Altre 06/12/2008 02:44

Il mercato cambia padrone

Il Chelsea è scosso, Abramovich ha visto andare in fumo oltre 150 milioni sull’altare delle fibrillazioni borsistiche, ma i Blues, seppur meno blindati, continuano ad esser studiati come il classico caso dove un magnate tappa le voragini. Club inglesi con il fiato corto uguale assi in fuga? La Premier League ha nell’appeal il suo punto di forza, ma se anche la sterlina si mette di traverso (circa il 20% la sua svalutazione sull’euro) lo scenario è destinato a mutare radicalmente perché calibri del valore di Torres (spagnolo) o Ballack (tedesco) hanno nella moneta unica europea il loro potere d’acquisto. «Il problema che deciderà gli equilibri del prossimo mercato sarà proprio al capitolo ingaggi: da gennaio - spiega Franco Granello, procuratore che opera nel mondo britannico - chi avrà il maggior monte stipendio potrà diventare un peso per i club che hanno legami con banche o sponsorizzazioni coinvolte nella crisi. E poi, in Inghilterra ci sono forti capitali americani come quelli di Hicks e Gillet a Liverpool o di Glazer a Manchester, club il cui futuro è legato anche alle scelte economiche di Obama».

L’Inghilterra guarda alle trattative del prossimo calciomercato e si tappa gli occhi perché la strada per imboccare la via del risanamento non può che passare da una minore disponibilità verso le tasche dei giocatori. La sterlina perde forza nei confronti dell’euro, ma non solo. La moneta di Sua Maestà esce sconfitta anche dal duello con il dollaro andando a colpire gli stipendi delle stelle sudamericane (Tevez e Mascherano su tutti) e a vacillare sembra essere l’aliquota fiscale, pronta a passare dal 40 al 45%. Tradotto: c’è chi, come Owen in scadenza di contratto, potrebbe ritrovarsi catapultato in un’altra realtà a parametro zero mentre colpi solo tre mesi fa impensabili (Barry valutato 18 milioni di euro dall’Aston Villa tre mesi fa o lo stesso Ballack) potrebbero diventare reali ad ingaggi (sontuosi) ritoccati da potenziali acquirenti. «Sarà un gennaio vivace perché vivrà sui prestiti con diritto di riscatto che, poi, nessuno farà valere», così Claudio Pasqualin, uno dei decani fra gli operatori di mercato. «I club legati alle banche finiranno fuorigioco. Quelli più solidi come i tedeschi potranno colmare il gap dovuto allo scarso appeal del loro campionato con una solidità economica in grado di attrarre più giocatori stranieri del solito», precisa l’agente Carlo Pallavicino.

L’Inghilterra segna il passo (fatta eccezione per le fanta-offerte del arabo), la Germania prova a riprendere quota, in Italia saranno premiate le società più «liquide» (Inter, grazie alla munificenza di Moratti, Milan, Udinese, Palermo) o avviate all’autofinanziamento (), in Spagna forti sono le oscillazioni fra club che resistono agli smottamenti e società vicine al baratro. In Bundesliga domina il fattore Hoffenheim, squadra che sfugge alla logica di rigidità contabile imposta dal pallone tedesco (obbligatorio chiudere in attivo un bilancio ogni due) perché è nelle mani del magnate Dietmar Hopp, fondatore del colosso del software Sap e in testa al campionato.

La Spagna si nasconde dietro al regime fiscale favorevole (il prelievo è al 23% contro il 46 in Italia), ma i segni della crisi non mancano. Il Valencia è ad un passo dalla bancarotta e le sue stelle (da Villa a Silva) sono sul mercato. In cattive acque si muovono Siviglia e Deportivo La Coruña, mentre al Real Madrid si può già brindare ad Huntelaar perché le banche non hanno alcuna intenzione di abbandonare la Casa Blanca e il vive il regime di cartolarizzazione sui proventi dei prossimi anni. Il resto d’Europa si scopre precario in Francia (vedi il Psg) e in Russia dove stelle come Arshavin appaiono più corteggiabili dopo il crollo del prezzo delle materie prime, fonte di ricavo dei magnati dell’Est. Il cortocircuito fra crisi mondiale e calcio è servito. Chi ne uscirà perdente?