Approfondimenti 22/02/2021 13:45
Post Match - La (seconda) prima volta di Dzeko e Mayoral
LAROMA24.IT (Mirko Bussi) – Perché Dzeko e Mayoral non giocano insieme? Perché mettere insieme due tra i tre migliori marcatori del gruppo non significa raddoppiare matematicamente le possibilità di segnare. Ancor più se quei 19 gol fin qui nelle tasche dei due, 10 dello spagnolo e 9 del bosniaco, sono arrivati tassativamente con in campo l’uno o l’altro. Insieme, d’altronde, avevano giocato appena 19 minuti, oltre recupero, nel finale del derby, senza smuovere lo zero dai gol segnati. Un dato che rimane immacolato aggiungendo i circa 40 minuti, tra parte del secondo tempo e recupero finale, vissuti l’uno al fianco dell’altro ieri contro il Benevento appena ridotto in 10 per l’espulsione di Glik.
La mossa, che se un giorno, si prega il più lontano possibile, fosse possibile suggerire le sostituzioni con un televoto in diretta, avrebbe, immaginiamo, compromesso la capacità di elaborazione dei calcoli del software, è arrivata al 58’ di una partita che aveva le ruote incagliate nel fango. Il test non ha sporcato i guanti di Montipò più di quanto era stato possibile fare nella prima ora. E, di certo, non perché Dzeko e Mayoral, al pari di ogni calciatore vivente, non possano convivere ma perché, la loro presenza simultanea, altera inevitabilmente i principi di gioco su cui Fonseca ha montato la squadra.
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Tra i più ricorrenti principi di gioco di Fonseca c'è la ricerca degli spazi tra le linee o degli "half spaces", le zone più decentrate comunque sempre tra i due reparti avversari.
Qui vanno a combinare spesso i calciatori offensivi dell'#ASRoma— Mirko Bussi (@MirkoBussi) February 22, 2021
Basta tenere a mente i sentieri più ricorrenti per la rifinitura e la finalizzazione romanista, dunque le ultime zone calpestate dai calciatori in possesso negli atti conclusivi di ogni azione. E spesso, sempre più spesso, le mattonelle in questione, corrispondo quelle che circondano l’area nel settore centrale tra le linee di difesa e centrocampo avversarie. O gli “half spaces”, in una tremenda trasposizione dall’inglese che corrispondo agli spazi di mezzo, tra i due reparti nemici, ma in settori più decentrati, che per orientarsi potremmo far corrispondere tra l’intersezione della mezzaluna con l’area di rigore e l’immaginaria retta che prosegue verso il centrocampo dal vertice dell’area.
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Si vede anche a Benevento, nonostante la forte densità centrale di Inzaghi.
Mancini taglia una linea trovando Pellegrini proprio in un "half space", il taglio di Mayoral favorisce l'inserimento di Mkhitaryan che poi non riuscirà a finalizzare pic.twitter.com/FTJgDOec9F— Mirko Bussi (@MirkoBussi) February 22, 2021
Una soluzione che torna, pur se discontinuamente per via, anche, della densità centrale predisposta da Inzaghi, nella sfida di ieri. Come nella presunta occasione poi assorbita dall’uscita di Montipò. La presenza di un solo attaccante, che nel caso di Mayoral facilita ulteriormente la disponibilità di spazi tra le linee per la sua tendenza alla profondità, spesso offre il palco della zona di rifinitura ai trequartisti o centrocampisti che gli danzano alle spalle.
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La maggior presenza in area complica le respinte avversarie producendo una seconda palla raccolta da Villar al limite che poi calcerà fuori dalla porta.
Porta comunque alla conclusione, il punto è che si stravolge la strada per arrivarci. pic.twitter.com/olIL0wIhu1— Mirko Bussi (@MirkoBussi) February 22, 2021
Quelle zone, che, inevitabilmente, risultano più trafficate se i vertici offensivi, le punte generalmente, raddoppiano. Come nello sviluppo qui sopra dove l’interscambio tra Dzeko e Mayoral, nel più classico incrocio tra gli attaccanti, obbliga comunque ad un adattamento difensivo del Benevento, che sceglie di cambiare le marcature. La maggior presenza in area, inoltre, complica i gesti tecnici nelle respinte dei difensori favorendo di conseguenza le seconde palle: proprio su questa, caduta al limite dell’area, arriva Villar che però mancherà, non di poco, l’obiettivo.
L’aspetto più interessante, semmai, è la differenza tra i due passaggi che aprono alla parte finale dello sviluppo: in quello precedente, Mancini, taglia la linea avversaria rasoterra, una prassi ben più delineata nella proposta romanista, in quello successivo, Pellegrini, si lascia invogliare dall’alzare il pallone per raggiungere direttamente l’area, uscendo fuori, dunque, dallo stile abituale, in fase di possesso, della Roma.
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Avere 2 punte spesso impigrisce le squadre nella costruzione, finendo per stressare le giocate verticali.
Per una squadra come la Roma significa rivoluzionare i propri principi.
Non vuol dire sia sbagliato ma spiega la reticenza di Fonseca nel farlo.— Mirko Bussi (@MirkoBussi) February 22, 2021
Non v’è un giusto o sbagliato nella scelta di giocare con due punte o nell’inserire insieme Dzeko o Mayoral, o almeno qui quel giudizio non è conosciuto, c’è semmai l’analisi dei costi e benefici che genera, in un collettivo, la presenza di due attaccanti. Ed è forse qui che risiede il motivo della reticenza di Fonseca finora ad affidarsi a questa soluzione. Per quello con cui, ad esempio, De Zerbi ha motivato per la scelta di non avere un attaccante con doti prevalentemente fisiche in rosa o che sosteneva Spalletti ai tempi in cui la squadra si orientava intorno a Totti.
La presenza di un centravanti fisico o del doppio attaccante, infatti, finisce spesso, ancor più se utilizzata come martelletto frangivetro per le emergenze, per impigrire la costruzione della squadra, sedotta dall’idea di ottenere una scorciatoia per l’area di rigore con ripetuti palloni verticali. Allontanandosi, quindi, da quella che è la strada più conosciuta e dunque, si immagina, maggiormente calzante per le abitudini e competenze dei calciatori.