In The Box 09/07/2021 16:49
Aho, embè?
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Finito il tempo di stare affacciati in finestra e in modo indolente fare le pulci a chi lavora, col sole o con la pioggia. Finito il tempo di pontificare, di passare dalla finestra al pulpito per lanciare anatemi o di emettere sentenze rivolgendosi al banco degli imputati.
Mourinho non vuole che la Roma sia di Mourinho ma risulta troppo naturale associare la Roma a lui. Che sta già cambiando il sistema. Non corre il rischio di essere destabilizzato perché non è tipo da condizionamenti. Sta semplicemente tracciando il percorso da seguire. La sua conferenza stampa è stata analizzata, scomposta e ricostruita, è stata fatta l'esegesi del testo, ci si è affidati alle teorie lombrosiane per trarre spunti dal volto e dalle smorfie. Ovvio che fosse un evento, o meglio un avvento, per Roma e per la Roma. Non per lui. Di conferenze stampa simili ne ha fatte a decine. Comunicare per lui equivale a bere un bicchiere d'acqua. Comunica come vive. E, vivendo da star, alcuni immaginano che segua un copione. Mentre invece segue soltanto il fil rouge della sua vita. Roma perde l'equilibrio perché Mourinho toglie la terra sotto ai piedi.
Non ha bisogno di un contratto pluriennale e milionario per godersi la città, tanto per smentire l'ingenua teoria-luogo comune secondo cui calciatori e allenatori dovrebbero preferire Roma ad altre piazze perché è la città più bella del mondo, per i Fori imperiali e per il Pincio. Cazzate. I super professionisti hanno tutto per rendere meravigliose da vivere Manchester e Newcastle, persino Wolfsburg. Via gli equivoci.
Roma è 'ndo annamo dominamo, splendido slogan da stendardo portato con fierezza dai tifosi negli stadi. Il problema nasce quando ci si convince di quello slogan, e a convincersene sono magari quelli che poi, non i tifosi, pretendono cose che Roma non ha mai avuto. Il dominio, per esempio. Perché spesso oltre a essere difficile dominare, è stato anche impossibile "annà" (andare), perché magari manco ci si qualificava per le coppe europee. Via gli equivoci perché senza lista B, fra due mesi, ci saremmo tornati a chiedere se "in fondo Fazio può essere utile come quinto centrale" o "alla fine una chance Kluivert la meriterebbe quando manca Zaniolo". Scelte nette. Serve un terzino? Sì, serve un terzino. Poi magari accanto al nuovo terzino cresce bene Calafiori.
Reagisce male sulla questione capitano forse anche perché, badando al sodo, la fascia non rende più forte chi la indossa, quindi non porta automaticamente punti o trofei. E Mourinho punta sì a crescere, ma anche a lasciare il segno, perché anche quando molti pensavano che stesse fallendo, lui vinceva. Ma chi lo criticava, o lo definiva bollito, non sapendo cosa significhi vincere, manco se ne accorgeva dei suoi successi.
Mentre in molti si aspettavano la frase in romanesco, tipo che dicesse "me piaceno li polli, l'abbacchi e le galline", Mourinho parlava in modo schietto, pulito, diretto. Perché non serviva molto per capire che l'assaltatore milanese che quasi cercava lo scontro dialettico, sapeva di allenare la squadra più forte, e quindi più antipatica e odiata, e quindi attuava quel suo modo di essere e di comunicare. La Roma parte da una posizione diversa. Non è un altro Mourinho quello arrivato a Roma. Se non si capisce questo, il problema non è suo. Ma di chi per l'ennesima volta si affaccia in finestra tipo il caratterista di una certa età di Un sacco bello ed è pronto a criticare e a pontificare, a inveire e a sentenziare. "Aho, embè?"
"Eh, se fa presto a di' aho, embè?".
In the box - @augustociardi