Altre 18/05/2020 01:30
Spalletti: "La mia prima Roma era una squadra baciata dal sole. Diedi del 'bottiglione' a Dzeko, Sabatini un genio, con Totti ci rincontreremo"
SKY SPORT - Nella Roma c'è stato un primo Spalletti, quello a cui gli si riconosce la 'genialata' di aver spostato Totti centravanti e Perrotta trequartista dietro di lui e il merito di aver vinto l'ultimo trofeo del club giallorosso, la Coppa Italia 2007/08. Poi c’è stato lo Spalletti-bis, ricordato non tanto, o non solo, per aver raggiunto il record di punti conquistati nella storia della Roma (87 punti), per aver permesso a Dzeko di diventare il capocannoniere della Serie A di quella stagione (2017/18), quanto piuttosto per la rottura del rapporto con Francesco Totti che proprio in quell'anno disse addio al calcio giocato. Il tecnico di Certaldo, passato in seguito all'Inter, ha raccontato, tra le altre cose, anche della sua doppia esperienza giallorossa ai microfoni dell'emittente satellitare, durante il quotidiano appuntamento con 'Casa Sky Sport', dove ha dichiarato:
"Ora sono nel mio luogo preferito di casa mia, la stanza delle cose a cui sono più affezionato. Queste pareti mi ricordano quanto possa essere stupendo questo sport e quanta felicità dia farne parte. Questo sport mi ha permesso di fare una vita da re, di conoscere campioni e stare a contatto con personaggi unici nel loro genere. In un vita normale non avrei mai fatto queste cose, come essere ricevuto dal Papa, sentire Andrea Bocelli che canta dal vivo senza microfono nella palestra dell'Inter... Sono cose che porterò sempre con me".
Come si esce da questo caos?
"Questo il più grande infortunio di massa della storia di calcio e dello sport in generale. I calciatori sono stati obbligati a fermarsi all'improvviso come accade per un infortunio muscolare. Come si ripresenteranno ai blocchi di ripartenza dipenderà dalla capacità di dialogo che ognuno di loro ha avuto con il proprio corpo e con il problema che abbiamo vissuto. C'è da fare un applauso al personale sanitario, a medici, infermieri, ma anche a tutte quelle persone che si sono impegnate per migliorare le cose. Questa è stata una dimostrazione di cosa significhi lavorare per il bene degli altri".
Che idea si è fatta del calcio italiano?
"Qualunque soluzione che verrà adottata per finire il campionato farà contenti e scontenti. Quando siamo costretti a cambiare le cose in corsa non esiste una soluzione equa per tutti. Penso che bisognerà tornare a giocare mettendosi la mano sul cuore perché la gente vuole vedere il calcio. Sarei contento di vedere ripartire il nostro campionato. Andrà fatto pensando soprattutto quanto hanno sofferto e lottato le persone in questo periodo, con la consapevolezza che il calcio è uno degli strumenti più potenti per tornare mentalmente alla normalità. La gente nei momenti liberi preferisce vedere partite di calcio".
Il ricordo più bello dell'Inter.
"Di ricordi belli ne ho molti. Anche perché siamo arrivati in fondo a tutte e due le stagioni con il fiato sul collo di quelli che restavano fuori dalla Champions. Sono stati momenti forti ed emozionanti. La vittoria a Roma contro la Lazio è stato uno dei momenti che mi hanno fatto gioire di più. La vittoria del derby della seconda stagione in casa del Milan quando tutti ci davano per spacciati, rivedere il popolo interista gioire alla 'Scala del calcio' è un qualcosa che fa parte di questa stanza perché ci sono ricordi che portano a rivivere quei momenti lì".
Si aspettava di ribaltare la partita dopo il gol di Felipe Anderson?
"Me lo aspettavo per forza. Quando si fa questo lavoro qui bisogna pensare nella maniera giusta. La maniera corretta di pensiero è la prima cosa a cui badano i calciatori. Sono loro che assorbono tutti i tuoi sguardi, i movimenti e la convinzione di potercela fare. Quando siamo rientrati negli spogliatoi alla fine del primo tempo ci siamo detti le cose corrette e le reazioni sono state quelle che io volevo vedere. Poi c'è il giocatore che ha grande personalità e forza, che non si lascia mettere nell'angolino anche se il momento non è di quelli positivi di una partita. Si va sempre a cercare il risultato più importante".
