La penna degli Altri 07/02/2012 09:05
Bencivenga: «In quel ruolo lho inventato io»
Bencivenga, come nacque questa intuizione?
«Nella prima stagione, quando aveva 16-17 anni, Daniele giocava poco. La svolta arrivò in una gara che disputammo ad Arezzo: mi mancava una mezzala e lo feci giocare. Grazie a quella prestazione, gli diedi in seguito più spazio».
Che ricordo ha di De Rossi in quegli anni?
«Ottimo, un bravo ragazzo. Simpatico, generoso, ogni tanto mi faceva arrabbiare però avevo con lui un rapporto splendido, in virtù anche dellamicizia che mi lega al padre Alberto. È capitato di averlo rimproverato duramente ma lui sapeva che lo facevo per il suo bene».
Si ricorda qualche aneddoto in particolare?
«Una volta si presentò al campo con lorecchino. Nonostante da giovane fossi quasi un hippie, appena lo vidi, gli dissi: Daniè, levate quel coso. Unaltra volta, invece, gli diedi uno schiaffo perché commise un brutto fallo su Aquilani in allenamento. Era come un figlio».
Allepoca pensava a questa sua ascesa?
«No, sono onesto. Pensavo che si potessero affermare più Bovo, DAgostino o Lanzaro. Per Daniele sognavo un futuro roseo ma mi limitavo a sperarlo».
La posizione nella quale gioca con Luis è quella dove rende al massimo?
«Certamente. Sarà che sono un innamorato del Barcellona e grande amico di Guardiola... Non vorrei apparire presuntuoso ma quel ruolo che ricopre oggi lo faceva già con me a 17 anni. A quei tempi giocavo con una difesa a tre e quando affrontavamo una squadra che schierava il tridente, Daniele diventava il difensore aggiunto».
Lo sente ancora?
«Ci siamo visti alla presentazione del suo libro (Il mare di Roma, ndc) e mi ha fatto emozionare, accostandomi ad allenatori del calibro di Spalletti, Capello e Lippi»
Cè un giovane che potenzialmente le ricorda De Rossi?
«Viviani».
De Rossi può ancora migliorare o è al top?
«Come no, è la vita che lo insegna. È un campione ma a volte è ancora troppo precipitoso nelle giocate, si fa prendere dalla frenesia, come quando era ragazzino. Ma ha personalità, è spavaldo in campo. Gli dicevo sempre: a calcio chi è forte non deve aver paura di nessuno. Lui era un incosciente sin da piccolo, mi piaceva perché non aveva timore di niente. Affrontava le partite con il sorriso e per questo le cose gli riuscivano ancora meglio