Altre 16/03/2012 16:39

BURDISSO: "Il recupero procede nel migliore dei modi. L'anno prossimo dobbiamo puntare al vertice. Totti a Roma è come il Papa, Lamela è uno dei migliori talenti argentini" (INTERVISTA INTEGRALE)

Queste le parole che Burdisso ha rilasciato alla rivista ufficiale della società giallorossa nel corso dell'intervista pubblicata nel numero di marzo:



LA ROMA (T. RICCARDI) - Ore 10, minuto più, minuto meno di un giorno qualunque. Nicolas Burdisso è lì, come tutte le mattine, steso sul lettino della fisioterapia di Trigoria in compagnia di Silvano Cotti, «il mio terapista-psicologo, col quale parlo quattro-cinque ore al giorno». Già perché tra mobilità, fisioterapia e esercizi di riabilitazione in palestra il tempo necessario per tornare il “bandito” di una volta è quello. È sereno, Nico, con la sua musica preferita in sottofondo (“Il Reggae”), nonostante quell’infortunio serio al ginocchio sinistro che poteva far pensare di tutto. Ma non a lui perché «il recupero procede» e perché ha troppa voglia di far parte di questo gruppo: «Vedere le cose da fuori non è semplice, ma ormai è inutile rammaricarsi». È proprio vero, gioca come vive.



Non si può non partire dalle tue condizioni fisiche. Come stai?


«Bene, sempre meglio, sono contento. Si cominciano a vedere i risultati del lavoro che stiamo facendo».



Quando pensi di tornare in campo?


«Spero di essere con i miei compagni in ritiro la prossimo estate per fare la preparazione».



Dunque, nemmeno dieci/venti minuti nell’ultima partita del campionato?


«Non ha senso. Tornare per giocare una gara o due a me non cambierebbe nulla e si potrebbe rischiare di peggiorare».



È stato scritto che avresti dovuto sottoporti ad un altro intervento di pulizia del ginocchio. Poi la Società ha prontamente smentito con un comunicato.


«Ho letto, ma era una notizia sbagliata. Non serve nulla, il recupero sta procedendo nel migliore dei modi».



Hai avuto modo di rivedere le immagini del tuo infortunio?


«Più volte. All’inizio mi faceva un certo effetto, ora non più. D’altronde, sono cose che capitano quando si fa questo mestiere».



C’è un momento, del filmato dell’infortunio, mentri tu eri a terra, in cui Yepes ti passa sopra senza nemmeno sincerarsi delle tue condizioni. Non il massimo della sportività.


«In campo è così. Non ti accorgi di nulla, o quasi. Anche pensava che stessi facendo finta, ma non si era reso conto che piangevo per il dolore. Yepes stava giocando per la sua squadra, oltretutto la mia entrata era stata dura e non era semplicissimo comprendere bene la situazione. Quando hanno capito che stavo male davvero, nessuno ha detto più nulla».




Hai mai temuto che questo infortunio potesse pregiudicare la tua carriera?


«Il pensiero viene, è normale. In momenti del genere ti chiedi: “Fino a quando giocherò?”. “Come giocherò?”. “Giocherò?”. Dal momento in cui ne prendi atto e capisci di potercela fare, non c’è altro da fare che lavorare, lavorare e lavorare».



Il tempo che ogni giorno dedichi alla fisioterapia?


«Arrivo a Trigoria alle dieci e resto fino alle quattordici e trenta. Così tutti i giorni».



Oltre la tua famiglia, c’è qualcuno che ti è stato particolarmente vicino in questi mesi?


«Silvano Cotti… Il mio terapista-psicologo, passiamo quattro/cinque ore al giorno a parlare. Voglio citare anche tutti gli altri che lavorano qui a Trigoria e alcuni personaggi del mondo del calcio che si sono fatti sentire».



Qualche nome?


«Tutti i mister che ho avuto: Ranieri, Carlos Bianchi, Mourinho, Villas Boas. Ma anche altri come della
. Sono bei gesti, che non dimentico».




Quanto è importante per te la famiglia?


«Non solo per me, per tutti. Chi ha una compagna, una moglie, trova il suo punto di equilibrio».



Passando al campo, si fa sentire la tua assenza in difesa.


«Anche all’inizio della stagione, quando c’ero io, avevamo delle difficoltà. Dobbiamo migliorare dietro, ma anche in attacco. È un anno in cui imparare tanto. Stare lontano dal campo mi dà fastidio, ma ormai è inutile rammaricarsi».