Videomessaggio di Sabatini: È facile definire Luciano Spalletti: è un genio che si esprime attraverso una concretezza. Le cose che ha fatto nel calcio, 130 punti alla Roma, una qualità di gioco straordinaria e poi anche all’Inter dove ha arpionato la Champions come Akab ha arpionato Moby Dick. Lo chiamavo dirimpettaio della follia, perché un brandello di follia nel genio esiste sempre, è quasi necessaria. Adesso si è ritirato nella sua campagna in Toscana e sarà pedinato dai ricordi recenti, degli ultimi 2-3 anni che ha fatto nel calcio. Gli auguro di tornare presto e di essere in condizione di poter scegliere una soluzione giusta per lui. La genialità si esprime nella qualità di gioco e nelle scelte che ha sempre fatto. Una su tutti Nainggolan, che ha spostato 30 metri più avanti trasformando il gioco della Roma. Riusciva in blocco a giocare nella metà campo avversaria. Un genio. Dopo tre giorni aveva capito che Emerson Palmieri fosse un grande giocatore e lo ha subito fatto giocare, tanto che è diventato una delle grandi plusvalenze della Roma. Il patrimonio calcistico di un club affidato a Luciano subisce un incremento esponenziale giorno dopo giorno.
"Mi sono alzato in piedi per lui. E’ un vero genio, un grande professionista, è un grande amico. All'inizio quando io e Sabatini abbiamo lavorato insieme ci siamo un po’ annusati come fanno gli animali randagi, si fa per capire chi si ha davanti. Poi è stata una collaborazione e un’amicizia totale, fatta di professionalità e di stima. Ognuno di noi pensava di avere davanti uno più malato di calcio. Passavamo notti intere al telefono a parlare di calcio e di calciatori. Se Marzullo avesse pensato a noi gli avremmo riempito nottate di trasmissioni e saremmo stati pronti anche sul 'fatti una domanda e datti una risposta' (ride, ndr)".
Record di punti alla Roma e poi siete andati all’Inter. Due geni possono convivere…
"Lui ha un’ironia sottile, dice le cose con una sintesi e in modo tagliente che sa fare solamente lui. Se il calcio fosse un film, lui sarebbe il regista perché sa sempre trovare calciatori che hanno la capacità di emozionare il pubblico. Ricordo nel mercato di riparazione del 2015/16, senza avere soldi a disposizione, lui riuscì a portarmi Perotti ed El Shaarawy, due calciatori fondamentali per sterzare in quella stagione e per far bene nelle successive. Aveva il totale rispetto e perfetta conoscenza del mercato".
Ha fatto fare il falso nove a Totti, a Perotti, ha alzato Perrotta. Dove vede quello che gli altri non vedono?
"Per quanto mi riguarda si cerca sempre di rendere i calciatori dei protagonisti. Si va a difendere quello che riguarda il club, ma i protagonisti assoluti devono essere i calciatori. Si va a dialogare con loro, si va a sentire quello che dicono, perché i calciatori raccontano cose corrette da poter usare. Ormai sono tutti con la testa dentro le proprie realtà e vogliono far bene e creare un marchio nella propria storia calcistica. Io lì ho tentato di vedere quelle che fossero le loro capacità. Perrotta partiva mediano, vedevo sempre nel Chievo questo 'cavallino' che sapeva inserirsi nei momenti giusti della partita. Assomiglia molto a Vecino, che però ha bisogno di uno spazio definito e quando prende in considerazione di fare quello è difficile che possa cambiare idea perché ha un passo lungo. Perrotta, invece, riusciva ad abbinarci altre situazioni alla scelta fatta all'inizio. Tutti e due sanno finalizzare bene le azioni. Nainggolan uguale. Per fare questo ci vuole spesso lo spazio dentro l’area di rigore da usare, con lo zero lì davanti. Nel 4-2-3-0, lo zero era Totti, che non si faceva mai trovare dai difensori avversari. Andava a mettersi dove diventava difficile poterlo marcare e quegli spazi lì venivano liberati per andare a trovare la posizione di Francesco, loro sono maestri nell'inserimento. Si va ad ascoltare i loro comportamenti negli allenamenti. Non si guarda e basta, si ascolta per come parlano".
Lei ha cambiato la Roma. Lione, Madrid e così via. Com'è nata la sua prima Roma?
"Era una squadra baciata dal sole di Roma. Fatta di calciatori che si passavano la palla senza mai mettere in difficoltà il compagno. Il modo in cui devo dartela è come la vorrei ricevere. Per fare così ci vuole tanta qualità e loro ce l'avevano. Sono i molti passaggi facili che vanno a buon fine fanno la differenza per fare grandi squadre che giocano bene a calcio come quella Roma lì".
Videomessaggio di Pizarro: Io ho tanti amici a Firenze, quindi ti faccio una domanda seria e mi devi rispondere seriamente. Un giorno ti piacerebbe allenare la Fiorentina con il progetto importante che ha in testa Commisso? Un bezo, te quiero mucho.
