Interviste AS Roma 03/05/2020 20:10
NUNO CAMPOS: "Sto visionando insieme a Fonseca alcuni giocatori che potrebbero interessarci"
TRIBUNAESPRESSO.PT - Paulo Fonseca e il suo vice Nuno Campos, un rapporto di lavoro, ma anche di forte amicizia, che dura da 15 anni. Il vice allenatore della Roma, in un'intervista rilasciata al portale portoghese, ha raccontato del suo passato con Fonseca che parte dall'esperienza nel Porto, è proseguita poi nello Shakhtar Donetsk, fino all'approdo ora nella Roma. Queste dunque le parole di Nuno Campos:
Sei in italia?
"Sì, sono a Roma, da solo, perché la mia famiglia è a Esposende".
Come va l'isolamento?
"Non è un momento facile, né per me né per nessuno, perché siamo confinati nelle nostre case. A volte esco un po', ma solo qui vicino casa mia, dobbiamo rispettare ciò che ci è stato imposto, perché la cosa più importante è che questo momenti passi. Faccio esercizi e vedo alcuni giocatori che potrebbero interessarci, lo faccio insieme a Paulo. A volte lavoriamo anche insieme, ma ovviamente è un lavoro completamente diverso da quello a cui eravamo abituati. È un momento difficile per tutti. Stare qui da solo penso che sia un po' più complicato, ma credo che anche per una famiglia che è a casa non sia facile. Non ci siamo abituati, ma dobbiamo essere forti e contribuire, a modo nostro, a superare questo momento".
Riesci a fare qualche lavoro con i giocatori?
"Sì, Nuno Romano si dedica alla preparazione fisica e lavora con i giocatori ogni giorno. Fanno videoconferenze congiunte sulle piattaforme esistenti, anche in linea con il dipartimento medico del club, perché ci sono anche giocatori che si stanno riprendendo da infortuni. È un lavoro quotidiano ed è più Nuno che si occupa di questo".
Non ci sono ancora date per la ripresa degli allenamenti?
"Le informazioni che abbiamo sono che il 18 il governo prenderà una decisione. Forse si potrà iniziare ad allenare individualmente. Vorremmo che fosse prima, perché si dice che il campionato potrebbe ricominciare nelle prime settimane di giugno. La Roma ha questa intenzione così come penso tutti i club qui in Italia, perché è necessario iniziare a fare qualcosa. Sebbene i giocatori si allenino a casa, mentalmente è completamente diverso che allenarsi sul campo, anche se si tratta di un allenamento individuale".
In questo isolamento sei stato attivo sui social network, in particolare nella "quarantena della palla" , anche parlando con altri allenatori.
"Più del solito [ride]".
José Boto ti ha descritto come "una delle persone in Portogallo che meglio conoscono il calcio e che meglio riescono a spiegarlo". Non hai voglia di condividere il tuo modo di lavorare?
"No, non abbiamo quel tipo di tabù di non condividere il nostro pensiero sul calcio. Penso che le persone oggi abbiano accesso a molte informazioni, ma a volte si ha un'idea sbagliata di alcuni allenatori. Quando mostriamo la nostra idea di gioco, riveliamo esattamente il modo in cui vogliamo giocare. E poi la squadra, nella partita, dimostra se ciò che diciamo è vero. Ho avuto ottime conversazioni con Boto, perché è una persona molto esperta e mi piace parlare con persone che capiscono di calcio, perché se abbiamo visioni diverse sul modo di giocare, è difficile avere una conversazione. Preferisco non essere in conflitto con nessuno, ognuno difende ciò che vuole. Naturalmente, trovo più facile parlare con persone che condividono la mia visione di gioco. Boto è uno di questi, perché gli piacciono le squadre che prendono il controllo del gioco, che sono protagonisti, che valorizzano il giocatore. Non nascondiamo le cose. Ci scambiamo video che rappresentano la nostra idea di gioco con gli avversari, perché il campionato italiano ha un programma che consente l'accesso a tutte le partite, quindi oggi non c'è molto da nascondere. In passato era un tabù parlare e mostrare qualcosa, ma penso che oggi non dovrebbe essere così, perché condividere opinioni non significa che l'altro sarà in grado di contraddire ciò che pensiamo. Questo è il motivo per cui studiamo gli avversari per capire il loro modo di giocare. Non c'è problema nel condividere il proprio modo di giocare con gli altri. Paulo è lo stesso. Paulo va alle conferenze stampa ed è divertente perché qui in Italia i giornalisti fanno molte domande tattiche e penso che sia ancora più facile per un allenatore rispondere a questo genere di domande. E Paulo spiega tutto. Dà anche spesso gli undici che giocheranno il giorno successivo".
