Altre 23/01/2009 14:38
Di Biagio: "E pensare che volevo andare via"
«Ci ero tornato in visita, ma da avversario era la prima volta - spiega l'ex romanista - e le sensazione sono sempre piacevoli: ci ho passato quattro anni molto belli, dalla mattina alla sera, ed ho ritrovato tutti, dai custodi dei cancelli ai magazzinieri. Oltre al responsabile del settore giovanile Ivano Stefanelli che era alla Roma già allora, anche se con un incarico diverso. Ci siamo fatti un giro, due chiacchiere e un caffè».
E poi la partita.
«Abbiamo perso, ma sono molto contento della prestazione dei miei ragazzi: non hanno sofferto il confronto con una squadra come la Roma, ed hanno cercato nelle loro possibilità di fare la partita, come piace a me».
Con lo stesso 4-3-3 che conosceva benissimo da giocatore.
«Non mi piace parlare di numeri, a livello tattico non c'è una verità assoluta. Anche se poi secondo me rimane il modulo che consente di coprire meglio il campo».
Sembra di sentir parlare Zeman.
«L'ho sperimentato personalmente da giocatore, e posso dirlo. Anche se poi non bisogna starsi a fossilizzare su un dato modulo. I giocatori devono sapersi adattare a tutto, in particolare a quest'età: non mi piacciono quelli che mi vengono a dire: rendo meglio quando gioco in questa data posizione».
Che rapporto ha con i suoi ragazzi: se la ricordano come giocatore?
«Da romanista sicuramente no, tenendo conto che sono nati nel 1993, al massimo possono ricordarsi di quanto stavo a Brescia. Se ne rendono conto quando andiamo a giocare in giro per Roma, visto che c'è sempre tanta gente che mi ferma, o mi viene a salutare».
Il ricordo più bello del suo passato in giallorosso?
«La prima volta che scendi in campo all'Olimpico te la ricordi. Ma il più bello è forse quel rigore all'ultima giornata del campionato '95-96, Roma-Inter 1-0 e qualificazione in Coppa Uefa. E quelli erano gli anni in cui la Coppa Uefa era l'obiettivo massimo: era una Roma ancora in costruzione. E per me quel primo anno in giallorosso non era stato facile».
E non solo per le motivazioni tattiche, per il passaggio dal Foggia di Zeman alla Roma di Mazzone, con Giannini saldamente in cabina di regia.
«Alla fine con Giannini abbiamo giocato insieme parecchie volte. Giuseppe è sempre stato descritto per quello che non è, come fosse il capo di tutto: era un ragazzo tranquillo, che soffriva per il fatto che una parte dei tifosi non lo accettava. Anche io con i tifosi ho avuto qualche problema, ma solo all'inizio: dopo che ho sbagliato il rigore in Nazionale il loro affetto mi ha commosso, applausi su applausi, un incitamento continuo».
Il motivo delle incomprensioni iniziali è piuttosto noto. Mister, lei per che squadra tifa?
«Io? Per il Brescia. Così non scontentiamo nessuno».
Anni importanti quelli di Brescia in effetti. E da ragazzo?
«Da ragazzo... ero della Lazio lo sanno tutti. Cresci in un certo ambiente, tutte le giovanili, dalla scuola calcio alla prima squadra, fai il raccattapalle all'Olimpico... ma poi passano gli anni, e il calcio diventa un lavoro. E quando una squadra ti tratta così male, cambiano molte cose».
Estate 1989, Di Biagio per Nardecchia
«Non è esatto, ma poco ci manca. La Lazio voleva Nardecchia (7 presenze in A, le uniche, prima di scendere in C1: alla Viterbese, in C2, nei quattro anni in cui Di Biagio giocava con la Roma, ndr) e il Monza, che mi aveva seguito in Primavera, chiese che fossi inserito nella trattativa. Ero disperato, ma fu la mia fortuna: ho avuto la possibilità di giocare, la mia carriera è partita da lì».
E così la Lazio ha perso un giocatore che ha fatto 31 presenze in Nazionale
«Era un situazione particolare: sotto la gestione Calleri non credevano in noi giovani. Giocammo in parecchi quell'anno: io, Fiori, Di Loreto, Greco, Di Canio, Rizzolo... tutti mandati via, prima o dopo. Ma l'hanno pagata, perché chi più chi meno, la nostra carriera l'abbiamo fatta».
Fino ad arrivare a quel rigore, a Francia '98.