"È stato un giocatore che nella mia carriera mi ha dato una mano fondamentale perché Pizarro è sempre online, è il giocatore che tiene continuamente la squadra connessa. Quando l'ho conosciuto la prima volta, me lo ha portato Gino Pozzo all'interno degli spogliatoi a Udine e quando l'ho visto sul lettino dei massaggi che avanzava un metro di spazio gli ho detto 'ma che giocatore mi ha portato?' Poi quando l'ho visto nella prima partitina che ha fatto è stata una roba incredibile. Avrà toccato 2000 palloni, sembrava che avesse giocato sempre in quella squadra. Il rispetto che sapeva prendersi in 10 minuti dalla squadra e dalla partita, per il modo di giocare, era un qualcosa di eccezionale. Anche alla Roma ha fatto partite di un livello forse anche troppo generoso per certi versi. È un calciatore un po' simile a Brozovic, che vuole toccare tutti i palloni che passano dai suoi compagni. A volte non è possibile, sopratutto a calciatori di questo livello che si ritagliano quello spazio del metodista davanti la difesa. A volte quando la palla va sul terzino sinistro, vanno a fraseggiare là. Poi quando la palla va sul terzino destro la distanza è lunga e non arrivano. Loro fanno invece questi 45-50 metri per poterla ritoccare anche dall'altra parte e disperdono di freschezza da poter usare in altri momenti della partita. E’ un elemento eccezionale nello spogliatoio, è un amico unico per tutti i compagni. Canta benissimo. Quando sono arrivato in Serie A andavamo a partecipare al peso di squadra. Pizarro era soggetto a prendere qualche chilo e c'erano le multe: un chilo era 10 euro, 2 chili 20 euro, 3 chili era uno sproposito. Era diventato un gioco all'interno dello spogliatoio a cui io partecipavo. Pizarro, prima di montare sulla bilancia, cercava sempre il consenso dei compagni. Prima di salire diceva di non essere pronto e si toglieva la catenina, poi si ripresentava e diceva di non essere pronto e si tagliava le unghie, le basette o la barba. Insomma per farlo montare sulla bilancia ci voleva un'ora. Poi quando saliva ed era nel peso giusto c’era il boato della squadra e lui si metteva a cantare. Poi lui andava nel suo armadietto e prendeva un vassoio di mignon di crema e cioccolato, le offriva a tutti e poi ne mangiava 4 davanti a me perché tanto era nel peso. La Fiorentina? Non è una questione di poter spendere 200 milioni sul mercato. Io torno ad allenare perché mi piace fare questo lavoro, non vedo l’ora di farlo prima possibile. Gli allenatori ora, soprattutto dopo quello che è successo, devono essere pronti ad allenare anche 6 mesi, non per forza ci deve essere un progetto. Altrimenti si è allenatori antichi. Bisogna allenare e migliorare ciò che ti viene messo a disposizione. Penso che la Fiorentina sia in buonissime mani perché Iachini ha dimostrato di avere le carte in regola per ambire anche a fare campionati di alta classifica. Poi la Fiorentina si è espressa dicendo che Spalletti si porta dietro il problema non facile da risolvere. Meno male che si sono accorti solo di quello".
La Roma 2016/17 è stata la rosa più completa che abbia mai allenato?
"Era una formazione fortissima, che aveva la qualità di passarsi bene la palla, aveva giocatori estrosi, aveva dei campioni. Salah, Nainggolan, Strootman, Manolas, Rudiger... Non è facile trovare così tanti campioni. Con Dzeko davanti puoi giocare qualsiasi tipo di calcio. Di solito si dice che bisogna mettere in condizione il giocatore per sfruttare le proprie caratteristiche, con lui diventa difficile trovare il modulo in cui si esprime meglio, perché lui fa vedere che si può segnare 30 gol, facendone fare altri 30 ai compagni di reparto. Il suo è un calcio totale: sa fare gol, sa attaccare la porta, sa venire incontro e fare il regista, sa tenere palla, sa andare in profondità... E’ un calciatore completo che si trova in qualsiasi tipo di calcio. Di solito ho un buon rapporto con quasi tutti i calciatori che ho allenato, perché poi ho passato molti anni in varie società. Forse il suo limite è che ogni tanto si accontentava delle grandi giocate che faceva. Mi ricordo che aveva segnato due gol e poi nella riunione di inizio settimana io cercavo di stimolarlo. Le cose gli si vanno a dire soprattutto quando un calciatore ha fatto bene la partita precedente, quando ha fatto male si sta zitti e non si stuzzica. Io lo andai ad attaccare un po' e lui mi rispose in maniera seria, perché aveva un grande carattere. In dei momenti diventava un po' meno esecutore, si accontentava magari di aver fatto due gol nella partita precedente senza accorgersi degli altri due gol che avrebbe potuto segnare. 'Ieri, da come avevi giocato, mi sembravi un bottiglione da due litri di acqua minerale' gli dissi in quella riunione. De Rossi glielo ha spiegato, Edin mi ha risposto 'No, non sono un bottiglione'. Lui si è irrigidito e mi ha messo timore (ride, ndr)".