L'altro giorno ho sentito Abel Ferreira dire che aveva trascorso alcune ore al telefono con te. Questa condivisione avviene anche tra allenatori?
"Non parlo con molti allenatori, ma con quelli con cui parlo lo faccio spesso, discutendo di tutto. Abel è uno di questi e non ho problemi a condividere con lui e con gli altri informazioni, perché parliamo la stessa lingua, abbiamo idee simili. Con Abel discuto molto su alcuni dettagli riguardo il rischio di fare certe cose. Riconosco che, forse, sono più rischioso rispetto ad Abel. Con questo, non voglio dire che Abel debba fare come dico io, anche perché non mi permetterà di fare come dice lui [ride]. È una discussione costruttiva e sono felice di farlo, perché Abel è una persona che ama parlare di calcio. E mi piace anche molto come persona, abbiamo un buon rapporto da molti anni".
Hai appena parlato della grande quantità di informazioni che esiste oggi sul gioco. Forse sono queste conversazioni che trasformano l'informazione in conoscenza acquisita?
"Senza dubbio. E direi anche di più: troppe informazioni, per chi non ha tante certezze, diventa difficile. Cosa intendo con questo: quando si intraprende un percorso ci sono pochi dubbi e, nel nostro caso in cui il nostro modello di gioco è in continua crescita, non ci causa nessun problema leggere tante informazioni, anche se molte di queste non vengono utilizzate. Quando invece si hanno ancora molte incertezze, perché stiamo iniziando una carriera e non siamo ancora sicuri del nostro modello di gioco, allora possiamo correre il rischio, con così tante informazioni divergenti, di non sapere come muoverci. Intendo informazioni a livello tattico ma anche a livello di altre cose, perché al giorno d'oggi si parla molto della PNL, della parte fisica e di tutto e di niente. Molta conoscenza a volte può aiutare, ma se è in eccesso, fa anche male. Ci sono molte aree in cui lo stesso allenatore finisce per dover fare una selezione, perché non può dare a tutti i giocatori tante nozioni, perché non capiranno, non avranno pazienza e, se alziamo il livello, non vorranno nemmeno ascoltare. Dobbiamo essere in grado di avere la sensibilità di metterci dall'altra parte. Mi rivolgo qui agli allenatori che stanno iniziando la propria carriera, perché ci sono molti che pensano che sapere di più sia sempre meglio - e a volte non lo è, e finisce per far male".
Quando eri un giocatore, quali informazioni avevi?
"Quando ero un giocatore non c'era quasi nulla [ride]. C'era un assistente dell'allenatore, un allenatore, un allenatore di fitness e un allenatore dei portieri. Ho avuto diversi allenatori e quasi alla fine della mia carriera, ho avuto [Jorge] Jesus. Posso dire che impariamo da tutti, non è un cliché, perché forse da alcuni impariamo cosa non fare. È così. Pochissime erano le parsone che avevano in quel momento avevano un’opinione sul gioco, anche perché non c'erano tutte le informazioni che esistono oggi, non c'erano mezzi che esistono oggi. Ora gli allenatori si aiutano con i video, ma allora non erano tanto utilizzati. Oppure, se venivano utilizzati, si guardavano i 90 minuti su un nastro VHS. Sto iniziando a essere vecchio, è un problema [ride]".
Quando hai iniziato a capire il calcio e quando hai iniziato a pensare di diventare un allenatore?
"Ho iniziato a capire meglio il gioco con Jesus, nel Vitória de Setúbal [2001/02]. Poi, ci ha mostrato che giocare uomo contro uomo non aveva molto senso, soprattutto da un punto di vista difensivo, perché è un allenatore che predilige il pressing. Ha iniziato a mostrarci che avevamo molti più vantaggi difendendo a zona. E ha funzionato così bene, che ci ha costretti a spingere la testa, a pensare meglio al gioco, ci ha evoluti. È qui che forse nasce il mio desiderio di diventare un allenatore, perché mi sono confrontato con altri allenatori e ho imparato diversi modi per superare gli avversari. Questo è il pensiero iniziale di un allenatore: come metterò in pratica l'idea in cui credo e come supererò l'avversario quando si comporterà in questo modo o in quello? E come mi difenderò dall'avversario con questo o quel comportamento? Questa dovrebbe essere l'essenza del trainer, mettendosi costantemente in discussione e pensando agli esercizi per trarre vantaggio da ciò che si desidera. Ci sono quattro momenti in una partita, con le palle inattive ce ne sono cinque, e in ognuna di esse dobbiamo riflettere per essere sempre migliori. Questo dovrebbe essere il punto di partenza di un allenatore. Possiamo vedere gli altri allenatori e imparare da essi, ma dobbiamo sempre pensare con la nostra testa. Anche perché le squadre sono diverse, le idee sono diverse, i giocatori sono diversi, i club sono diversi. Questo è il pensiero iniziale per un allenatore che vuole andare oltre".
