Altre 06/02/2019 15:41

Quella cattedrale del populismo che la sindaca vuole lasciare ai posteri

Grillo raggi

LA REPUBBLICA (F. MERLO) - Finalmente un sì grillino a un'opera pubblica, anche se è un sì tutto populista il "#FamoStoStadio" pronunziato ieri dai no-tav, no-vax, no-olimpiadi, no-torri, no-fiera, no-metro, no-tutto. La sindaca Raggi, signora del No categorico ed esistenziale, non ha infatti detto Si al nuovo stadio soltanto per lucrare voti e consenso, ma anche perché lo stadio è il tempio, il Sancta Sanctorum del populismo. È una grande opera circense contro le grandi opere della modernità. Ed è trasversale, sia di destra e sia di sinistra. E dunque sì al tifo e no al treno, si all'istinto e no alla ragione, sì al cemento dell'ultrà e no al cemento borghese: «Chi se ne frega di andare a Lione» ha detto l'altro ieri lo stralunato Toninelli. E «Roma non può rinunciare allo stadio», gli ha fatto eco l'altrettanto stralunata Raggi. La sindaca, che contro lo stadio fece la sua campagna elettorale, vuole ora costruire il suo proprio Colosseo, che è l'archetipo di tutti gli stadi del mondo, con le stesse ragioni perle quali Matteo Salvini non vuole chiudere gli stadi ai razzisti. Lo stadio è infatti anche il santuario del sovranismo, l'ultima nicchia del nativismo che esalta le radici localistiche, un luogo a statuto speciale che in curva garantisce impunità e anonimato esattamente come la Rete idolatrata dall'ultrà mite Davide Casaleggio: una città Stato con la sua legge fuorilegge (la cosiddetta "giustizia sportiva"). Inutile dire che Roma ha bisogno di uno stadio. L'ultimo è stato costruito nel 1960. E in un paese moderno fare o rifare stadi dovrebbe essere un'attività ordinaria, il cuore di ogni buona politica sportiva. È anche ovvio ed è legittimo discutere e dividersi perché lo stadio si può fare all'inglese, come quello della Juventus, con i suoi negozi, ristoranti e bar, o magari all'olandese come quello, sull'acqua, che l'architetto Rem Koolhaas sta finendo di ristrutturare a Rotterdam, nel centro della città, in un quartiere già pieno di vita. Ieri la sindaca di Roma ha promesso di aprire i cantieri entro l'anno e, benché il progetto originario sia stato stravolto e benché stia per arrivare al suo compimento la prima inchiesta giudiziaria per corruzione, la città de core e de trippa ha reagito alla romana, con la gioia e la diffidenza delle sue mille radio sportive — «so nove anni che non se parla d'altro e non se vince niente» — che fanno montare come una maionese l'intera capitale. Ore e ore di filo diretto su calcio e politica, calcio e urbanistica, calcio ed economia, infrastrutture, sovrintendenze, con il linguaggio appunto del tifo populista romanista, spesso sguaiato e viscerale com'è anche della politica populista dei cinque stelle.  Se dunque il calcio batte la politica perché la politica non dovrebbe farsi calcio? Roma è governata malissimo, il degrado è lo spirito del tempo, e la sindaca Raggi davvero potrebbe politicamente sopravvivere alle buche e alla spazzatura, agli spari per strada, a mafia capitale, ai gabbiani, ai topi, ai consigliori malandrini di cui non si accorge e che periodicamente la inguaiano; e forse la sindaca potrebbe averla vinta persino su se stessa e su quell'inadeguatezza da onesta tontolona che pure travolse il suo predecessore Ignazio Marino. Mai però potrebbe farcela contro l'hashtag del capitano Totti —"#FamoStoStadio" appunto — che è il sacerdote del tempio, il figlio prediletto di Mamma Roma, il bene rifugio di una città perduta, il tribuno di un populismo, quello romanista, ben più rovente del populismo grillino, perché ha il calore dell'urlo, la forza del dialetto, del gergo, del rito pasoliniano. Dunque "a prescindere", come diceva Totò, a prescindere dai metri cubi, dalla bretella autostradale, dal ponte sul Tevere, dalle stazioni del metro, dai progetti di Libeskind, dalla filosofia della decrescita... è una vittoria di un populismo contro l'altro questo sì finalmente convinto, pronunziato dalla signora del vaffa. Contro il calcio non c'è vaffa possibile. E a Roma l'hashtag di Totti è la tavola della legge.

Clicky