Per il resto, una tua opinione sulla stagione della Roma?


«Ci sono stati molti passi in avanti e alcuni indietro. Questo ci servirà d’insegnamento e ci darà la forza per il futuro».



Anche perché in futuro, parole di e
, sarà tutta un’altra musica.


«Il prossimo anno deve essere migliore di questo, senza dubbio. Se quest’anno lottiamo per arrivare in Europa, il prossimo dobbiamo puntare al vertice. Se al termine del campionato avremo preso cinquanta gol, il prossimo dovremo prenderne quaranta. Se ne avremo segnati cinquanta, il prossimo dovremo farne sessanta. Capito? È questo il discorso».



Chiarissimo. La piazza di Roma è calda, passionale, ma in questa stagione è stata data grande fiducia a voi e alla nuova Proprietà. La ha esposto uno striscione eloquente: «Mai schiavi del risultato». Ve lo aspettavate?


«È stato un bel gesto, positivo. La nuova società ha portato un’idea forte e seria. I tifosi hanno sposato questo progetto con il giusto spirito. Da anni chiedevano un cambio e qualcosa di diverso si sta vedendo. Lo sappiamo, quello che stiamo facendo non basta, bisogna vincere. Ma ci si arriva col tempo».



Quanto?


«Non lo so, ma siamo sulla buona strada».



Tra le tante cose da fare, c’è anche un impianto di proprietà. Tu che vieni dalla Bombonera del Boca, quanto può contare il fattore campo?


«Moltissimo. Non solo per la à, ma anche per i tifosi. Avere il tuo stadio, andare a sostenere la tua squadra nel tuo stadio, è completamento diverso. Qui in Italia siete abituati ad avere uno stadio a metà: a Roma si divide con la Lazio, a Milano tra Inter e Milan. Non è una cosa buona per l’identità della squadra».




ha definito Luis Enrique il miglior allenatore che ha avuto in carriera.


«Lui è bravo, bravissimo. È arrivato in un calcio che conosceva poco e non ha cambiato la sua filosofia. Questo vuol dire tanto. È un tecnico trasparente, diretto, vive per il calcio, lo conosce a fondo, è l’uomo ideale per questa idea e noi siamo con lui».



Come vi ha conquistato?


«Con il lavoro. Allenamento dopo allenamento. Partita dopo partita. Cerca sempre di trasmetterci i suoi concetti con tutta la voglia. È impossibile non stargli dietro».



A proposito di , due parole sul rinnovo del contratto?


«Sono contento. È l’uomo più importante che abbiamo per il presente e il futuro. Avere o non averlo fa differenza».




Ti aspettavi che nella partita contro la giocasse così bene da difensore centrale?


«È un calciatore intelligente. I calciatori intelligenti possono stare ovunque».



Un tuo compagno di reparto, Kjaer, sta attraversando un momento un po’ sfortunato. Che consiglio gli daresti per tranquillizzarlo?


«Ho parlato tantissimo con Simon. Credo tantissimo in lui, ci scommetterei qualsiasi cosa. È un ragazzo serio, ben voluto da tutti, ha qualità fisiche incredibili, è veramente bravo. Con il nostro modo di giocare non puoi sbagliare molto, ma deve prendere fiducia perché ha tutto per uscirne. Se pensa all’esperienza di Mexes qui a Roma, può stare sereno: partì male, poi divenne il beniamino di tutti».



Peraltro, colore dei capelli a parte, i due si somigliano per caratteristiche fisiche.


«Vero. Aggiungerei, poi, che per il modo di giocare Simon è anche più serio».



Più serio?


«Philippe era più vistoso, appariscente, Kjaer più metodico. Prima o poi verrà fuori».



Chi, invece, non ha avuto difficoltà d’ambientamento sono i tuoi amici Lamela, Heinze, Gago e Osvaldo. Difficilmente ci si sbaglia con i calciatori argentini.


«Noi argentini abbiamo molto in comune con gli italiani, forse è questo il segreto. Quelli citati sono ragazzi forti sia dal punto di vista mentale, che tecnico».



Iniziamo dal più giovane: Lamela.


«Ha tante doti e già le ha fatte vedere, anche se ultimamente è un po’ in calo. Ma è normale, normalissimo, capita a tutti. Deve fare di più, lo sa. In campo è uno che mette personalità, cerca sempre di fare qualcosa di diverso. Il futuro è nelle sue mani, dipende solo da lui».