Alla fine della tua carriera da giocatore, ti fai male, ti ritiri e diventi subito coach?
"No. Sono stato operato al ginocchio all'età di 29 anni, ero alla União da Madeira, nella 2a lega. Non potevo giocare, ho avuto un problema con una tendinite rotulea. Non volevo passare a un livello inferiore, perché non ero nelle migliori condizioni e sentivo che avrei potuto ingannare le persone. Quindi cosa ho fatto? Ho avuto modo di lavorare e ho aperto una pasticceria. E non ho mai bevuto caffè in vita mia [ride]. Sono una persona che non si concentra sulle difficoltà. Se ho un problema, cerco sempre la soluzione per risolverlo, questo è il mio modo di vedere le cose. Ho visto che non potevo giocare, non avevo molti soldi, perché nella 1a divisione non sono stato mai un grande giocatore di squadra e in quel momento guadagnavo anche poco, quindi non avevo risorse economiche che mi avrebbero permesso di fare solo quello che mi sarebbe piaciuto fare. Così ho aperto una pasticceria e ho iniziato a lavorare".
E come hai conosciuto Paulo Fonseca?
"È una storia interessante, perché non ho mai giocato con Paulo nella stessa squadra, abbiamo sempre giocato l'uno contro l'altro. Ma avevamo amici in comune, in particolare uno, Quim Zé, il direttore sportivo di Mafra. Ero spesso con Paulo alle feste di compleanno dei figli o della moglie di Quim Zé o del suo... Anche Paulo era stato allenato da Jesus e forse questa condivisione del suo modo di giocare ci rende più vicini l'uno all'altro in termini di pensiero. Quim Zé ci ha permesso di discutere molto sull'idea del gioco e, a volte, Paulo aveva bisogno di un assistente per allenare nelle juniores di Estrela. Poi ho parlato con Paulo ed è stato facile: "Cosa ne pensi del gioco? Per me, questa è la cosa più importante". Certo avevamo lo stesso modo di pensare, forse perché Jeus era stato il collegamento. Ed è così che abbiamo iniziato a lavorare insieme".
E la pasticceria?
"Nel frattempo, come ti dicevo, avevo una pasticceria e avevo anche due bar sulla spiaggia. Ma ho comunque accettato l'invito di Paulo".
Gli junior si allenavano la sera?
"Si allenavano nel tardo pomeriggio, ma dovevamo andarci molto presto. Era a Casa Pia e noi veniamo dalla Margem Sul, dovevamo attraversare un ponte. Preparavamo la formazione durante il tragitto, visto che andavamo lì con molto anticipo. Poi dividevamo il campo, a volte dovevamo andare in porta perché non c'erano abbastanza giocatori, perché c'erano ragazzi che frequentavano ancora la scuola... Ma ci divertivamo all'epoca, anche [Bruno] Lage era nei juniors del Benfica , con Renato [Paiva] come assistente. Eravamo lì a lottare per arrivare alla fase successiva. Alla fine li abbiamo superati, anche se siamo riusciti a vincere e pareggiare contro di loro. E abbiamo pareggiato entrambe le partite contro lo Sporting. È stato un ottimo inizio per la mia carriera".
Ricordi ancora gli allenamenti di allora? Cose che al giorno d'oggi forse non si fanno più?
"Penso che non ci sia nulla di molto diverso in quello che facciamo oggi. Ricordo che il modello di gioco era ovviamente basico, niente di così tanto sofisticato. Ma avevamo già l'idea di fare quasi tutto con la palla. L'allenamento ha avuto un impatto esclusivamente tattico. Quindi, alla luce di ciò, non siamo cambiati molto".
