Approfondimenti 19/05/2012 17:42

Luis Enrique & Bojan, flop nella tradizione. Da Pique a Giovani e Rijkaard: fuori dalla Catalogna il Barça non si ripete

MES QUE UN CLUB – Una scritta imponente sulla tribuna del Camp Nou che da una parte anticipa il segreto del ma dall’altra può essere letto come un avvertimento ai passanti, alla stregua del ‘don’t try this at home’ che compare quando i protagonisti del wrestling se le danno di finta ragione in mondo-visione. Perché tutto ciò che rifulge sotto il sole della Catalogna non è detto che debba produrre medesimi effetti altrove. Ma i canti delle sirene blaugrana hanno irretito anche naviganti esperti come Franco Baldini, a tal punto da convincerlo ad affidare, fino quasi a sovrapporre, la Roma con Luis Enrique, strappato proprio dalla bottega del . Con il tecnico spagnolo alla prima esperienza in un campionato estero, includendo anche la sua carriera da calciatore, arrivava Bojan, massimo esponente della cantera del . In campo e in panchina, dunque, la Roma aveva scelto quanto di meglio fosse acquistabile. Eppure, un anno dopo, il sogno di riprodursi è stato sgretolato più che dal mediocre campionato romanista, dalla rinuncia di proseguire comunicata dal tecnico asturiano. Anche il resoconto di Bojan non è stato migliore: visto che, a conti fatti, è risultato l’attaccante meno scelto dal primo minuto proprio dall’allenatore con cui condivideva l'estrazione.

CASI SIMILI – Cronaca di un fallimento annunciato, si potrebbe titolare. Perché prima di Luis Enrique e Bojan, ma senza i presupposti (positivi) che accompagnavano quest’ultimi, erano stati altri a tentare di farsi strada fuori da . I risultati sono stati tutti, o quasi, tragici. Fu Rijkaard ad anticipare la scelta di Luis Enrique. Il tecnico olandese dopo aver vinto una , due campionati e due Supercoppe insieme ad Eto’o, Ronaldinho e compagni, si avventurò in Turchia con il Galatasaray nel 2009. Risultato finale? Arrivò terzo (stessi punti del Besiktas quarto per differenza reti) e fu eliminato dall’Atletico Madrid ai 32esimi di finale di Europa League. Resisterà poco più di Luis Enrique, prima di salutare la Turchia nell’ottobre del 2010, quindici mesi dopo il suo arrivo. Oggi ha scelto il ‘progetto’ da 23 milioni e 100mila euro, garantiti dal triennale che lo lega alla federazione dell’Arabia Saudita. Per avere un’idea delle difficoltà che avrebbe potuto incontrare, Luis Enrique poteva sbirciare anche ai tecnici che lo avevano preceduto al B. Prima di lui Guardiola che verrà chiamato dalla squadra principale, quindi Costas, 65 enne allenatore che non si è mai espresso fuori dalla à catalana e infine Angel Guillermo Hoyos. Il coach argentino, dopo aver lasciato la squadra B, decise di applicare i propri metodi in Grecia. Fu una discesa inarrestabile: dall’Aris Thessaloniki portato al 4° posto nel 2006-07 alla seconda serie con PAS Giannina (riportato in A) e Panserraikos. Dopo 4 anni di Grecia, passerà a Cipro alla guida dell’Anorthosis, prima di tornare in America con il Bolivar nel 2011. A , ipotizziamo, la vita era più facile.

Fuori dal , non vale. Una legge valida anche per i calciatori e che, ancora una volta, sottolinea come la realtà blaugrana sia splendente ma ingannevole, alterando spesso i reali valori di chi ne fa parte. Insieme a Bojan, la scorsa estate hanno lasciato tanti enfant prodige, o presunti tali, ‘fatti in casa’. Anche per Nolito, Jeffren e Romeu, però, non è stata una stagione da incorniciare. Il migliore è stato Nolito (15 reti in 48 presenze stagionali) che oltre ad essere il più esperto (2 e 5 anni in più rispetto a Jeffren e Romeu), è quello che ha vissuto meno ‘La Masia’, dove vi è giunto solo nel 2007 dall’Ecija. Gli altri due, per infortuni (Jeffren allo Sporting Lisbona) o concorrenza nutrita (Romeu al Chelsea), non considereranno la prima annata lontano da casa come un trionfo.

Lo stesso destino che ha colto la truppa di talenti (divenuti ex in larga parte) che hanno lasciato per la prima volta. Se esistesse uno sportello ‘sogni infranti’, la fila di blaugrana sarebbe costretta ad organizzarsi in turni per ottenere il maltolto. Esempi? Valiente, Falì, Crosas, Victor Sanchez, José Manuel Rueda, Jesus Olmo, Sylvestre, Paco Montanes, Rodri, Ramon Maso, Javi Martos, Cristian, Orlando, Pitu, Gerard, Javito, Pacheco. Tutti hanno realizzato almeno una presenza col dal 2004 in poi, prima di disperdersi tra le periferie del calcio europeo nella migliore delle ipotesi, oppure di ritirarsi come fece Jorquera, che dopo una vita al , si trasferì nel 2009 al Girona prima di togliersi i guanti. Se non altro, aveva compreso in fretta.

Il pensiero del toccò anche le corde di Claudio Lotito appena giunto alla guida della Lazio. Nella nidiata prodotta in extremis durante il suo primo mercato (2004) ci fu spazio anche per Oscar Lopez. Per lui però i tempi spagnoli rimasero un miraggio. Tra la miriade di naufragati fuori dal , oltre ai giovani che hanno ancora occasione di ribaltare la statistica, chi è riuscito a non sprofondare è Jordi Alba e, in parte, Fernando Navarro, entrambi terzini rispettivamente del Valencia e del Siviglia. Il primo, però, ha lasciato il club catalano addirittura a 16 anni, mentre il secondo dopo un paio di passaggi a vuoto si sta riprendendo con i biancorossi, dove arrivò nel 2008 con il titolo di campione d’Europa conquistato con la Spagna.

Tra i casi più singolari ci sono le storie di Gerard Pique e Giovani dos Santos: il difensore prima di diventare una colonna del trita-tutto, fu strappato dal Manchester United nel 2004. In totale quattro stagioni, inclusa una in prestito al Saragozza, durante le quali Pique fece rimediare ben pochi complimenti a chi lo aveva selezionato. Il 2007-08 fu l’ultima stagione con i reds vincitori della e nonostante due gol nella massima competizione europea (uno, neanche a dirlo, alla Roma), Pique chiese di essere ceduto l’estate seguente per scarsa considerazione. Giovani dos Santos, invece, fu acquistato dal Tottenham per 6 milioni di euro (più 5 legati ai bonus) nel 2008, a soli 19 anni, reduce da una stagione in cui era riuscito a contare fino a 38 presenze in un reparto composto da Henry, Eto’o, Ronaldinho, Gudjohnsen, senza contare gli emergenti Bojan e tale . Il club di Londra, insomma, si fregava le mani al pensiero dell’affare concluso. Più di ogni spiegazione tecnica, i numeri dal 2008 ad oggi del fantasista messicano risultano esplicativi: 4 cambi di maglia, durante i quali ha realizzato 12 reti in 74 partite. Al rientro a casa, almeno, saprà interpretare al meglio il messaggio ‘Mes que un club’.



Mirko Bussi