Disappunti di viaggio 20/10/2017 17:18
Traiano's Bridge
LR24 (DARIO BERSANI) - Metti una sera di inizio autunno. C’è Londra, un catino attiguo a quel famigerato cimitero di Brompton infestato di corvi. Poi c’è la Roma vestita di bianco, bella come una sposa e il suo cavaliere venuto dall’Est che la accompagna all’altare. Metti una squadra talmente abile a nuotare che quasi annega. E che alla fine si accontenta di toccare la sua sponda, stremata, con gli alveoli saturi dopo un’i(n)spirazione tra le più poderose della sua vita da novantenne.
E poi metti una riga qui sotto se anche tu - come me - pensi che il merito della sontuosa prestazione in Champions League sia da ricercarsi tra gli occupanti di quel settore ospiti tinto di passione, ai limiti del memorabile. Nè Dzeko, nè Di Francesco. Loro. Quindi noi. Siamo stati così forti perché siamo stati uniti. Rigorosamente minuscolo, please. Siamo stati così squadra perchè eravamo simbiosi. C’era flusso, c’era contagio. Se ci fosse stato Perotti a cantare e uno del settore a dribblare, martedì non si sarebbe vista alcuna differenza.
Cinquanta sfumature di stati d’animo/a in 90 minuti con un solo e continuo filo conduttore: quei 2.500 che sembravano centomila.
“Le partite non si vincono sugli spalti”. Sarà. Eppure è ancora tanto sano convincersi del contrario. Così com'é altrettanto assurdo accorgersi solo dopo la trasferta di massa in terra inglese che la Roma ha ancora una Curva che la sostiene a scatola chiusa al fischio d’inizio, che tifa tifa e non demorde ma tifa, che non vince mai ma vince sempre, che perdona e glorifica, protagonista di un processo vagamente clorofilliano che emulsiona i decibel e li rende frastuono.
Una Curva che a fine gara ricominciava da dove aveva interrotto, come se niente fosse. Come due ore prima. “Com’è finita?”. “Ah ok, 3-3”. “Daje Roma facci un gol, daje Roma facci un gol, daje Roma daje Roma facci un gol”...Magari bastava prenderne uno in meno. Ma questa è un’altra storia. L’adrenalina da Sud e la fierezza di chi seguiva a distanza di migliaia di chilometri. Mancava. Immagino di non essere esattamente il primo, lo so. Ma io ci penso sempre e sempre mi faccio lo stesso film, ogni volta che vedo un quadro con questa stessa cornice. E ogni volta penso le stesse due cose. Sempre. Una: le partite senza la gente dentro non sono niente. Niente.
Due: chissà dove saremmo noi ora, con uno stadio di tutti strapiombi, fiato sul collo con più coriandoli che a “La Bombonera”. Magari staremmo di diritto nel gotha, o forse a scontare il 41bis, squalificati sine die per intemperanze assortite.
Fatece fa’ ‘sto stadio, aó. Mó basta davero. Va bene pure come ‘sto Stamford, il Flaminio dei poveri. Basta tarantelle.
Magari anche solo per farlo vedere ai nipoti di adesso che saranno gli zii esodati e calvi di domani. La posa della prima pietra è ormai come il Santo Graal per una mezza dozzina di generazioni giallorosse. È ora. Date il via libera. Date la possibilitá ad ogni partita di diventare come Chelsea-Roma, la regola che infranga le eccezioni. Fate come ve pare: riconvertite il tartan della utilissima pista d’atletica dell’Olimpico, fondetelo con le breccole rovesciate a casaccio sulle buche e tirate su ‘sto cazzo de ponte di Traiano. Buoni a nulla manfrinari: la Sud dell’altra sera l’avrebbe costruito in un giorno il ponte.