Successivamente, avete allenato i senior del 1º Dezembro, ma da Margem Sul a Sintra c'era una distanza di 40 km.
"Partivamo dopo pranzo da casa, perché dovevamo fermarci all'IC19 prima dell'ora di punta, quando le persone uscivano dal lavoro, e in quel momento era molto peggio di adesso, era il caos. Ci allenavamo, credo, alle sette di sera, ma partivamo da casa subito dopo pranzo e andavamo a Piriquita, perché Fernando Cunha, il presidente del 1º Dezembro, era il proprietario di Piriquita. Abbiamo preparato il nostro allenamento a Piriquita, a tavola, mangiando i travesseiros, che sono fantastici. Quell'anno eravamo molto più in carne [ride]. Era difficile mangiarne solo uno. Ma stare lì quell'anno è stato un grande piacere. Abbiamo ancora una grande amicizia con loro oggi".
Poi siete passati a Odivelas, un club che nel frattempo ha chiuso le porte.
"A quel tempo, è stato un salto di carriera, perché siamo passati dalla 3a divisione alla 2a divisione B, che ora è il campionato portoghese, ma siamo approdati a Odivelas in una fase in cui versava in difficoltà economiche. Abbiamo fatto un lavoro fantastico pur senza soldi. Avevamo un budget molto basso, abbiamo portato molti ragazzi lì ed è grazie a loro che il progetto è potuto continuare. Eravamo al 5 ° posto, il che è stato fantastico, perché l'obiettivo era semplicemente quello di non retrocedere. Anche nella fase finale del campionato, il presidente, Luís Batista, ha mandato quasi tutti a casa e siamo rimasti in panchina senza giocatori per le ultime due partite. [José] Marcos era il nostro preparatore dei portieri e ha dovuto giocare, perché il nostro portiere era infortunato e non ne avevamo altri".
Ma le cose iniziano a diventare più serie solo quando vi trasferite ad Aves, nella 2a Lega: offrono a Paulo € 2400 e li condivide con te.
"Abbiamo trascorso due anni al Pinhalnovense e dato che era già una squadra di 2a divisione B più solida, potevamo avere giocatori migliori. Abbiamo fatto un buon lavoro lì e ottenuto visibilità, perché in quelle due stagioni siamo andati due volte ai quarti di finale della Coppa portoghese. Nel primo anno siamo stati eliminati dal Naval 1º Maio, che era nella 1a lega, e nel secondo anno siamo stati eliminati dall'FC Porto a Dragão. E quando abbiamo giocato a Dragão, contro l'FC Porto di [André] Villas-Boas, che amava il possesso palla e un gioco normalmente aggressivo, all’intervallo avevamo il 50% di possesso della palla. Penso che sia stato questo dato a incuriosire le persone e a voler sapere di più sugli allenatori. Abbiamo perso la partita con due gol di Hulk negli ultimi minuti di gioco, ma l'immagine che abbiamo dato è stata molto positiva. C'erano alcuni dei nostri giocatori che erano partiti per altre squadre e c’erano tanti club di 2a divisione B interessati a noi, ma abbiamo detto a tutti di non lasciare la squadra, perché volevamo andare in 2a lega. Poi si fece avanti l’Aves e Paulo prese il treno per incontrarsi con loro. E forse non saremmo qui a parlare oggi se Paulo non avesse il cuore che ha, perché ha fatto qualcosa che nessun altro avrebbe fatto. Gli offrirono poco rispetto alla maggior parte degli allenatori, perché proveniva dalla 2a divisione B, e nonostante ciò ha voluto condividere lo stipendio con me. Oltre a Paulo non volevano altri allenatori, perché ne avevano già in squadra, ma lui disse: ‘Vengo, ma solo con il mio assistente’. Gli risposero che non avevano i soldi per pagare più allenatori. Paulo allora disse ‘Ma non ti sto chiedendo soldi, ti sto solo dicendo che vengo con il mio vice’. Paulo ha deciso di condividere con me il suo stipendio, guadagnavamo entrambi poco, ma eravamo felici perché lavoravamo in un campionato professionistico".
E la pasticceria e i bar?
"Alla fine li ho venduti, perché ho iniziato a perdere soldi. Ma guardo sempre alle cose come opportunità. In quel periodo gli affari stavano andando bene. Avevo un bar molto conosciuto, era a Ngaru, organizzavo feste di quattromila persone per la televisione, per esempio. Solo che non era la mia passione, la mia passione era il calcio. E quando si è presentata l'opportunità, anche perdendo denaro, l'ho accettata, senza pensarci due volte. E Paulo ha fatto lo stesso, perché aveva anche lui una pasticceria. È stata la passione che ci ha portati a credere nel nostro lavoro, perché credevamo fortemente che avremmo avuto successo".
