Altre 30/09/2021 14:33
Piedistalli, bonifiche, cantieri e presbiti
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Molto spesso, la Roma negli ultimi dieci anni ha venduto. Dieci anni fa si era da poco conclusa la prima sessione di mercato americana, sabatiniana. La bulimia di acquisti era giustificata dalla povertà di una rosa da ricostruire, dalla presenza di calciatori giunti a fine corsa o non più adeguati: urgeva una rivoluzione che non poteva essere rinviata. Un via vai durato circa otto anni, che ha portato campioni, patacche, alimentato rimpianti, illusioni, orgoglio, plusvalenze e rancori, lasciando sempre e comunque un retrogusto amaro, perché quando giocavano tutti insieme Nainggolan, Dzeko, Salah, Strootman, Pjanic, Rudiger e via dicendo, la Roma avrebbe dovuto vincere, senza se e senza ma; oppure perché si sbatteva la testa al muro non dando risposta al perché non si facesse lo sforzo per mantenerli in organico più a lungo.
Storie vecchie, oramai ammorbanti. Acqua passata. Ma forse utili per farci mantenere equilibrio quando analizziamo il presente, senza piombare ogni volta nelle malinconie chiassose del passato, per non passare da un eccesso all'altro. Per non risultare drammaticamente patetici. Da settimane ci si chiede quando potranno tirare il fiato Cristante e Veretout. Come se in panchina (o in tribuna) ci fossero Makelele e Lampard. Non sarà che un calciatore come Diawara dovrebbe avere dimostrato qualcosa in più affinché non sia considerato quello che deve per forza andare in campo per dare respiro ai titolari? Non sarà che la Roma tre anni fa abbia probabilmente sbagliato acquisto? Comprando un centrocampista che a Napoli, in tre anni, aveva bucato tutte le chance di affermazione nel calcio che conta? Urliamo: "metti Diawara!", perché fa lo stesso ruolo di Cristante. Magari se usassimo il condizionale quando lo chiediamo appariremmo meno strafottenti. A meno che non siamo certi che un calciatore stra bocciato a Napoli e che qua a Roma in due anni e mezzo ha giocato benino soltanto due mesi, rappresenti la panacea di ogni male.
Poi c'è Villar. Ok, non è il mediano ideale per Mourinho. Lo abbiamo capito, lo leggiamo, lo scriviamo, lo ascoltiamo e lo diciamo, più o meno tutti, da metà maggio. Siamo davvero sicuri che l'eclettico spagnolo abbia ben chiaro come si insinua nella testa di un allenatore quantomeno il dubbio di mandarlo in campo? Abbiamo imprecato quando fu venduto Nainggolan. Possiamo ammettere col senno del poi che fu una scelta (dolorosa) giusta perché a Trigoria avevano capito che la sua parabola fosse oramai discendente? Ci siamo stracciati le vesti quando partì Lamela. Vogliamo dire che al netto delle avarie fisiche ha continuato a vivere di lampi negli otto anni successivi alla cessione? Poi magari però non ci andava bene Salah perché a volte sbagliava gol clamorosi. Possiamo concludere che al pari di dirigenti e allenatori siamo fallibili? Scendendo, noi commentatori di pallone, da un piedistallo che ci siamo costruiti e che ci rende spesso ridicoli agli occhi del mondo?Sospironi quando pensiamo a Florenzi: cinque mesi a Valencia non giudicabili; una stagione a Parigi con tre mesi discreti e sette sottotono; un mese e mezzo a Milano dove fa una fatica del diavolo per essere all'altezza di Calabria e Saelemekers, mica Tassotti e Donadoni. Qua per un periodo pensavamo fosse un mix fra Cafu e Bruno Conti. Gli occhi dell'amore soffrono di presbiopia quando si chiede loro di osservare le cose con equilibrio.
La Roma ha fatto tanto in estate, ma non abbastanza per definirsi prossima alla perfezione. Mourinho e Pinto più che dirlo in loop ogni volta che aprono bocca, cosa possono fare? Precisazione di metà considerazioni: sbagliano anche loro. Così evitiamo di pensare che i pregiudizi positivi rendano ciechi i presbiti. Ricordando però che è meglio avere pregiudizi positivi per un allenatore vincente che osannare presunti profeti perdenti, passati anche a queste latitudini. Mourinho per colpa di due sconfitte, di cui è corresponsabile, viene oggi considerato bollito e pure isterico. Dove sono finite le iperboli che la stampa nazionale usava per descrivere la sua magnificenza ai tempi dell'Inter quando "proteggeva la squadra scagliandosi contro avversari e arbitri"? Boom, viene a Roma, e se si lamenta dell'arbitro diventa di colpo un vecchio rincoglionito che farebbe bene ad andare a guardare i cantieri. Tranquilli, il suo cantiere si chiama Roma. Non lo guarda inerme e brontolone con le mani dietro la schiena. Lui è l'architetto chiamato dal costruttore affinché la squadra diventi un palazzo signorile. Le fondamenta iniziano a intravedersi. Ma al contempo va ancora completata l'opera di bonifica del terreno su cui sono state posate. Era una palude, come manco l'agro pontino. Per il quale chiamarono, novanta anni fa, esperti dal Veneto affinché si trasformasse in terreno fertile, vivibile, non più infestato da zanzare e causa di malaria. Assoldarono forestieri, da integrare agli esperti indigeni. Perché, a volte, pure in cantiere è meglio affidarsi ai forestieri, perché lavorano meglio di certi indigeni, che magari per indolenza o per retaggio di un comodo e pasciuto passato, passano il tempo, fra una timbratura e l'altra del cartellino, a fare crescere la gramigna nei corridoi degli uffici e nei sottopassaggi degli stadi, o ad attribuirsi meriti che non gli appartengono. C'è tanto da lavorare. Si sbaglierà ancora tanto. Tra bonifiche, abbattimento di piedistalli ed equilibrio da raggiungere. Tempo al tempo. E un paio di buoni occhiali.
In the box - @augustociardi75