trema per quella dichiarazione post partita, formalmente non ne avrebbe motivo. Formalmente, anche a sentire il club. Non perché sia scontato che Mourinho rimanga. Ma perché apparentemente negli ultimi due mesi non è successo niente di nuovo. Invece è successo molto. Proprio perché sono passati due mesi senza che accadesse niente di nuovo. E questo sposta assai. Oggi sono due anni dal giorno dell'annuncio. Ma contratto ne prevede un terzo. Per ora di certo c'è che lui starà con questi ragazzi fino all'ultimo minuto di questa stagione. Poi (o prima di poi), non necessariamente da giugno in poi, conteranno le volontà molto più dei contratti scritti.
Cosa dipende dalla volontà? Cavalcare una politica societaria in tema arbitrale mostrando muscoli e fermezza, per esempio. Oppure concertare nei dettagli le strategie di mercato, magari dando voce in capitolo a un supermanager titolare di una super agenzia che può indicarti cavalli di razza della sua scuderia anche al tempo del fair play finanziario. Tutto questo a oggi è stato fatto? È stato voluto? No. Al momento, no. È stato fatto altro, perché un club sopravvive pure all'addio dei più grandi allenatori e dei più grandi calciatori, quindi si organizza anche per il "dopo". Dicevamo, è stato scelto di sedere al tavolo coi potenti delle istituzioni europee, internazionali, utili pure per aprire i propri business ai mercati più ricchi del mondo. È stato scelto di cooptare una nuova CEO molto accreditata ma che non ha un passato da barricadera che le permetta pronti via di alzare la voce e battere i pugni nelle discussioni italiane a cui partecipano dirigenti calcistici e arbitrali abituati a stare in battaglia. Legittime le scelte, di livello, ma è importante considerare gli effetti. Perché il proseguimento del matrimonio dipende dalle volontà di due parti. Non basta un sì al cinquanta percento. Un matrimonio che finora ha fruttato un trofeo, bagni di folla, lancio di giovani, vetrina mediatica e un'imminente, prestigiosa, semifinale di coppa. Non c'è stata finora, sulla falsariga degli ultimi cinque anni, la svolta in campionato, ma c'è ancora tempo in questo torneo per meritarsi un voto alto e, in linea di massima, per quanto stringa, ce ne sarebbe pure, di tempo, per programmare la terza stagione, immaginandola come quella della consacrazione italiana.
Ma chi finora l'ha data per scontato "perché c'è un contratto" ha commesso un errore grossolano. Perché in questa primavera atipica rispetto agli ultimi anni, le nuvole verso l'orizzonte non le vediamo soltanto guardando il mare. Ma pure guardando in direzione Trigoria. Tutto può cambiare ma, se non è già troppo tardi, serve, urge, un'accelerazione. Nonostante il DNA di Mourinho sia diverso da quello dei proprietari e dei dirigenti. Volere è potere? Sì. Ma il potere si deve volere. Bramare. Coltivare. Non basta un contratto scritto. Nel calcio, funziona così. Mourinho rimarrebbe avendo la certezza di essere ancora lui a penetrare nei tessuti della Roma per cambiarla. E non viceversa.
In the box- @augustociardi75