Da ex Boca Juniors, prendi mai in giro Erik per i suoi trascorsi nel River Plate?


«Sì, qualche volta capita. Ho saputo che lui da piccolo era tifoso del Boca, lo andava a vedere quando giocavo io. Ora ha cambiato…».



Heinze.


«È quello che nello spogliatoio, insieme ad altri grandi, si fa sentire di più».



Gago.


«Aveva bisogno di giocare con continuità e qui a Roma ha avuto questa possibilità. Sta dimostrando il suo valore».



Osvaldo.


«Si è preso una bella rivincita dopo le esperienze poco positive qui in Italia. In Spagna aveva fatto molto bene, qui si sta confermando. Vive per il gol, è importante per noi».



Ha segnato anche nel derby, Osvaldo. Presto ci sarà il ritorno con la Lazio, che ti aspetti?


«Di vincere. Spero di vedere una Roma in crescita. Come detto prima, non siamo schiavi del risultato. Si può vincere o perdere, l’importante è dare sempre tutto per questa maglia».



Cosa significa per te questa maglia?


«Un orgoglio. Sono venuto qui per scelta mia, sono rimasto per scelta mia. Il massimo sarebbe conquistare qualche titolo con la Roma, sarebbe una cosa completamente diversa».



Insomma, meglio uno scudetto a Roma che tre con l’Inter.


«Quattro, anche quello a tavolino è da contare… (ride, ndr)».



Comunque, una cosa diversa.


«Completamente. Non posso dire meglio o peggio perché ho vinto anche con il Boca e in nazionale, ma sicuramente diverso. Vincere con la Roma sarebbe una cosa importante per come si vive il calcio qui».



L’ultima volta che è capitato, nel 2001, in à si festeggiò per un mese.


«Bello. E pensare che due anni fa ci eravamo andati vicinissimi…».



I tifosi hanno molto apprezzato quella frase che fu riportata da Ranieri durante un’intervista: «Si gioca come si vive». La puoi spiegare meglio?


«La dissi a Mirko (Vucinic, ndr). Un giorno stava arrivando a Trigoria con la macchina a tremila all’ora. Allora gli parlai in allenamento e gli dissi: “Non puoi guidare così, sei matto. Devi guidare l’auto come giochi a calcio. Devi vivere come giochi”. E allora il mister mi ascoltò da dietro e sottolineò: “È vero, si vive come si gioca”. Quello è il mio pensiero, non è detto che sia la verità assoluta, però non si può vivere in una maniera e giocare in un’altra. Almeno così io intendo la professione: si vive come si gioca».







Queste le parole del difensore giallorosso rilasciate al mensile argentino 'El Grafico':

Quante lesioni gravi hai avuto prima di questa?

È la mia prima. Ho ricevuto subito molte chiamate e messaggi, sia da giocatori che hanno sofferto infortuni, sia da allenatori come Mourinho, Villas-Boas, Bianchi e , anche se non lo conosco. Ricordo bene il momento dell’infortunio e soprattutto il forte dolore che ho subito avvertito. Mi hanno dovuto dare un calmante negli spogliatoi per controllare. Sapevo che era un infortunio grave, il ginocchio si è letteralmente girato.

Non sei entratto troppo deciso in quell'azione contro la Colombia?

 Se andava diritto sull'avversario gli avrei fatto male e mi avrebbero espulso. Sono andato ad intercettare il passaggio ed ho alzato la gamba. Sono andato là con la gamba e l'ho abbassata, rimanendo con le gambe molto aperte. Il ginocchio si è piegato sia all'indietro che in avanti.

 Che ti sei rotto alla fine?

Mi sono rotto il posteriore, i due menischi, il legamento collaterale interno ed ho rimediato una frattura al piatto tibiale.

Qual è stato il momento peggiore?

Come mi hanno detto Heinze e Samuel, in momenti del genere all’inizio ti chiamano e ti salutano tutti, poi ti operi e le tre settimane seguenti non ti puoi muovere e non puoi fare niente, questo è il momento peggiore in assoluto.

A che punto sei ora?

Fino al 20 gennaio non potevo appoggiare il piede sinistro in terra, adesso invece riesco a piegare il ginocchio, ed il 20 spero di tornare a camminare e recuperare autonomia. Spero di poter fare tutta la preparazione con la squadra”.

ti ha scritto "Sei un guerriero, dimostralo anche questa volta"

a Roma è un mito, è come il Papa, la gente è devota a lui. In questi anni al suo fianco ho conosciuto la persona , un leader in grado di esprimere sempre parole di elogio per i suoi compagni.