Poi siete andati ad Aves, nella 2a lega, nel 2011/12.
"Poi siamo andati ad Aves ed è stato un anno molto bello, perché l'obiettivo era non retrocedere, ma abbiamo chiuso la stagione senza la promozione, per un rigore fallito. Ricordo che proprio nella prima partita disputata in campionato, a Madeira, Paulo era disperato con i giocatori. Sconvolto con loro, davvero. Nello spogliatoio, all’intervallo, è stato difficile".
Perché?
"Perché i giocatori nella pre-season avevano iniziato a capire il nostro modo di giocare e stavano facendo bene le cose. Siamo arrivati alla prima partita del campionato, che valeva tre punti, e avevano iniziato a rinunciare al gioco. Non chiedevano più la palla. Certo, questo per noi era come una pugnalata. E Paulo all'intervallo ha gridato loro: "Ma non avete il coraggio di giocare, perché? Mi assumo la responsabilità di tutto, nessun problema. Ma non rinunciate al gioco, perché è la peggiore cosa che possano farmi ". Questa è un'idea che è sempre stata con noi e stiamo parlando di una squadra della 2a lega, quando dappertutto c’era l'idea che nella 2a lega non si poteva giocare a calcio. ‘Mister, non puoi, mister, devi adattarti alla 2a lega, qui non lo puoi fare’ . E noi abbiamo poi detto ai giocatori: “Non dobbiamo adattarci a nulla: i giocatori hanno due gambe, hanno due piedi, sono migliori di quelli che avevamo nella 2a divisione B, quindi ce la faremo. Ma ci dovete provare’. Così con molto lavoro e con molta difficoltà dei primi tempi, i giocatori si sono resi conto di essere fantastici. All'inizio è stato difficile, ma poi hanno capito l'idea di gioco, perché si sono resi conto del proprio valore. Tanto che noi, che dovevamo solo giocare per non retrocedere, abbiamo finito per lottare per la promozione, con una striscia di risultati incredibile, penso abbiamo giocato 17 partite senza perdere. I giocatori si muovevano come dicevamo, credevano nella nostra idea e tutto è stato più facile".
Ricordo che Vítor Pereira, dopo aver lasciato TSV, della seconda divisione tedesca, disse che non era stato in grado di cambiare i giocatori, che non erano abituati a uscire palla al piede. Sono queste le difficoltà avute?
Non è stato facile ad Aves. Credo davvero che, con il tempo, siamo riusciti a portare avanti la nostra idea e quindi i giocatori si sono resi conto che quella forma di gioco era davvero la migliore. Questo ci è successo ovunque. Anche all'FC Porto non è andata bene. Ma questo è un esempio del fatto che anche noi non facciamo miracoli. La questione è: abbiamo uno stile di gioco, in cui crediamo ciecamente e anno dopo anno dimostriamo che funziona. Ovviamente dobbiamo avere la disponibilità dei giocatori, ma dipende da noi, con esercizi, video, feedback, con tutto ciò che abbiamo a portata di mano, per far credere ai giocatori che questo è il modo di giocare. Dobbiamo lavorare nei dettagli e poi le cose vanno da sole.
Hai avuto più difficoltà?
All'inizio ci sono sempre da affrontare difficoltà. Allo Shakhtar abbiamo avuto molte difficoltà quando siamo arrivati, perché era una squadra che marcava uomo a uomo per tutto il campo. Immagina com'è arrivare lì e dire che bisognava iniziare a marcare a zona. Nessuno ci crede. E si diceva: "Ah, ma lo Shakhtar ha dei grandi giocatori". Sì, li hanno sempre avuti. Ma marcavano uomo a uomo. E quando siamo arrivati lì, non vincevano il campionato da due anni, ecco perché siamo stati chiamati. [Mircea] Lucescu ha fatto un ottimo lavoro, con un modo di giocare molto diverso dal nostro. È stato molto difficile cambiare quella mentalità, ma l'abbiamo fatto e oggi non valutano la possibilità di poter tornare indietro. Ciò che intendo con questo è che ci saranno sempre difficoltà, ma è impossibile nel nostro caso cambiare la nostra idea, perché crediamo nel modo in cui giochiamo, sia con la palla che senza . La difesa non deve essere vicino al propria area, crediamo che sia fondamentale per il nostro successo. Questo non vuol dire che ci occupiamo solo della fase di possesso palla senza curarci dell’organizzazione difensiva. No, al contrario ci preoccupiamo molto dell'organizzazione difensiva.
