Altre 14/03/2015 11:29
Samp, De Silvestri: "Vogliamo dei punti con i giallorossi, ma per me non sarà un derby"
GASPORT (F. GRIMALDI) - Lei è un Piller Cottrer mancato. A dieci anni, signor De Silvestri — 24 gennaio 1999, Tesero —, ha vinto il Trofeo Topolino nello sci di fondo, categoria Cuccioli. Peccato per suo padre Roberto, grande appassionato della disciplina, che se ne sarà fatto una ragione. Con mamma Angela ha comunque cresciuto un ottimo terzino.
«Gareggiavo per il Gruppo Sportivo Subiaco. Papà è abruzzese, ha partecipato alla Vasaloppet ed a varie edizioni della Marcialonga, oltre a tante maratone. Per lui lo sport è sinonimo di fatica e sofferenza. Appena ho avuto un po’ di equilibrio, papà mi ha messo sugli sci da fondo. I miei genitori mi hanno allevato così: ho praticato anche ginnastica artistica, nuoto ed atletica. Per lui il calcio non era una disciplina che richiedesse sacrificio, roba da femminucce. L’ho fatto ricredere».
Ha vinto il pallone, insomma.
«Era quello che mi piaceva di più, e poi volevo uno sport di squadra. Un giorno ho chiesto a papà: “Ti prego, iscrivimi a una società”. Ho iniziato con la Romulea, poi è arrivata la Lazio».
Un talento vero: a 15 anni ha giocato una partita in difesa con Negro e Mihajlovic, 19 anni più grandi.
«Non ho mai ricordato questo episodio al mister… Era il 19 maggio 2004, a Frosinone, la Lazio vinse 1-0 nella sfida che rappresentava la festa per il successo in Coppa Italia. Mancini mi mandò in campo con Sinisa, quasi a fine carriera. Ricordo che lui si fasciava tutto... Un sogno: ho appena raggiunto le duecento presenze in Serie A, a volte ci ripenso».
Dieci anni fa il primo contratto da pro, ma non si è mai montato la testa.
«La famiglia è stata fondamentale. Mi ha trasmesso valori sani, che mi porto dietro ancora oggi. La mia vita, le amicizie sono a Roma, quartiere Monteverde, villa Pamphili. Lì tornerò a fine carriera».
Un laziale doc, ma non è diventato profeta in patria. Dispiaciuto?
«A un certo punto ho fatto una scelta di vita, oltre che professionale e sono orgoglioso. Andare via da casa era l’unico modo per crescere diventare uomo».
Lunedì, contro la Roma, sarà un derby?
«Il derby è tale se hai una maglia indosso. La Lazio è come una seconda mamma per me, ma ora la stracittadina è quella con il Genoa».
Mihajlovic continua a viaggiare a fari spenti. Lei aveva intuito, però, che questa potesse per la Samp una stagione da protagonista ?
«Da quando è arrivato qui ha portato una ventata di novità, sia negli allenamenti che nel gruppo. Si era capito che qui sarebbe potuto nascere qualcosa di importante. Abbiamo superato momenti difficili, rimanendo tutti uniti, poi il mercato di gennaio ci ha aiutato molto. La nostra autostima è cresciuta gara dopo gara. Ecco spiegato perché oggi siamo ancora in corsa per obiettivi importanti».
La sua squadra non conosce la paura.
«È dovuto alla consapevolezza nei nostri mezzi. Qui tutti si sentono partecipi di un progetto importante, non importa quanto giocano. Gli allenamenti sono intensi, e poi la vita di gruppo continua anche fuori da Bogliasco».
L’Europa è a un passo. Lei parla cinque lingue, potrebbe essere utile alla Samp.
«Ho frequentato la scuola tedesca sino al secondo anno delle superiori, parlo bene anche inglese. Anche qui, dico grazie ai miei. Un giorno crescerò i miei figli con lo stesso modello sportivo e culturale che ho ricevuto».
Avete ancora potenzialità inespresse.
«Ci manca qualche successo con le grandi. Ci attendono quattro sfide definite proibitive da molti, ma non andremo a Roma in gita. Vogliamo dei punti con i giallorossi, proveremo a prenderceli anche con l’Inter. Dicono che questa sarà l’occasione per dimostrare il nostro valore e capire chi siamo veramente. No, mi spiace. Di quale pasta sia fatta la Samp lo sappiamo già».
Contro il Parma giocò la prima da titolare, e segnò pure il primo gol in A, ai tempi della Fiorentina. Cosa pensa di quanto sta avvenendo là?.
«Sono sconvolto, perché dai ragazzi che la vivono in prima persona ho avuto notizia di una situazione ben più drammatica rispetto a quanto raccontato dai media. Ma perché in Italia, per capire le cose, bisogna sempre prima sbatterci la faccia?».