Interviste AS Roma 08/10/2016 14:21

TOTTI: "Ho sempre tifato per la maglia che indosso da 25 anni, non potrei volere altro dalla vita. L'ultimo periodo è stato il più felice di sempre"

TOTTI
CORSPORT - Il capitano della Roma si è raccontato a 360° in una lunga intervista concessa a Walter Veltroni sulle pagine del quotidiano nazionale, in cui ha ripercorso la sua carriera in maglia giallorossa e raccontato tanti curiosi aneddoti. Queste le parole del numero 10.
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Dalla strada alla Roma come ci sei arrivato?
«Dalla strada alla Roma ho avuto un percorso giusto. Ho giocato prima sotto casa, alla Fortitudo, sono stato tre anni là e poi sono passato alla Smit di Trastevere. Con quella squadra di rione un giorno disputammo un’amichevole con la Roma. Non giocai, non mi fecero giocare perché ero più piccolo rispetto agli altri. Però mi misi a palleggiare da solo a bordo campo. C’era Ermenegildo Giannini alla Roma, in quel periodo. Mi guardò e mi prese senza che giocassi».
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E certo. Senti, Roma, cosa è per te Roma?
«Tutto, tutto. La città e la squadra, tutto. Roma città, non perché sono romano, ma la reputo la città più bella del mondo. Ha tutto: mare, montagne, monumenti, sole. Ha la passione dei romani. E poi la Roma nel calcio. Ho sempre tifato per questa squadra. Quei colori erano nella mia stanza e nei miei sogni fin da piccolo. Io ho indossato per venticinque anni questa maglia, l’unica che abbia avuto, porto la fascia da capitano. Cosa dovrei volere di più dalla vita?».

