Approfondimenti 05/06/2012 15:57

Così parlò Zeman: pensieri e parole negli ultimi 13 anni lontani da Roma. Il rimpianto Scudetto, 'Totti è ancora il migliore', 'il calcio non si fa in palestra' e 'Mo ce la faccio vedere Zemanlandia...'

L’AMORE E’ ‘CECO’ - Il volto granitico del tecnico di Praga, nonostante i passaggi a vuoto registrati nell’ultimo decennio, è rimasto nel cuore di un’importante porzione della tifoseria romanista. Forse perché il suo calcio, da sempre, è attento al gusto dello spettatore, come sostiene a più riprese lo stesso Zeman: “Penso che la gente debba tornare a casa contenta di aver visto qualcosa e di essersi divertita”. Mescolando il calcio “arrogante”, definizione coniata da per Luis Enrique ma estremamente calzante anche per il del boemo, a quell’immagine da Zorro del calcio che lo accompagna da anni, è possibile comprendere i motivi che hanno spinto numerosi tifosi romanisti a caldeggiare il ritorno di Zeman. Difficile credere che fosse esclusivamente il senso degli affari dei proprietari di tabaccherie della zona di Trigoria, ad inondare le radio o tramutare i sondaggi sul futuro allenatore in plebisciti per l’ormai ex allenatore del . Perché la sua contagiosità fu tangibile nel novembre del 2010, quando Zemanlandia fece tappa al ‘Flaminio’ ottenendo il tutto esaurito per una sfida di Lega Pro. E il sempre meno frequentato Olimpico (nel 2011-12 si è registrato il secondo peggior dato del decennio per presenze), potrebbe tornare ad attirare i tifosi, premiando così le iniziative della società romanista in materia che, senza un valido supporto tecnico, risultano fini a sé stesse. Dalla rivoluzione culturale, a quella popolare: scevra da concetti filosofici da applicare al calcio, anche perché “ho studiato filosofia, ma ho sempre capito poco i filosofi” disse in un’intervista il nuovo allenatore giallorosso.

SCELTA – Superando i dibattiti sulla posizione iniziale che occupava Zeman nei pensieri dei dirigenti romanisti per la successione di Luis Enrique, il profilo del boemo ricalca, parzialmente, le convinzioni espresse da nella conferenza di quasi un anno fa in cui spiegò la scelta dell’asturiano perché “vogliamo fare un calcio diverso”. E cosa c’è di più ‘diverso’ del geometrico di Zeman? E ancora, “Luis Enrique pensa un calcio che demolisca l’avversario, un calcio arrogante”. Per informazioni a riguardo, domandare alle sei formazioni di serie B che nell’ultima stagione hanno ricevuto almeno 4 gol dal . In controtendenza invece i discorsi sulla “discontinuità”, ritrattata ultimamente nella ricerca opposta, della “continuità” al pensiero calcistico di Luis Enrique. L’allenatore spagnolo, sempre dalle parole di , fu scelto perché “attingeva a piene mani dall’organico a disposizione”. Una caratteristica che portò a ruotare 33 elementi, mentre l’undici di Zeman è riconoscibile, oltre che per il calcio espresso, negli interpreti: solo 15, infatti, i calciatori del che hanno totalizzato più di 20 presenze (su 43 partite a disposizione). L’indiscrezione diffusa un anno fa, e confermata recentemente da Rocca, sulla proposta di guidare il settore giovanile pervenutagli un anno fa, dimostra che Zeman è stato fin dal principio nei pensieri della dirigenza. Ancor più in quella di Baldini che nel 2007 era vicino a diventare il del Parma con Valenza ed aveva scelto proprio Zeman come responsabile tecnico. A completare il quadro delle somiglianze con il predecessore, c’è l’estrazione: per il secondo anno di fila, infatti, la Roma si affida ad un tecnico proveniente da una seconda divisione.

