In The Box 01/05/2023 15:23
Campionato in corso, in corsia, conti in banca e con la coscienza
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - La corsa alla Champions League passa attraverso i reparti di traumatologia, di chirurgia e di riabilitazione degli ospedali di riferimento delle squadre di Serie A. Era da mettere in preventivo. Non soltanto perché la stagione in corso (o in corsia) nasceva come la più atipica di sempre, prevedendo, causa Mondiali, uno sprint iniziale mai visto, da ferragosto a inizio novembre, e una compressione dei calendari post Qatar più inaudita che inedita. Ma pure perché da anni il nostro campionato si vota a calciatori usurati, che in A fanno la differenza nonostante da ultratrentenni siano stati rottamati da altri tornei nazionali, tipo la Premier League.
Poi c'è il fattore sfortuna, l'imponderabile, perché in fondo il calcio è bello anche per questo. E allora possiamo quasi snocciolare una super formazione composta da Maignan, Smalling, Skriniar, Wijnaldum, Brozovic, Pogba, Di Maria, Immobile, Lookman, Osimhen, Dybala. Chiedendo scusa a quelli non citati che hanno fatto penare le rispettive squadre per periodi medio-lunghi di assenza.
Mal comune mezzo gaudio? Sì, per forza. Obbligatoriamente. Perché non c'è tempo per piangere. Soprattutto ora che stanno per tornare, dopo una brevissima pausa, le coppe. E quest'anno in coppa ci sono tante italiane come non se ne vedevano da decenni. Inter, Milan, Roma, Juventus, più la Fiorentina, fuori però dalla corsa al quarto posto.
Parlavamo giorni fa del numero record di sconfitte sommate dalle prime sette in classifica (lo scorso anno dopo 32 giornate la Fiorentina aveva scavalcato al settimo posto l'Atalanta portando in dote un fardello di 3 sconfitte in più rispetto ai bergamaschi) comparando l'attuale campionato a quello del 2021-22. Sconfitte causate anche dalle energie sottratte dalle coppe europee. Che oltre ai punti privano i tecnici di calciatori che restano fuori anche per infortunio e non soltanto per scelte legate al turnover.
La Roma delle ultime settimane può fungere da testimonial. Wijnaldum e Dybala, Smalling e Llorente. Più la contingenza che spinge in campo Kumbulla per sostituire i titolari e, sfortuna che va oltre le tendenze, si spacca il ginocchio. Ce n'è per tutti i gusti. Soprattutto quando gli stop si accumulano nello stesso periodo. Fino a spazzare via un intero reparto. Rischi di impazzire, di rinnegare il cielo. Poi ti fermi. Fai un respiro profondo. E guardi gli altri.
Un'occhiata a Milano e ti chiedi quanti punti in più avrebbe oggi il Milan se non avesse dovuto fare a meno di Maignan in 16 partite su 32, sapendo che senza l'uomo ragno francese ha perso 4 volte e in 3 occasioni ha pareggiato. Guardi poi la Lazio. Ha quasi festeggiato la prematura dipartita nelle coppe europee, accollandosi una doppia pessima figura in Europa League e in Conference League, quindi non ha patito un numero elevato di calciatori ai box, ma ha perso in varie occasioni il suo uomo più importante, Immobile, per forfeit accumulati principalmente nell'ultimo segmento di campionato pre Qatar, e poi da gennaio a cadenza quasi bisettimanale, anche perché lo stabiese non è più un ragazzino ed è uno che negli ultimi cinque sei anni non si è mai fermato.
La Juventus ha lamentato l'assenza perpetua di Pogba e quella pesante di Di Maria, però poi nello specifico ci si deve interrogare sull'opportunità di contrattualizzare gente con la pancia piena, coi Mondiali in testa e che già in passato ha piantato grane agli ex club portandosi, inoltre, dietro guai fisici cronici. A Torino staranno fischiando le orecchie di alcuni dirigenti. In parte pure a Milano sponda Inter. Il semi rigenerato Lukaku delle ultime settimane, aveva dato segnali inquietanti un anno fa, nel corso di una stagione poco decorosa (eufemismo) al Chelsea. Nel suo ritorno all'Inter per mezzo campionato è stato più somigliante a un paracarro che al trascinatore dell'ultimo scudetto, targato Conte. Però è sempre meglio averlo a disposizione (20 volte, di cui 14 da titolare) che contarlo tra gli infortunati (12 stop totali). Come Brozovic, fermo dal 1 ottobre al 28 gennaio, lungodegenza intervallata da 3 part time nelle ultime 3 giornate pre Mondiali. Entra ed esci che ha trasformato il celebrato croato da Epic in onesto mestierante. E poi contiamo Skriniar oramai desaparecido, Lookman dell'Atalanta, insomma, persino Osimhen, fra usura, partite ogni tre giorni e sollecitazioni, la Serie A ha perso via via molti protagonisti.
Logica conseguenza di una Lega che per sopravvivere ha bisogno dei soldi delle tv e dei premi Uefa e di conseguenza, in buona compagnia con altri campionati nazionali europei, si è prostituita. Nel tentativo, spesso vano, di far quadrare i conti, di avere soldi accettando di giocare sempre più partite, e nella necessità contemporanea di accontentare allenatori e calciatori che chiedono soldi senza soluzione di continuità.
Quantità a scapito della qualità, della presenza costante dei calciatori, del rendimento. La quantità (di partite) piuttosto che la salute di un calcio italiano che, eccezion delle eccezioni, in Europa si sta facendo valere. Ma che in prospettiva, ci fosse una coscienza degna, si interrogherebbe sulla propria essenza, sul proprio futuro. Quando mai. Meglio imprecare davanti alle telecamere, autoeliminarsi dalle coppe, lamentarsi degli orari di inizio delle partite. Ce ne fosse uno, fra i tesserati dei top club, che annunciasse "a fine stagione parlerò col presidente, dobbiamo dare un segnale e lancio l'appello ai miei colleghi. Mi seguano. Si gioca troppo, sono disposto a guadagnare un milione di euro in meno ma bisogna rivedere i calendari". Questa sì che sarebbe una rivoluzione. Da statua equestre davanti alla sede della Lega Calcio. E invece no. Gli scienziati del pallone non vanno mai oltre le chiacchiere. Davanti all'estratto conto non sono migliori di nessun altro comune mortale.
In the box- @augustociardi75