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Hai raccontato in occasione del tuo quarantesimo compleanno che, ad un certo punto, sei stato indeciso se andare via dalla Roma, al . Mi racconti un po’ quel passaggio?
«Sì, era il 2003. C’era Capello con i Sensi, ma vivevamo un momento molto particolare tra me e la società, alcune cose non andavano nel verso giusto. Avevo chiesto alcune cose specifiche. Loro non è che non volessero accontentarmi ma sembravano ignorare le mie aspettative. Il spingeva a tutti i costi perché giocassi da loro. Era l’unica squadra al mondo per la quale io, a malincuore, avrei potuto lasciare Roma. Ci pensai seriamente. Però alla fine la famiglia, gli amici, mia moglie, mi hanno aiutato a capire tante cose, così sono rimasto qua. E considero che sia stata una fortuna».
Tu non ce l’avresti fatta ad andar via da Roma?
«Adesso dico di no però in quel momento ero abbastanza deciso. Anche perché non è che andavi in una squadra normale. Andavi nella squadra più forte del mondo».
Cito una cosa della quale sono stato testimone: tu proprio in quegli anni decidesti di dare una mano per salvare la Roma. C’entrava anche il tuo forte legame con il presidente Sensi e con la famiglia...
«Sì, è una cosa che non tutti sanno. E’ stata una cosa mia, volevo aiutare la famiglia Sensi che ha fatto tanto per la Roma. Ma non mi vergogno di niente, anzi sono stato contento che non sia uscito più di tanto, che non se ne sia parlato tanto. L’ho fatto veramente per la squadra, per i colori che ho sempre amato, per i Sensi perché loro mi hanno trattato sempre come un figlio. Per me quando c’è il rispetto c’è tutto e siccome mi hanno sempre portato rispetto, io ho cercato di ricambiare, per quel che potevo».
Come immagini il tuo futuro adesso?
«Non so quello che mi riserverà il futuro. Però so che sarà una cosa piacevole, sarà un’altra vita, un’altra carriera bella. Sinceramente non so cosa farò. Però spero di rimanere per sempre nella Roma. Questo è il mio desiderio, e mi auguro e voglio aiutare la società nella quale ho speso la gran parte della mia vita. Sarei davvero felice se potessi essere di aiuto alla Roma».
Ti piacerebbe allenare?
«Da una parte sì. Però in questo momento non ci penso perché, conoscendo il mio carattere, forse non saprei gestire un gruppo. Però, in effetti, vedo tutti i miei ex compagni che appena smesso di giocare hanno preso questa carriera d’allenatore. Mi sa che scatta qualche cosa dopo, perché tutti si mettono a fare gli allenatori e allora può darsi pure che scatterà qualche cosa anche a me. Che ti devo dire: cambierò carattere, cambierò modo di impostare tante cose».
Quale è il momento di tutta la tua vita calcistica in cui sei stato più felice?
«Più felice? Vabbè, leviamo la vincita dello scudetto perché era un mio obiettivo di tutta la vita. Però, sai che ti dico? Penso che il momento più felice sia quest’ultimo periodo. L’ultimo anno che ho passato è stato veramente brutto, perché non mi aspettavo tante cose, non me le aspettavo sotto tutti i punti di vista. Però alla fine l’orgoglio, la passione, la determinazione, lo spirito, il mio carattere mi hanno aiutato a cambiare molte cose e ora sto davvero bene e mi sento come quando ero ragazzo. Sono sereno».
E invece il momento più duro quale è stato?
«Gli infortuni inaspettati, gli infortuni brutti. Ne ho avuti di terribili. In quei momenti riesci a capire veramente la forza di un uomo. Mi sono rialzato dopo due o tre situazioni non semplici e lì ho capito che avevo un carattere forte e una voglia di giocare che non finiva».
Prendiamo due momenti invece nella Nazionale. Uno brutto e uno bello. Quello brutto è Poulsen agli Europei. Come te lo ricordi?
«Me lo ricordo… Sicuramente me lo ricordo, me lo ricordo come un brutto giorno. Dissero, e doveva essere vero, che avevo sputato a Poulsen. Ma io sinceramente tuttora ripeto che neanche mi sono reso conto, neanche me lo ricordo. Cioè adesso mi ricordo tutto, però in quel contesto non mi ricordavo di aver fatto un gesto simile perché non è da me. Uscì la sentenza con la e io mi sarei messo sotto terra in quel momento. Però purtroppo capita, è capitato anche a giocatori come Zidane o Maradona. Purtroppo queste sono cose che succedono nel calcio e io ci sono passato. So quello che ti dicono in campo e tante cose ti feriscono, però il campione riesce a voltare pagina. Deve voltare pagina».
Che ti aveva detto Poulsen?
«No, ti giuro, dall’inizio della partita mi ha gonfiato di botte. Nel senso che mi acciaccava i piedi, mi dava i pizzichi, anche se la palla stava lontana, a cinquanta metri, lui di dietro bum, mi dava una botta. In quella partita poi faceva caldo, erano le tre del pomeriggio, non riuscivo a fare le giocate giuste, che volevi che facessi? Cose che durante la partita purtroppo ci stanno, che ti capita una partita un po’ negativa, per di più ti si mettono questi dietro che bum bum bum, ti corcano di botte, e mi sono girate... che ne so che mi è passato per la testa. Però ho chiesto scusa, mi sono dispiaciuto di tante cose. So che rappresentavo l’Italia in quel momento. Però alla fine è passato tutto, basta aspettare. E’ l’altra domanda che mi dovresti fare, no? Ti anticipo…».
I Mondiali? No, invece ti faccio quella sul cucchiaio.
«L’Europeo era il mio primo Europeo nel 2000 e penso che feci un grande torneo. Quasi vincemmo la finale con la Francia, che fu invece persa malamente. Loro pareggiarono agli ultimi tre secondi della partita, una partita in cui potevamo fare tre o quattro goal. Però il calcio è bello anche per questo, perché ti riserva sorprese inaspettate. Alla fine abbiamo perso con il golden gol, però io, personalmente, penso di aver fatto veramente un grande Europeo».

