Altre 27/04/2020 19:21
Eroi, capitani, bandiere: 8 aprile 1955, nasce Agostino Di Bartolomei
GLIEROIDELCALCIO.COM (Eleonora D’Alessandri) – Sono nata nel 1980. Anzi, mi correggo, sono nata nei gloriosi anni ’80.
Questo perché sono nata romana e romanista negli anni del calcio romantico, dei simboli, dei capitani e delle bandiere, una tra tutti, Agostino Di Bartolomei. Ago nasce a Roma, l’8 aprile 1955. Diba però era molto di più di un semplice giocatore. Quando nonno mi raccontava di Ago, parlava di un giocatore “vecchie maniere” di uno che giocava mettendo “astuzia e core” nel suo ruolo, quello da predestinato. Nonno mi diceva: “qualsiasi cosa farai nella vita, devi fa’ come Agostino, ce devi mette sacrificio, impegno e umiltà”.
La sua carriera inizia nell’oratorio del San Filippo Neri alla Garbatella, per poi approdare giovanissimo nel vivaio della Roma, ma solo dopo aver rifiutato, a soli 13 anni, le lusinghe del Milan.
Con la Primavera è capitano e Campione d’Italia nei campionati 1972/73 e 1973/74, giocando con Bruno Conti, Rocca, Pellegrini, Peccenini e Sandreani.
Romano e romanista, esordisce in serie A due settimane dopo aver compiuto 18 anni, il 22 aprile 1973, sotto la guida di Helenio Herrera, sostituendo Cordova in Inter – Roma (0-0).
All’inizio del campionato 73/74, il 7 ottobre, Scopigno lo schierò subito titolare e il segnò il suo primo gol nella massima serie, il gol vittoria della Roma sul Bologna. Furono 23 le presenze di Ago fino al campionato 74/75 quando poi, nel campionato successivo, fu mandato in prestito in B al Lanerossi Vicenza, dove ritrovò Scopigno ad allenarlo. Non si trattò di un anno particolarmente eccezionale, i biancorossi vicentini si salvarono per il rotto della cuffia, però lui poté giocare con continuità 33 partite e segnare 4 reti portando, al suo rientro a Roma, una maturazione definitiva e la capacità di ricoprire un ruolo fondamentale per la sua squadra del cuore. Rientrato nella capitale, trovo il tecnico che più di tutti credette in lui e nelle sue capacità, Nils Liedholm, che gli permise di giocare 29 partite e segnare 8 reti.
L’arrivo di Gustavo Giagnoni non cambiò il suo destino e, nel biennio alle dipendenze dell’allenatore sardo, “Ago” scese regolarmente in campo 54 volte segnando 15 gol, diventando capocannoniere della Roma nella stagione 77/78 con 10 reti. 17 Dicembre del ’78 segna il gol vittoria contro la Juventus Campione d’Italia.
Nell’aprile del 79 entra definitivamente nel cuore di tutti i tifosi giallorossi quando, durante la partita contro la Fiorentina all’Olimpico, in uno scontro aereo, prende un brutto colpo in testa e continua a giocare la partita con punti e fasciatura, stringe i denti, combatte e segna un gol.
È con queste premesse che si arriva ai magnifici anni ’80, quando a San Siro contro il Milan, sfoggia per la prima volta la fascia da capitano: “Oooh Agostino! Ago-Ago-Ago-Agostino gol!” È il canto che la sua curva gli riserva ad ogni punizione.
È in questi anni che “Diba” scrive la storia della squadra capitolina. Il Barone decide di cambiargli posizione, spostandolo come libero e facendo le fortune della Roma. Così, il 1° maggio del 1983, contro l’Avellino, dopo il gol di Falcao nel primo tempo, al 66” con un gran tiro da fuori segna il gol del 2-0 e la definitiva corsa verso lo scudetto.
Corre con le braccia alzate verso la sua curva, si inginocchia e arriva l’abbraccio di Ancelotti. Abbraccio di tutti i tifosi giallorossi, per quell’impresa che attendevano da 41 anni a Roma.
Indimenticabili le immagini di un fiero e orgoglioso capitano che sfila sotto i suoi tifosi con il tricolore, il loro tricolore.
L’anno successivo guida una Roma trionfante in Europa. Nella semifinale contro il Dundee, si prende la responsabilità di battere il rigore decisivo che porterà la Roma alla storica finale contro il Liverpool, il 30 maggio 1984.
Questa è la data che contraddistingue ogni tifoso giallorosso e ovviamente, anche Agostino. Una sconfitta che lo segnerà per sempre e che lo porterà a decidere di dire addio alla sua Roma.
Il 26 giugno del 1984, gioca la sua ultima partita in giallorosso e vince la Coppa Italia da Capitano contro il Verona e i tifosi gli dedicano uno striscione rimasto nella storia, che recitava: “Ti hanno tolto la Roma, non la tua curva, Grazie Agostino”. Nell’estate 1984 il centrocampista si trasferì al Milan insieme a Liedholm e, alla prima da avversario, colpisce con la classica “Legge dell’ex”, esultando verso i suoi nuovi tifosi. Nel Milan giocò tre campionati, con 88 presenze e 9 reti, fino all’arrivo di Arrigo Sacchi.
Dirottato a Cesena, un anno, 25 presenze e 4 reti, Di Bartolomei conclude la sua carriera di calciatore a Salerno in serie C, con la gioia di aver contribuito nella stagione 1989-90 alla promozione della Salernitana in serie B.
I quattro anni successivi furono molto duri, la Roma, la sua vera squadra, attraversò una fase delicata con la fine della presidenza di Dino Viola e, le dirigenze che seguirono sembrarono essersi dimenticati del glorioso capitano “Ago”. A Roma lascia il cuore. Appesi gli scarpini al chiodo, ha due progetti: una “scuola calcio” nel senso pieno del termine, e tornare a Roma. Entrambi sono difficili da concretizzare. Castellabbate è una realtà complicata e i progetti stentano a decollare, così il silenzio assordante lo ferisce e tormenta.
Il mondo del calcio voltò le spalle a una persona che aveva vissuto con il calcio, che lo aveva amato con tutto sé stesso. Il calcio che lo amava, ma non lo comprendeva, lo stimava, ma non lo accettava.
La mattina del 30 maggio 1994, proprio quel giorno, sul terrazzo della sua casa di San Marco (frazione di Castellabate in provincia di Salerno), Agostino Di Bartolomei si toglie la vita con una pistola Smith & Wesson calibro 38. Erano passati dieci anni esatti dalla finale di Coppa dei Campioni persa con il Liverpool.
Il giorno più difficile da capire, o forse è meglio non cercare spiegazioni impossibili da trovare. Forse ha più senso ripensare ai lati buoni del ricordo di Agostino Di Bartolomei e di quello che è stato in grado di dare a chi lo ha vissuto e chi lo vive ogni giorno giocando un calcio pulito, impegnato, appassionato, “de core”. Un ricordo che non invecchia, come Agostino, eroe tragico di una storia tormentata e bellissima.
Ripensandoci, ha ragione suo figlio Luca quando dice che “per cucire il filo della memoria, a volte, basta un Ago”.