Lamela?

“Mi ha sorpreso, prima di tutto come persona, perché è un ragazzo che ha voglia di imparare. Ascolta ed osserva, con pazienza, è uno tranquillo. Come giocatore invece lo vedo come uno dei migliori per l’Argentina dei prossimi anni. Gli scontri nello spogliatoio con Osvaldo? Queste cose in Italia sono normali ed escono sempre fuori, in Argentina non se ne parla”.

Il tuo ex allenatore Mancini?

“Con lui ho avuto diversi scontri, ci siamo presi varie volte, è uno duro anche a parole, lo ricordo dal primo giorno che è arrivato all’Inter. In Argentina questo non succede, in Italia invece queste cose passano. A volte diceva ai giocatori cose impensabili per me, mi ha dato la colpa per un pareggio rimediato una volta in campionato negli ultimi finali, dove io sono stato espulso, e mi ha detto che con lui non avrei più giocato. Una volta io e Cambiasso abbiamo chiesto di andare ad uno stage con la nazionale a Madrid. Cambiasso non sapeva più cosa fare, se restare, se andarsene, se parlare o se stare zitto. Alla fine abbiamo ottenuto il permesso. Certamente a Mancini riconosco il fatto di non portare rancore contro nessuno. La situazione di Tevez? A lui è stato tirato più di un salvagente dopo le cose che ha fatto, sino ad oggi ha detto: ’se chiede scusa, va tutto bene’. Altri tecnici magari non lo avrebbero permesso”.

Il migliore allenatore che hai avuto?

“Bianchi è il migliore allenatore, per molti motivi. Principalmente l’aspetto psicologico: ti motivava, si rapportava con te e ti diceva sempre cosa fare in ogni momento, ti faceva sentire parte di un gruppo. Sapeva entrare nella testa dei giocatori e quello che ho visto in Bianchi non l’ho visto più in nessun altro”.

Mourinho?

“Per me è il tecnico più preparato e più completo nel calcio moderno: sa motivare i giocatori, mantiene autorità ed ha un carisma unico. Il suo profilo mediatico è unicamente per proteggere la squadra. Sia l’Inter che il Real sono formazioni aggressive, tutti i giocatori della sua squadra sono sempre carichi al cento per cento. Ho un rapporto un po’ caldo con Mourinho, se me ne sono andato dall’Inter è stato comunque per una decisione mia”.

Il litigio con Navarro a Valencia?

“Nella gara d’andata mi ero preso con Joaquín (Navarro, ndr) e nel ritorno abbiamo discusso per tutta la partita, quando poi è finita mi hanno caricato. Ho discusso in maniera accesa con Marchena e mi ha tirato un colpo, poi lo ho colpito io e da lì è andata degenerando, con Navarro che mi ha rotto il naso. Gli hanno dato sette mesi di ed a me sei gare fuori dalla ”.

Tuo fratello Guillermo?

“Io e mio fratello ci siamo incontrati nuovamente qui a Roma, mi è piaciuto allenarmi con lui e giocare assieme a lui. Per lui certamente non è facile crescere nella mia ombra, avendo giocato e vinto col Boca. Guillermo era arrivato in prestito per un anno ed è stato un anno difficile per il club: non c’era presidente, la società era in vendita, tutto il contrario di oggi. Ora sta dimostrando il suo valore”.

Hai mai marcato ?

“In alcune amichevoli ed allenamenti mi è capitato di marcarlo. Nell’uno contro uno è immarcabile, per la sua rapidità con il pallone e per come gestisce la palla. Ha un’esplosività pazzesca, unica."

I  migliori cinque al mondo?

", Ronaldo, Iniesta, Xavi e Agüero”.

Quali sono i difensori più forti?

 “Mi sarebbe piaciuto poter giocare più con Samuel, per l’amicizia che ci lega e per il punto di riferimento che è sempre stato. Con Schiavi mi sono trovato bene. I migliori al mondo ora sono Thiago Silva del Milan e Kompany”.

Il massimo nella tua carriera?

"Quando abbiamo vinto col River al Monumental la Libertadores del 2004. Il momento più brutto? Quando siamo usciti contro la Germania in Sud Africa, è stato un colpo durissimo, pensavamo di poter arrivare fino in fondo. Inoltre, per me, come difensore, è stata una vera umiliazione. Ricordo però anche l’amarezza del ko in Copa América”.