Ci sono state difficoltà a Roma?
"Sì, quando siamo arrivati a Roma c’erano anche delle difficoltà. È un campionato difficile, in cui gli allenatori preparano molto bene le partite. Questo cambia il nostro modo di pensare? No. Possiamo avere una sfumatura o un’altra, anche le caratteristiche dei giocatori possono essere importanti per questo, ma la maggior parte del nostro modello non cambierà mai. Vogliamo essere protagonisti, vogliamo difenderci dal nostro obiettivo e vogliamo sempre fare il gioco per dominare, perché in questo modo difendiamo anche meglio".
È più facile infondere la propria idea di gioco in squadre di basso livello, in cui i giocatori possono essere più ricettivi, rispetto a squadre di alto livello, come l'FC Porto, dove c'erano giocatori con più esperienza?
"Ovviamente, è più facile infondere la propria idea di gioco a giocatori che non hanno così tanta esperienza. Penso che sia normale. Ma c'è una cosa che rende tutto più difficile: non avere tempo per allenarsi. In squadre come FC Porto e Roma, dove si gioca ogni tre giorni, e in Italia ancora di più, poiché il campionato ha 20 squadre, gli allenamenti che facciamo sono allenamenti di recupero, dove lavoriamo molto sulla tattica ma senza un’elevata intensità. Naturalmente, quando eravamo a Paços de Ferreira, avevamo un'intera settimana di lavoro, c'era molto più tempo per trasmettere il nostro messaggio ai giocatori e questo era un vantaggio. Quando i giocatori hanno un’esperienza diversa, dobbiamo sapere come prenderli, forse in altri modi, ma dobbiamo convincerli comunque. Con più o meno esperienza dobbiamo convincerli. Conosco anche molti giocatori con poca esperienza che con altri allenatori non erano affatto convinti. Penso che abbia a che fare con il nostro modo di essere, la nostra sensibilità e, naturalmente, la nostra idea di gioco".
Nel 2012/13, Paços termina il campionato al 3 ° posto.
"Un mio amico mi disse che, in 40 anni di calcio portoghese, questa è stata la cosa più difficile da fare: portare il Paços de Ferreira al 3 ° posto in campionato. Ovviamente sono molto soddisfatto di quella stagione. Poi siamo andati al Porto e siamo stati lì otto mesi, ma è stato un’esperienza che ci ha insegnato molto. Forse i trofei che abbiamo vinto dopo con il Braga e lo Shakhtar, derivano dall’esperienza vissuta al Porto. A distanza di tempo vedo quel periodo al Dragão come un qualcosa di positivo, perché abbiamo imparato molto. Dopo il Porto siamo tornati a Paços e lì dobbiamo dare il 200% di merito a Paulo, per il coraggio dimostrato nel tornare. Ci siamo detti: ‘Perché non tornare in una casa dove siamo stati felici’. E abbiamo dimostrato che possiamo essere felici più di una volta nello stesso posto. Naturalmente le persone ci hanno aiutato molto, nutrivamo una grande affetto per tutti loro, per i giocatori, per lo staff. Ci sentivamo a casa. Abbiamo avuto una nuova stagione di successo, abbiamo combattuto fino all'ultimo per andare in Europa. Gli insegnamenti che abbiamo tratto dall’esperienza nel Porto ci ha aiutato per il proseguo della carriera e per quello che abbiamo costruito dopo, non c’è dubbio".
Quando siete andati all’FC Porto, vi siete trovati bene?
"Certo, ma il momento in cui mi sono sentito peggio all'FC Porto non è stato in allenamento, perché in allenamento sentivo che eravamo sempre in vena di migliorare la squadra. Erano altre le cose difficili".
Cosa vedi durante la partita?
"Abbiamo un modo di lavorare in cui Paulo di solito guarda l'area in cui si trova la palla e si focalizza su quella zona. Io devo concentrarmi sull'area opposta, controllando, ad esempio, il momento in cui si perde la palla".
Com'è cambiato in Italia il vostro approccio alle partite?
