In The Box 28/05/2023 12:49
Cassano, Ulivieri, Alberto da Giussano e Montegiorgio
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Ci sono tre modi di avvicinarsi a una finale. C'è la "modalità Mourinho", c'è il modo storico del tifoso della Roma e quello del tifoso della Roma geneticamente modificato.
Partiamo dal primo. La "modalità Mourinho" prevede che il vento spiri esattamente come nell'ultimo mese. Da quando l'odore dell'aria di Budapest ha iniziato a farsi sentire, ossia già prima che la Roma ottenesse il biglietto per la partita con il Siviglia, ma si intuiva che la strada fosse percorribile. Mourinho ringrazia per la compartecipazione attiva, anche quando assente, di quelle componenti di contorno che hanno contribuito al compattamento della sua squadra, stretta attorno al suo allenatore, con un unico obiettivo in testa.
Quali componenti? Gli arbitri, per esempio, figli di un sistema permaloso, che hanno fatto un nodo al fischietto per ricordare di prepararsi al meglio ogni volta che incrociavano il portoghese, troppo ingombrante per lasciare ossigeno e luce alla mediocrità. Mediocrità che ha saputo trovare spazio persino nell'amichevole di Firenze. Arbitri di un campionato che meriterebbe di restare orfano di Mourinho, così vedremmo cosa saprebbero inventarsi i santoni della comunicazione, altra componente di contorno da ringraziare, nei dopo partita e nei corsivi illuminati del giorno dopo, per fare audience e vendere copie di giornali.
Chi lo sa, potrebbero contrattualizzare Cassano e Ulivieri nelle vesti di opinion leader o editorialisti, oppure fare lunghi simposi tattici frizzantini sulla costruzione dal basso, magari istituendo allettanti premi legati al joga bonito. Auguri. Quantomeno non sentiremmo la mancanza di ricostruzioni e supposizioni più o meno fantasiose sui suoi spostamenti o su presunte sue sceneggiate strategiche tirate a indovinare e sistematicamente smentite dai fatti.
Nota a margine: si parla tanto di media locali, a tempo perso buttate un occhio e un orecchio sulla stampa nazionale: ai tempi dell'Inter ogni parola o parabola di Mourinho era celebrata in stile Fantozzi, Filini e Calboni: "genio!", "un santo!". Oggi le stesse firme quando parla da allenatore della Roma sguainano la spada manco fossero Alberto da Giussano per dargli del maleducato, del vecchio trombone e dell'antiquato. Va' dove ti porta il vento.
Alla preparazione alla Mourinho della partita di Budapest ha contribuito pure la Roma, intesa come proprietà e dirigenza. Perché ogni volta che sarebbe servita una parola di sostegno, con regolarità spiazzante non c'è mai stata. Mourinho ringrazia, perché dall'eterno silenzio trae una forza inaudita da trasferire ai suoi ragazzi, rinfocolando la teoria del "noi soli contro tutti".
C'è poi l'avvicinamento tipico del tifoso della Roma. Togliamo di mezzo quelli che per darsi un tono sui social fingono di avere lo stomaco chiuso da venti giorni, che a parole hanno smesso di dormire, salutare, scopare, socializzare, respirare, ossia quelli che se gli dici ciao ti rispondono "mai 'na gioia" o ancora meglio "non è un buongiorno, lo dice la storia della Roma". Attori di basso livello.
Concentriamoci su chi realmente sta somatizzando il conto alla rovescia e si porta sulle spalle la scimmia di antiche finali traumatiche. Dal Liverpool al Torino in coppa Italia, c'è chi realmente è terrorizzato. Chi presagisce l'ennesima beffa e fa i conti con una paura fottuta dell'evento degli eventi. Insomma, questo è il modo storico del tifoso della Roma di avvicinarsi al match del trentuno.
Poi c'è un modo inedito da registrare. Geneticamente modificato. Verrebbe da dire "contiamoci", perché saremo una dozzina, forse un po' di più. Sicuramente pochissimi. Perché da quando Mourinho guida la Roma, ha trasferito a tutti una sensazione di consapevolezza che non c'è mai stata. E ad alcuni una spavalderia e spregiudicatezza potenzialmente pericolosa.
La finale di Europa League non è appuntamento in agenzia delle entrate per un accertamento, non è il giorno in cui tenteranno di salvarci la vita con un intervento chirurgico disperato, non è nemmeno il giorno fissato per la nostra esecuzione capitale. La finale di Europa League è l'appuntamento con la partita che potrebbe certificare il momento più importante della storia della Roma. Vale la pena viverlo, goderselo. Soprattutto perché nelle coppe europee chi ha Mourinho in panchina non parte mai battuto in partenza.
Il tifoso della Roma che vive in questo modo l'attesa, spavaldo e spregiudicato oltre che consapevole, prova un pizzico di invidia nei confronti degli altri tifosi della Roma, quelli che seppur consapevoli che qualcosa è cambiato, hanno comunque paura, praticano la scaramanzia, rischiano attacchi di panico e mettono in conto anche la sconfitta.
Perché invidiarli? Perché offrono spazio alla possibilità che vada male. Mentre chi ha modificato il proprio essere perché in panchina c'è lui, chi non concede spazio mentale ed emotivo all'ipotetica vittoria del Siviglia, arriverà a mercoledì sera completamente impreparato al risultato nefasto. Che provocherebbe un dolore nettamente superiore rispetto alla stragrande maggioranza dei tifosi. Ma va bene così. Di questi tempi, in passato, a fine maggio, da almeno un mese, stavamo beatificando Nick Hornby, fautore della corroborante massima del "tutto si ripete continuamente, perché c'è sempre un'altra stagione".
Molto meglio i romanzi scritti da Mourinho. Quelli in cui il risultato sarà sempre protagonista unico. Quel risultato che, favorevole o contrario che sia, ti cambia sempre la vita. Perché il piazzamento ti fa festeggiare se lo giochi in accoppiata. A Montegiorgio. Nell'ippica. Mai nel calcio.
In the box - @augustociardi75