«In Nazionale la prima volta ci ero arrivato con il Foggia, una sola convocazione, prima dei Mondiali del '94. Ma in pianta stabile ci sono arrivato con la maglia della Roma, uno dei motivi per cui non la dimenticherò mai. E a quei tempi non era facile: ai Mondiali del '98 c'ero solo io. Quel rigore non potrò mai dimenticarlo, roba da non augurare neppure al peggior nemico. Ma io non sono uno che si tira indietro, e sono orgoglioso di essermi presentato sul dischetto. Tanto che due anni dopo, agli Europei, nella semifinale con l'Olanda, l'ho rifatto e ho segnato. Ma tanto non se lo ricorda nessuno».
A Roma ricordano l'incoraggiamento di Totti.
«Avevo una paura incredibile. Mi giro verso Francesco e gli dico: "A France', me sto a cagà sotto" . E lui mi fa: "Grazie ar c..., guarda quanto è grosso 'sto portiere" . Che poi ha fatto bene a scherzarci su, è servito per stemperare la tensione, ed è andata bene».
Poi quattro anni da titolare all'Inter, al Brescia con RobertoBaggio.. fino a La Storta, prima da giocatore e poi da allenatore.
«Col Brescia 16 gol in due anni, giocando difensore centrale. Una bella soddisfazione, ma poi 2005 retrocedemmo con 41 punti: una cosa che di questi tempi sarebbe impensabile. Il presidente non mi lasciò andar via, e di fatto la mia carriera finì lì, nonostante le ultime presenze con l'Ascoli. Ho smesso a 36 anni, avevo offerte per continuare, ma non volevo più cambiare città: la mia famiglia è sempre venuta con me, e non volevo far cambiare un'altra volta scuola alle mie figlie. Ed ho cominciato ad allenare a gennaio dell'anno scorso, nel settore giovanile del La Storta, per divertimento, e per l'amicizia che mi lega al presidente, Stefano Persichini. E quest'estate un altro amico, Giorgio Venturin, mi ha coinvolto nel progetto della Cisco, affidandomi gli Allievi Coppa Lazio. Non mi sentivo pronto per un incarico così importante, invece stiamo andando bene».
Alla Roma state dando parecchio filo da torcere: siete stati primi per buona parte del girone di andata.
«Non è quello che conta».
Risposta da allenatore. E magari non vuole neppure parlare dei singoli.
«Esatto».
Neppure dei singoli della Roma? Li ha visti giocare più di una volta, non solo nelle partite della sua squadra.
«Ero venuto anche per Roma-Cisco Allievi Nazionali, l'ho vista insieme a Stefanelli. E mi aveva impressionato Scardina, il centravanti: ho detto subito che era bravo, e mi hanno ascoltato, visto che mi hanno detto che adesso gioca in Primavera (ride, ndr). Tra i '93, quelli che ho affrontato, ce ne sono tanti che possono avere un grande futuro, a partire da Cristofari, che si vede che ha grande visione di gioco o Bongiovanni, uno che ha già movimenti da giocatore, un attaccante che riesce a saltare l'uomo già con il controllo di palla. O Piscitella, l'esterno sinistro. Sono la crema della regione, scelti da gente competente e fatti crescere nell'ambiente ideale: Ciciretti ha fatto vedere delle buone cose, così come i portieri, Fiorini e Ranieri, sempre molto attenti, o Sabelli, che spinge parecchio sulla destra. Ma se devo dire un nome di cui si parla poco, dico Falasca, un centrocampista centrale mancino davvero molto bravo».
I ragazzi della Primavera li ha mai vista giocare?
«D'Alessandro, altro ragazzo che ha un grande talento, me lo ricordo che giocava sotto età, insieme a Brosco, con gli Allievi Nazionali, quando li allenava il mio amico Fabio Petruzzi».
Tanti amici. Ne manca solo uno che la porti alla Roma anche da tecnico.
«Con Stefanelli sono amico, in effetti (ride di nuovo, ndr). Ma io non chiedo mai niente a nessuno».
Magari glielo chiederanno loro. Le hanno fatto qualche battuta in tal senso?
«Ci abbiamo scherzato, è vero, ma solo quello. E poi alla Cisco mi trovo bene. Alla Roma mi basta esserci arrivato da giocatore, e all'epoca avevo anche altre offerte. Roba seria, Fiorentina e Parma insistevano parecchio, ed erano nel loro momento migliore, ma quando mi ha chiamato il presidente Sensi non ci ho pensato un attimo. Qualche dubbio ce l'ho avuto dopo le contestazioni della prima stagione, mi ha convinto mia moglie. "Non puoi andar via da Roma prima di aver dimostrato quello che vali". Aveva ragione lei, e è stata la scelta giusta».