"Ad esempio, le differenze nella prima fase della costruzione sono cose che i giocatori percepiscono facilmente e non vedono come un grande cambiamento. Qui in Italia, i giocatori sono abituati a lavorare molto sulla tattica con gli allenatori. Nella prima fase di costruzione abbiamo diverse soluzioni e già le dominano. Sotto pressione anche abbiamo diversi modi di giocare a seconda dell’avversario. Ma, nel mezzo di queste due cose, ci sono molte altre che sono difficili. Non possiamo addestrare tutto, perché non abbiamo tempo, né possiamo sempre dare feedback su qualunque cosa. Ad esempio, se stiamo costruendo a tre e siamo sotto pressione, i nostri giocatori devono avvicinarsi, ma devono capire chi deve avvicinarsi e se questo giocatore lo fa, allora gli altri devono capire dove posizionarsi per cercare lo spazio libero. Questo richiede tempo".
Qualcuno ti parla durante le partite?
"Sì, Tiago Leal vede la partita dalla tribuna".
E cosa riferisci a Paulo?
"Sì, è il nostro modo di lavorare. Paulo vede il gioco nel suo complesso, io osservo la parte di campo in cui non c'è la palla, come si riparte dopo aver perso il pallone, perché attacchiamo con molti giocatori e non può mancare l'attenzione, perché siamo più esposti di altre squadre, forse. Tiago mi riferisce alcune cose ed altre le rilevo già dalla panchina, altre ancora le ho già riferite a Paulo o direttamente al giocatore, ma a volte Tiago osserva anche alcune situazioni dell'altra squadra, perché c'è stato un cambiamento tattico o perché si sta aprendo uno spazio che non stavamo considerando. A volte riferisco le informazioni a Paulo, altre volte aspetto il momento giusto per parlargli, altre ancora parlo direttamente con i giocatori, se sono vicini. E' molto facile lavorare insieme. Paulo è una persona fantastica, che permette di fare cose che forse gli altri non consentono. Mi sento privilegiato a lavorare con lui perché mi permette di intervenire come voglio, per i giocatori, per il gioco e per lui. Questo mi permette di decidere come farlo. Se sento che c'è bisogno di correggere alcune posizioni, allora posso dirlo a Paulo di riferire a due o tre giocatori, quando c'è un'opportunità. Abbiamo questo modo di lavorare insieme. Tiago dalla tribuna, oltre a Luis, che taglia le immagini e poi all'intervallo possiamo mostrarle se vogliamo".
All'inizio delle partite Tiago dice immediatamente se l'avversario è posizionato come previsto?
"Sì, sì. Soprattutto qui in Italia perché ci sono molti allenatori che cambiano il sistema di gioco senza averlo mai fatto fino a quando non hanno giocato contro di noi. Ci sono squadre che qui hanno persino giocato con due sistemi, abbiamo osservato e avuto la possibilità di giocare nell’uno o nell’altro modo, trasmettiamo persino queste informazioni ai giocatori, quando presentiamo l’avversario, e quindi quando vediamo il piano di gioco possiamo già sapere che cosa ci vorrà. Quando iniziamo la partita, ne siamo certi e, se necessario, lo diciamo ai giocatori, perché è totalmente diverso giocare con tre giocatori centrali o giocare solo con due, per esempio. Ma abbiamo il vantaggio di aver preparato diverse cose prima, quindi quando diciamo loro che l’avversario sta giocando con due o tre giocatori centrali, sanno già cosa devono fare. Come quando diciamo, ad esempio, se pressano con due, con l’attaccante e con il “10”, o tre, già con le ali, sanno già cosa devono fare in situazioni diverse".
In questo caso qual è la strategia?
"Voglio fare un'osservazione: a volte la strategia viene confusa con cambiamento radicale, come il sistema di gioco o altre cose. Secondo me la strategia è una piccola sfumatura che permette, come ho spiegato, al giocatore di migliorare la prima fase di costruzione, per esempio, o la pressione in avanti. Sono sfumature che portano vantaggi nel gioco. Immaginiamo che l'avversario giochi con due attaccanti e che noi invece che giocare con due centrali, ne mettiamo tre. Non la considero una strategia, ma penso sia un cambiamento radicale nel nostro modello, perché il nostro sistema si basa su cose specifiche e dettagliate e la strategia non cambia l'intenzione".
Cosa pensi manchi alla Roma?