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Chi è il giocatore più forte con cui hai giocato?
«Tecnicamente Cassano. Cassano, perché parlavamo sul campo, ci trovavamo in qualsiasi momento, sotto tutti i punti di vista. Poi con lui avevo un grandissimo rapporto anche fuori dal campo, perciò c’era sintonia totale. Stiamo parlando di uno dei giocatori più forti non in Italia ma anche in Europa, perché lui tecnicamente è un fenomeno. Poi Batistuta, Montella, quelli sono giocatori che hanno fatto la storia del calcio. Vanno ricordati perché era un piacere vederli e ho avuto la fortuna di giocarci anche insieme».
Noi abbiamo vissuto insieme, nei diversi ruoli, due momenti di festa: lo scudetto del 2001 e poi la notte incredibile in cui tornaste dal mondiale 2006. Come te le ricordi quelle due feste? Eravamo al Circo Massimo tutte e due le volte…
«Due colori diversi. Una tutta giallorossa e una tutta blu. Però due ricordi indimenticabili, perché penso che per un giocatore romano aver vinto le cose più importanti da vincere e poterle festeggiare con la propria città… Sono ricordi troppo belli troppo… che rimangono dentro, ricordi bellissimi. La gente impazzita, la gente che avrebbe fatto qualsiasi cosa, le stesse che avrei fatto io se fossi stato da quella parte della vita. Sicuramente avrei agito come hanno agito loro. Come ho detto prima i romani sono belli per questo, perché sono focosi, sono passionali, tutto quello che ti possono dare te lo danno. L’amore che ti dimostrano è veramente al cento per cento».
Chi è l’allenatore con cui ti sei trovato meglio nella tua carriera calcistica?
«Zeman era quello con cui mi sono trovato meglio di tutti. Anche con gli altri, più o meno. Ma io non ho avuto mai problemi con gli allenatori perché poi alla fine ho fatto sempre il mio dovere, li ho sempre rispettati e, questo lo ribadisco un’altra volta, io alla Roma non ho mai cacciato via un allenatore, non ho mai voluto un allenatore. Ha fatto sempre tutto la società. E’ inutile che fuori dicano ha cacciato via quello o ha voluto quell’altro, io non ho mai messo bocca su niente. Questo lo voglio precisare perché è giusto si sappia la verità. Per me chi veniva veniva, l’importante era che fossero allenatori autorevoli, allenatori vincenti. Poi è normale che ci siano allenatori più forti e meno forti. Però il rapporto, il rispetto, è stato con tutti uguale. L’unico con cui ho avuto un po’ di problemi è stato Carlos Bianchi. Però ancora ero giovane e lui non è che era molto attento ai giocatori romani perché a lui piacevano più gli stranieri. Lui, essendo argentino, conosceva tanti giocatori stranieri perciò i romani non è che lo convincessero tanto. Poi essendo io giovane aveva cercato in tutti i modi di spingermi verso altri orizzonti».
Per farti cambiare squadra?
«Sì e anche lì è mancato pochissimo, perché mi ero messo d’accordo con la Sampdoria. Firmai con la Sampdoria e il giorno dopo ci fu un torneo all’Olimpico con Ajax e Borussia Dortmund. Fu la sera prima che io andassi alla Sampdoria. Ma gli dei di Roma si ribellarono e fu una serata magica, per me storica. Forse sarà stato il destino, ma quella sera feci due goal sia all’Ajax che al Borussia Dortmund. All’Ajax c’era un giocatore molto forte che Carlos Bianchi voleva a tutti i costi. Ma dopo la partita il presidente Sensi s’impuntò e disse: lui da qua non va via. Alla fine saltò tutto con la Sampdoria e rimasi in giallorosso. Bianchi disse o o me e Sensi disse . E da lì è cambiato tutto…».
Con come ti trovi?
«Con bene, ho un buon rapporto. Un rapporto che va oltre anche il calcio. Una bella persona, una persona che ha i propri valori, che per me ha fatto tanto, una persona che vuole vincere, un allenatore che ha una cultura calcistica superiore alla media. E per me la Roma ha fatto un grande investimento riprendendo questo allenatore».

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Qual è il goal più bello che hai fatto, secondo te?
«Sono due. Sono un po’ indeciso. O quello a Milano con il pallonetto a Julio Cesar, oppure quello al volo contro la Sampdoria a Marassi di sinistro. Bella lotta. Non è semplice, uno è di destro uno è di sinistro, perciò...».

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Cosa ti mancherà quando smetterai?
«Mi mancherà lo spogliatoio, mi mancherà il campo, mi mancherà scherzare con i compagni, i ritiri. Tante cose che purtroppo non ci saranno più. Però me li voglio godere fino alla fine, finché posso».
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Pensi anche tu come Sarri che il campionato sia finito?
«Finito no, nel calcio mai dire mai, però sappiamo che la è di un’altra categoria. Negli ultimi cinque anni hanno dimostrato veramente di essere di un altro livello. Cercheremo di dargli filo da torcere fino alla fine, però sappiamo che non è semplice. Siamo coerenti con tutti: con noi stessi e con la gente che ci viene a vedere. Loro sono i più forti, noi siamo in seconda fascia. Ma non molliamo».