In The Box 08/11/2022 16:20
Il mouse di Mou
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - La posizione in classifica non evidenzia particolari criticità. La Roma sta lì, nonostante quattro sconfitte, nonostante le assenze e le difficoltà, spesso, nell'esprimersi. Esprimere cosa? Potenziale? Gioco? Qualità? Di tutto un po'. Succede alle squadre imperfette.
Togliamo di mezzo per un istante una questione, quella degli infortuni. Mancano pezzi da novanta, ma non solo alla Roma. Lukaku, Brozovic, Di Maria, Pogba, Immobile, Maignan, Osimhen, Zapata. Alle big mancano o sono mancati i big, per periodi più o meno lunghi. La Roma non fa eccezione. Però, nonostante tutto, la posizione in classifica non fa difetto. Purché non si guardi troppo in alto.
Chiariamoci, la Roma non partiva con obblighi particolari legati alla lotta per lo scudetto. Ma al primo posto c'è il Napoli. Estraniamoci adesso da eventuali dispute campanilistiche e dal sentimento di amore, stima o odio nei confronti di Spalletti. Non è questo il discorso. Ci si pone una domanda. Perché la Roma deve abbandonarsi all'idea di non poter competere con una squadra che spende meno in stipendi e non ha un fatturato così nettamente superiore? Perché è diventato tabù pensare di potersela oggi giocare con il Napoli così come fino a due anni fa si dava per scontato che l'Atalanta fosse inarrivabile? Un club, quello lombardo, che spende e fattura ancora meno, molto meno, del Napoli? Il calcio fa dire ad allenatori e dirigenti che ci sono avversarie non avvicinabili perché sono troppo più ricche, quindi è lecito presentare il conto quando prendono la via di fuga realtà che non hanno introiti e spese per i calciatori superiori.
Torniamo al campo, dove la Roma non va quasi mai oltre lo spartito. Questo è un possibile problema. Prepara la partita, i calciatori provano a svolgere il compito assegnatogli, ma guai a cambiargli in corsa le carte in tavola. Diventano spaesati e quasi spaventati, continuano a fare sempre la stessa cosa, tipo i Lemmings, pupazzetti di natura indefinita ispirati ai roditori, protagonisti di un videogioco della Psygnosis, campione di incassi, che i boomer ricorderanno, un must degli anni novanta. Erano guidati col mouse, trovandosi davanti a un dirupo ci finivano dentro uno dopo l'altro a meno che andando per tentativi gli si faceva costruire un ponte o scavare un passaggio, o che davanti a un muro ci sbattevano sistematicamente contro fino a quando, studiando la strategia, se ne sacrificavano alcuni facendoli saltare in aria per aprire un varco in cui poi, meccanicamente, si infilavano i sopravvissuti, fino a completare il livello.
La Roma sembra abbia bisogno del telecomando o del defibrillatore emotivo durante l'intervallo. Pensiamo alle sfide europee casalinghe con Helsinki e Ludogorets. La squadra entra in campo per chiudere presto la disputa, qualcosa non va, si sbagliano gol, si perde l'inerzia del gioco, ci si concede ad avversari mediocri quasi passivamente, non si reagisce al cazzotto, e c'è bisogno della scossa a fine primo tempo. Si rientra con veemenza ma la carica, coi bulgari per esempio, dura poco, perché si esaurisce quando si ritiene conclusa la missione, e nel finale si rischia nuovamente di buttare la partita. A un passo dal dilapidare la reazione, d'impeto ma pur sempre reazione, perché in campo i calciatori non sembravano pronti alla contro reazione degli avversari.
Contro la Lazio invece la squadra ha iniziato meglio la partita. Ha avuto potenziali occasioni, ha pressato e giocato in modo quasi inappuntabile. Non è arrivato il gol, si è persa verve, intensità, qualità, capita spesso, poi ha subito il gol, e dopo una manciata di minuti è implosa, somministrandosi un giro palla ammorbante. Reazione nella ripresa? Non pervenuta. Né di gioco, ma soprattutto neanche nervosa, rabbiosa, di furore. Mourinho nove mesi fa urlò ai giocatori di uscire dalla comfort zone della mediocrità dei piazziamenti anonimi. Appello raccolto per due-tre mesi, fino alla vittoria della coppa, che per assurdo sembra avere ammosciato parte della squadra invece di esaltarla.
L'appetito vien mangiando ma la Roma ha bisogno di essere imboccata. Meccanicamente in loop oltre il tempo e lo spazio, nella stessa direzione se non interviene l'allenatore con mosse durante l'intervallo o azzeccando i cambi in corsa. Andare oltre lo spartito assegnato non significa ammutinarsi, ma evolversi, significa maturare. Perché la Roma è uscita dalla comfort zone dei piazzamenti mediocri ma sembra volersi infilare in quella di Mourinho, a insaputa di Mourinho, viaggiando sempre a rimorchio dell'allenatore. I calciatori seguono alla lettera i compiti, sacrosanto, ma prendono poche iniziative autonome e coordinate coi compagni, spesso ciò che non è calcolabile sembra far parte dell'ignoto che la squadra non può esplorare, quindi guai a fare i conti con l'infortunio tecnico, tipo nel derby, con la sfortuna o con gli infortunati. Per avere una reazione ci sarà sempre bisogno del mouse di Mourinho.
Perché in campo i suoi ragazzi vanno in loop: c'è chi fa il giro palla lento, chi i passaggi verso Rui Patricio, chi il muro contro muro lanciandosi tipo kamikaze addosso ai nemici, chi i cross sbagliati, chi le proteste ogni tre per due. Una cosa si conosce bene, e meno male che viene sfruttata: i calci piazzati, ma questi rientrano nelle strategie studiate e provate. Se poi gli specialisti sono in giornata nera, la partita diventa una parete rocciosa da scalare con le muffole, i guanti che lasciano solo il pollice indipendente. E i calciatori della Roma danno spesso la sensazione di non capire che bisogna sfilarseli se non glielo chiede l'allenatore.
In the box - @augustociardi75