Videomessaggio di Aquilani: Mi hai fatto crescere. I 5 anni con te sono stati fondamentali per la mia carriera. Sono anni dove abbiamo vinto, abbiamo perso, dove ci siamo divertiti, abbiamo sofferto, ma sono stati anni bellissimi. Ma quella sera in cui mi hai bussato a casa all'una di notte, cosa volevi? Cosa pensavi che facessi?
"Io sono stato 5 anni a Empoli, 5 anni all'Udinese, 7 anni alla Roma, quasi 5 anni allo Zenit: ho trascorso molto tempo nelle stesse società, per cui si va ad avere una confidenza che va oltre lo starci un anno o qualche mese raccontando magari qualche barzelletta. Si instaura un rapporto, si mettono le mani in delle cose abbastanza profonde standoci molto tempo. Con lui avevo confidenza, perché era un ragazzino ed era uno dei belli della squadra. Gli dissi 'guarda che ogni tanto vengo a trovarti'. I calciatori poi raccontano dentro lo spogliatoio quello che succede. Se vuoi sapere chi cercavo era Sabatini, perché ci poteva essere anche lui (ride, ndr)".
Totti ha detto che con lei c’è stata una fase 1 ed una fase 2. Nella seconda il rapporto si è rotto. Cos'è successo?
"Penso di essere stato sempre lo stesso in entrambe le fasi. E’ chiaro che le due fasi hanno richiesto un atteggiamento differente. Io con Francesco penso di avere avuto in generale un buon rapporto, poi per me contano i risultati della squadra. Devo assolutamente passare di lì, perché c’è il sentimento degli sportivi davanti e devo andare a cercare ciò che mi fa avere una classifica importante. La Roma in quegli anni lì meritava di essere sempre in Champions League. Sono successe delle cose che hanno determinato che i miei comportamenti fossero differenti, ma sempre mettendo davanti il bene e i risultati della squadra. Auguro a Francesco di fare una grande carriera da manager, perché mi sembra di aver letto che ora si è messo a fare il procuratore. Lo rincontrerò sicuramente perché è il nostro lavoro".
La frase "Uomini forti destini forti, uomini deboli destini deboli. Non c'è altra strada" da dove è nata?
"Ha avuto davvero un riscontro particolare, tanto che ora si cercherà di mettere questa frase più in evidenza perché merita una cornice. La cosa che mi ha fatto piacere è vedere un medico in un ospedale, con la tuta ermetica, che si è scritto dietro questa frase. Mi ha riempito di orgoglio e di piacere. È una frase che spesso si va a cercare, che rende subito l'idea a chi ascolta. Secondo me si spiega da sola. È venuta come tante altre frasi che noi allenatori mettiamo davanti ai calciatori per cercare una risposta stimolante da parte loro".
Un campione che avrebbe voluto allenare?
"Tanti ne ho allenati, molti altri - che stimo - li ho avuti da avversari. Vieri mi sarebbe piaciuto allenarlo, Rooney, Drogba, Kakà, Cannavaro, che è una persona eccezionale, ho avuto la possibilità di conoscerlo. Sono stato fortunatissimo ad allenare tanti campioni, che all'inizio, quando ho deciso di fare questa professione, non avrei mai creduto. Mi basta questo".
Ci lascia con un altro aneddoto della sua carriera?
"Qualcuno l'ho detto in tutte le salse quando sono stato a Coverciano a parlare con gli altri allenatori. Spesso negli spogliatoi facciamo regole, ma poi i calciatori trovano sempre le scappatoie. Prima non si potevano usare i telefoni nello spogliatoio. All'inizio dell'anno vengono fatti dei regolamenti e viene messa una multa a chi dimentica che ci sono queste regole e la cifra va mandata in beneficenza. C’era la multa per il telefono che suonava e la multa per chi poi rispondeva. Una volta suona un telefono, io ero lì vicino allo spogliatoio, e un paio di calciatori mi dicono 'Mister è sempre lo stesso. È lui, ora paga perché lui fa il furbo'. Io mi precipito dentro per guardare chi fosse e ho trovato lui con il telefono in mano. Gli ho detto 'Ora paghi'. Lui ha tirato fuori il portafoglio, prende la cifra che era pattuita e mi da i soldi, poi ha risposto: 'Pronto amore, stasera ceniamo insieme?'. Non pensavo che qualcuno si sarebbe permesso di rispondere davanti a me, invece lo ha fatto e sono rimasto allibito. Meglio non dire chi è, ma è stato geniale".