In The Box 20/11/2022 13:53
La domenica italiana e le vacanze romane
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - La schedina fra le dita può cambiare la tua vita, cantava Toto Cutugno nella sigla di Domenica In di tanto anni fa. Oggi la schedina potremmo farla con le partite di Serie C, magari rafforzate da match delle leghe minori britanniche e da Qatar-Ecuador, che apre la fase a gironi del campionato del mondo. Mestizia. Zero Italia, con tanti perché. Perché da genitori indulgenti e distratti non riusciamo a riconoscere i demeriti dei figli. Perché tendiamo a proteggerli fino a renderli bambacioni (pardon, bamboccioni). Oppure perché con indole ruffiana e asservita non abbiamo il coraggio di dire che Mancini, Gravina e compagnia sono gli autori del secondo penoso flop consecutivo azzurro, e perché a causa di un'indole pupazzesca e non pazzesca scriviamo che in fondo questa Nazionale doveva stare in Qatar perché ha vinto una bella partita in Albania.
Commentiamo la Serie A esaltando le gesta di calciatori che in ambito internazionale contano poco più di zero e hanno vinto zero. E l'Europeo di un anno e mezzo fa? Bene, bravi, ma senza bis. Il calcio non ti fa campare di rendita, ti fa sopravvivere se hai una stampa favorevole che crede di vendersi in edicola grazie ai titoli ultra nazionalistici. Peccato però che gli effetti, in edicola, siano catastrofici. In parte siamo così anche per le squadre di club. Facciamo mea culpa.
La Roma non è composta da fenomeni assoluti. Ma per amore tendiamo a esaltarla. Anche quando l'evidenza dice il contrario. Togliamo per un momento dalla bilancia la meravigliosa vittoria in Conference League. Proviamo una volta tanto a essere esigenti e non indulgenti. C'è un nucleo storico di calciatori nella Roma che in Serie A è perdente. In ordine di ruolo: Mancini, Ibanez, Smalling, Cristante, Spinazzola, Pellegrini, Zaniolo. Arrivati a Roma fra il 2017 e il 2019. Hanno messo finora in fila due sesti posti, un quinto posto e un settimo posto. Al momento, sono sesti. Comfort zone della mediocrità, la definì Mourinho. Che ha responsabilità, sia chiaro, nonostante Trigoria continui a essere l'epicentro dello scaricabarile.
Chiedetevi perché anche con la vecchia gestione c'era un viavai di dirigenti e di allenatori atipico: perché pure all'epoca era sempre colpa di qualcun altro da mandare al patibolo quando le cose andavano male. Salvo poi partecipare alla corsa per accaparrarsi i meriti delle cose fatte bene.
Le responsabilità e i meriti vanno distribuiti. Facciamolo. Ha responsabilità Mourinho? Assolutamente sì, non lo nego neanche io (permettetemi un piccolo momento di autoreferenzialità) che bramavo il suo arrivo dal 2003. È lui il capo tecnico, che nei limiti del possibile dà pure l'ok alle operazioni di mercato. Ha responsabilità Tiago Pinto? Ovvio, perché c'è la sua firma sugli ingaggi di Viña e Shomurodov, Maitland-Niles e Reynolds, sperando di non aggiungere alla lista alcuni calciatori presi questa estate. E la società? Nessuno si senta escluso, ma la proprietà non ha per fortuna il brutto vizio di cercare consensi tramite le parola e le confidenze: che Dio la preservi.
Parliamo dei calciatori. Vivono nella bambagia romana. Che sempre di più si accontenta da mesi di un paio di calci d'angolo battuti bene da Pellegrini per considerarlo il GOAT del centrocampo mondiale, che si eccita per due imbruttite di Mancini, per le scorribande agli Europei di Spinazzola o per un paio di allunghi di Zaniolo quando sembra che cerchi di portare a meta la palla ovale. Per non parlare dei caroselli strombazzanti scaturiti dalle mascherine anti covid col vecchio stemma indossate dai Friedkin, della ola per l'ingresso nel club di un nuovo sponsor per i calzettoni.
Siamo diventati (tappate gli occhi ai bambini) come quelli vengono prima ancora di spogliarsi e infilarsi a letto, ci eccitiamo pensando che ci ecciteremo. Siamo tutti Speedy Gonzalez. Ci basta poco. Come per la stampa nazionale basta una vittoria azzurra in Albania per far partire l'inno di Mameli, a noi serve un gol in allenamento di buona fattura per il taca banda.
Mourinho sta prendendo confidenza con la difficoltà nel cambiare del tutto i connotati a una piazza storicamente perdente quanto piaciona, che non a caso nella sua storia ha vinto soltanto con i forestieri, che il più delle volte erano la cosa più distante da noi. Perché non è blasfemo dire che la Roma di Bruno Conti e Di Bartolomei non avrebbe mai vinto lo scudetto senza Falcao e Liedholm. Che la Roma di Totti non avrebbe mai vinto lo scudetto senza Capello e Batistuta perché prima di loro due ci si accontentava di professare il credo zemaniano. Che la Roma di Pellegrini non avrebbe mai vinto la Conference League senza Mourinho.
E per ora dobbiamo prendere atto che la Roma di Mourinho che ha vinto la Conference League non riesce a usare quel trofeo come una leva. Ci si è seduta sopra, facendo imbufalire il tecnico. La squadra si nasconde dietro al suo allenatore perché così come la Roma che vince fa scaturire titoli, molto spesso ruffiani, su Mourinho, la Roma che perde scompare dai titoli che sono sempre tutti per Mourinho. Mourinho di qua, Mourinho di là. Ombelico del mondo o epicentro di terremoto. E i giocatori in questa aurea mediocrità ci sguazzano. Inermi. Tutti. Dal nucleo storico a chi soffre la concorrenza dei nuovi. Ma c'è un particolare.
La Roma, come da accordi, è sotto la lente di ingrandimento dell'Uefa. Ha preso a parametro zero Solbakken per un ruolo in ci sono già tre calciatori, Dybala, Zaniolo e Volpato. Utile forse, ma non indispensabile. Per il resto, nonostante, gli "espertoni" di mercato hanno già cominciato a mandare fuori su tutti i social e su tutti i giornali nomi che diventeranno un tormentone, sparando già una dozzina di trattative per terzini destri, difensori centrali mancini e centrocampisti che costano minimo venti milioni di euro, la realtà è che per prendere gente nuova bisognerà mollare gente già presente. Sperando che, oltre ad accendere un cero a San Pietro e Paolo se ciò accadesse, non scatti la vedovanza di chi soffre le cessioni o di chi aspetta e caldeggia rinnovi super milionari di calciatori che magari hanno fatto tre gol in quindici mesi, o che sistematicamente si perdono l'attaccante in marcatura.
Perché c'è il forte rischio che con gran parte degli attuali calciatori il massimo che si possa fare sia già stato fatto, il 25 maggio scorso. E il primo a capirlo forse è proprio l'allenatore, non a caso, l'unico dentro Trigoria dai tempi di Capello che realmente sa cosa significhi mentalità vincente. Sbaglia pure lui? Certo, nessuno lo nega. Ma sarebbe ora di allargare il fronte del concorso di colpa. Per evitare di vivere in futuro la Roma come i tifosi azzurri vivranno i Mondiali in Qatar. Da spettatori.
In the box - @augustociardi