In The Box 09/02/2022 11:21
Niente
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Ancora una volta comparsa in Coppa Italia. Una posa in più rispetto alle ultime edizioni, ma anche con Mourinho la solita storia. In campo vanno i migliori (?), ma per leggere a maggio il nome della Roma nei titoli di coda della competizione bisognerà pure quest'anno aspettare che scorrano tutti gli altri. Quelli dei protagonisti, degli antagonisti, di registi e sceneggiatori, costumisti e maestranze varie. Poi, forse, col cinema oramai vuoto, le luci accese e gli addetti alle pulizie che raccolgono i barattoli dei popcorn, dopo i ringraziamenti alla ditta che portava i cestini per i pasti degli attori, apparirà il nome di una squadra che oramai gioca due partite alla volta. Una con gli arbitri e una in campo. Perdendole sempre. Entrambe.
Il giallo a Zaniolo, due ammonizioni a Brozovic dimenticate. Ma il cervello si era già fermato dopo centoventi secondi. Film horror. Un lancio insensato di Ibanez a un Karsdorp fuori posizione, che poi arranca su Perisic che porta a spasso il pallone. Pallone fissato da Smalling, che rende il film osceno, dimenticandosi Dzeko. Film di fantasmi, in campo. E a bordocampo, come a inizio dicembre, sempre contro l'Inter, perché evidentemente le lezioni non servono a niente. Kumbulla, che non partecipa al quarto d'ora iniziale di violenza mentale, a fine match parla di approccio sbagliato. Approccio sbagliato. In un quarto di finale di Coppa Italia in casa della squadra più forte d'Italia. Approccio sbagliato. Film visto e rivisto.
La Roma non è cresciuta per niente. Se con benevolenza si accetta che quest'anno sia di passaggio (facendo uno sforzo immane perché sono stati spesi quasi cento milioni in estate e si è ingaggiato un allenatore grande così), che in fondo la classifica è meglio non guardarla e che non è cosa pensare di fare strada in una coppa a cui partecipano ancora almeno quattro squadre più forti di te, diventa esercizio impossibile credere che non si debba vedere crescere la Roma in qualcosa. Perché a oggi la Roma non è cresciuta in niente. E il rischio è che la prossima estate si debba ricominciare il giro. L'ennesimo.
Perché una stagione non può servire soltanto per capire che il sessanta percento della rosa non serve a niente. Perché si può sperare ma non si può essere certi che in estate ci si impegni per almeno altri cento milioni di euro sul mercato. E perché pure se ne spendi duecento devi avvicinarti al cento percento di realizzazione di acquisti azzeccati. Perché dei cento milioni spesi la scorsa estate almeno trenta a oggi sembrano buttati. Il trenta percento. Una serie di dilemmi che oggi non danno serenità.
Rimane la Conference League. Ma bisogna sperare che la Roma al niente, il nulla, dei primi quindici minuti di ieri sera risponda con una presenza mentale, tecnica e tattica completamente diversa. Con tutta la consapevolezza del mondo sui limiti strutturali della rosa, era lecito pensare che la squadra quantomeno dopo otto mesi sarebbe riuscita a rafforzarsi nella testa grazie a quelle caratteristiche che praticamente tutto il mondo riconosce in Mourinho. Che non è immune da critiche. L'amore, i pregiudizi positivi verso persone, animali, squadre, entità, non possono prescindere dalle analisi logiche. Se ami una persona, un figlio, un animale, non li scarichi se commettono una serie di errori, ma non rimani inerme osservandoli mentre continuano a sbagliare. Perché poi diventa amore malato, pericolosa idolatria. La Roma negli ultimi anni giocava a scaricabarile mentre calava il sipario. Non c'era mai ripartizione equa di responsabilità fra presidenti, dirigenti, allenatori e calciatori. Pronti a presentarsi davanti alle telecamere quando c'era da raccogliere lodi. Più scattisti di Jacobs nel defilarsi quando serviva metterci la faccia. "Vai avanti tu, che io non ho le palle". Errore da non ripetere.
C'è tanto da lavorare per togliere il niente che sta trasmettendo la Roma, tanto da lavorare pure per l'allenatore, che da capo tecnico, riferimento maestoso, frontman d'eccezione, non è esente da colpe. Perché per coerenza se chi scrive non ha risparmiato niente agli allenatori che non sapevano trasmettere niente ai calciatori in Coppa Italia, sarebbe disonesto fare finta di niente oggi dopo quel quarto d'ora di niente, soltanto perché in panchina c'è Mourinho.
Tutto da buttare? No, nonostante il niente di oggi. Se fosse tutto da buttare, di anni per tornare competitivi ne servirebbero forse sei e non tre. E perché se si certificasse che sia tutto da buttare significherebbe prepararsi alla mediocrità pure in Conference League, ultimo scoglio a fior d'acqua a cui aggrapparsi per evitare di disperdersi fra le acque torbide. Ma c'è tanto da lavorare per recuperare terreno. Perché la sensazione di niente che oggi trasmette la Roma, se non spaventa quantomeno spiazza. Quei centoventi secondi iniziali sono il trailer di un film la cui trama si è iniziata a scrivere nell'estate del 2018, su cui hanno messo le mani sceneggiatori pessimi, piena di strafalcioni, sgrammaticata, affidata a più adattatori, più produttori, registi vari e attori in scena di basso livello. La trama, a oggi, è incomprensibile. Film nonsense. Il finale a sorpresa, nella scena ultima dedicata alla coppa europea, è nelle mani di chi in passato ha vinto più volte l'Oscar alla regia. Perché al peggio non c'è mai fine, ma al niente deve per forza seguire qualcosa.
In the box - @augustociardi75