‘FUMI’ DI PAROLE – In attesa della conferenza stampa che lo ri-presenterà ai tifosi giallorossi, ripercorriamo una ‘conferenza’ lunga 13 anni prima di cogliere “l’ultima occasione della carriera” come Zeman ha definito la chiamata della Roma. Vi tornerà a 65 anni, raccogliendo l’eredità più pesante di Trigoria, almeno in termini di anzianità: succederà a Giorgio Rossi come più ‘esperto’ del ‘Bernardini’. Il ritorno in una grande piazza, in cui il boemo non credeva più, come lasciava capire un anno fa: “Non ho più ambizioni, le soddisfazioni che potevo ottenere le ho già ottenute tutte”. Poi il sentimento di rivincita verso uno sport che gli ha consegnato applausi e riconoscimenti, come quelli di Guardiola che lo definì “una persona che fa bene al calcio”, ma nessun trofeo. La sua ultima (terza?) grande occasione, se la giocherà col . Un dogma per Zeman: “E’ un fatto di geometria, di triangoli: il è il modulo migliore per coprire il campo”. Ma è lo stesso che adopera da un ventennio. Qui, Zeman sfrutta l’ironia per disintegrare gli oppositori: “Si diceva che ero avanti agli altri di vent’anni, me ne rimangono ancora quattro…”, sottraendone un altro trascorso in Abruzzo, ne avanzano tre. In tempo per onorare quel biennale (novità assoluta) firmato con la Roma, con una vittoria che gli permetterebbe di finire anche sull’Albo d’oro della serie A, perché quelli della B e la C li ha già griffati con Licata, Foggia e nell’ultimo anno.

L’unico segno di continuità che troverà al rientro a Trigoria sarà rappresentato da , che neanche un mese descriveva il tecnico avuto a fine novecento come “il calcio”. Un diverso, inevitabilmente, da quello che confessò di aver soprannominato “stella” nel suo biennio romano. E Zeman ne ha già preso coscienza: “Fisicamente non è più come prima, ma con il pallone fra i piedi è sempre il migliore”. Tanto da spingerlo, qualche anno fa, ad immischiarsi in paragoni importanti: “E’ il calciatore più forte degli ultimi 10 anni”. Non si riferiva alla Roma, né tantomeno all’Italia, lo riteneva il migliore nel mondo. ‘E ?’, gli veniva fatto notare. “Ne deve fare altri 5-6 a questi livelli”, la risposta lapidaria. Li fece. Altro paragone, con un campione che ancora oggi milita in Italia. o Ibrahimovic? Zdenek non ha dubbi: “Sicuramente , gioca più per la squadra. Forza fisica con il calcio non sempre si addice bene”. Il lavoro fisico, tuttavia, è il mezzo per ottenere quel gioco così amato dal pubblico. “Ormai le squadre non si preparano più perché vanno a giocare subito partite importanti” è la motivazione di Zeman ai tanti infortuni delle squadre. Su questo ci sarà da discutere visto che il 25 luglio la Roma ha in programma un'amichevole con il Liverpool.

Lavoro fisico da fare all’aperto, perché “calcio nelle palestre non si fa”. E neanche nelle farmacie. Sui giovani, di cui la rosa della Roma si è infarcita dallo scorso anno: “Tutti i giovani hanno prospettive, poi bisogna vedere come riescono a sfruttare le occasioni, a migliorare”. Capitolo , Stekelenburg è avvisato: “Il mio gioco è basato solo sull'attacco, quindi il mio non dovrebbe mai stare tra i pali”. Stress e staff chilometrici non fanno per il boemo, che qualche anno fa pungeva così i colleghi: “Oggi gli allenatori hanno uno staff di 15 persone. Evidentemente non sono capaci di fare i preparatori…”. E cosa non tollera in un calciatore? Zeman lascia il piano tecnico per un istante: “Il non saper vivere nel gruppo. Quando uno vive da solo, quando se ne frega del gruppo allora mi dà fastidio”. Anche sotto questo punto di vista, il lavoro non mancherà.

Finale dedicato alla risposta che un po’ tutti rincorrono con i ragionamenti più disparati: Zeman è cambiato? “Per cinquant'anni mi sono sentito boemo. Ero più preciso, metodico, meno flessibile. Poi mi sono scoperto italiano e ho imparato qualcosa del vostro carattere”. Così da abbandonare anche il suo tipico aplomb quando ad aprile, dopo un pareggio e tre sconfitte, aprì la conferenza stampa dicendo: “Ho letto: ‘sparita Zemanlandia’. Mo ce la faccio vedere io…”. A favore di cronaca: Padova- 0-6.

 

Mirko Bussi