"La Roma è un club fantastico. Questo è considerato l’anno zero per tutti, è l’anno in cui abbiamo iniziato a costruire un’idea di gioco, a voler costruire una squadra forte, che richiede tempo e, naturalmente, potremmo aver bisogno di alcuni rinforzi. Penso che abbiamo già gettato le basi per la prossima stagione per essere migliori. L’obiettivo è quello di arrivare al 4° posto. Siamo molto contenti di tutti, infatti, siamo innamorati della città e del club, perché le persone sono state tutte fantastiche, remando nella stessa direzione, cercando di aiutare e abbiamo un ottimo feedback da parte dei giocatori e dello staff. Abbiamo avuto molti infortuni, ma era un problema che veniva anche dal passato. In questa stagione abbiamo il 16% di infortuni in meno rispetto alla scorsa stagione a Roma, che sembra strano, perché sono stati tantissimi. Ma il primo fattore per gli infortuni è la storia passata. Anche nelle lesioni muscolari, la percentuale è diminuita molto. Abbiamo anche avuto un problema con i campi e qui e il club ha fatto un grande sforzo e ha cambiato tutti i terreni dove ci alleniamo. Penso che tutti abbiano cercato di aiutare. Paulo Fonseca è una persona aperta alla discussione e mi sento privilegiato a far parte del suo team. Penso di poter parlare anche per tutti gli altri elementi, perché abbiamo totale apertura per discutere di tutti gli argomenti che vogliamo. Non solo noi, ma anche l’intera struttura del club. Naturalmente Paulo prende la decisione finale, ma il dibattito sulle idee ci consente sempre di aggiungere qualcosa e i dubbi ci fanno riflettere. La decisione viene successivamente presa da Paulo, ma ascolta tutti. È un grande piacere e un’enorme felicità per me poter lavorare in questo contesto, con un team tecnico che considero uno dei migliori al mondo, grazie al modo in cui discute e discute di tutto. Questo per dirti che questo è il nostro anno zero e che il tempo ci aiuterà a consolidare ulteriormente le cose. Quando la stagione si è fermata stavamo di nuovo bene, ma prima abbiamo avuto un periodo meno buono, anche a causa di infortuni ai giocatori chiave e non è facile superare questi momenti. Stavamo crescendo e penso che i giocatori siano soddisfatti".
Qual è la stata la squadra più impegnativa che avete affrontato in Italia? L'Atalanta?
"Comincio dall’esterno, perché allo Shakhtar, nonostante abbiamo vinto tutti quei titoli, penso che la nostra visibilità provenga da quell’anno in cui abbiamo sconfitto City e Napoli nella fase a gironi di Champions e abbiamo raggiunto la straordinaria impresa di passare alla fase a eliminazione diretta.
Sull'Atalanta.
"L’allenatore ha il merito di aver creato qualcosa di importante anche grazie ai tre anni precedenti. L'Atalanta fa la fase di costruzione con diverse varianti, anche più di noi. E' una squadra difficile da affrontare, merito dell'allenatore e della squadra. Abbiamo perso contro di loro ma abbiamo giocato una buona partita in casa, ben preparata in fase difensiva. Ma perdere è stata un'ingiustizia perché praticamente non hanno creato possibilità. Gasperini ha un gruppo di lavoro di giocatori molto aggressivi e forti fisicamente, per questo hanno successo nella marcatura uomo a uomo. In passato ha persino raccolto qualche fallimento, come all'Inter, ma è un allenatore davanti al quale mi tolgo il cappello. Penso che dopo aver superato il campionato italiano, siamo pronti a qualsiasi campionato del mondo perché qui la tattica ci obbliga ad avere una preparazione per le partite che non troveremo in altri campionati".
Quando siete arrivati, Totti se n'è andato perché ha detto di non essere stato consultato riguardo al vostro arrivo. Avevi paura che le sue parole potessero avere un effetto negativo sui tifosi?
"Non abbiamo parlato con Totti, ma ovviamente abbiamo tutto il rispetto per lui. È un dio a Roma perché ha una carriera incredibile. Quando parli di Roma, parli di Totti. Penso che sia naturale quello che ha detto perché magari non ci conosceva, penso che sia normale. Totti poi ha rilasciato altre interviste dicendo che siamo molto bravi, che possiamo aiutare Roma e anche che abbiamo bisogno di rinforzi. Questo non è da tutti, perché doveva andare contro ciò che aveva detto precedentemente. Totti merita tutto il nostro rispetto ed è un grande piacere sentirgli dire queste cose. Siamo innamorati di Roma, onestamente, è un grande piacere essere qui".