Approfondimenti 24/07/2011 16:55
Roma, ecco la revolucion cultural. Gli spagnoli nella capitale: tra big a fine carriera e bidoni. La Spagna ci riprova con Luis Enrique, Bojan e Josè Angel
Giusto un antipasto, perché allelenco dei conquistadores degli anni 2000 si sono presto aggiunti Bojan Krkić e Josè Angel Valdes. Ecco calato il settebello spagnolo, la carta giocata da Baldini e Sabatini per vincere la prima mano al tavolo della Serie A. Una scelta rischiosa almeno quanto affascinante, considerando linfausta tradizione che li accoglie nel campionato nostrano. E la storia giallorossa lo conferma.
5 SPAGNOLI, ZERO FORTUNA In 84 anni, di spagnoli non ne sono passati molti da queste parti. Poco meno di uno ogni 17 anni e forse, per i seguaci delle superstizioni, il numero è la chiave per comprendere comè andata. A scagionarli parzialmente è il momento storico del loro approdo: tre su cinque, infatti, sbarcarono nella capitale quando avevano già dispensato altrove il meglio della loro attività. Joaquin Peiro, Luis del Sol e Josep Guardiola si vestirono di giallorosso a trentanni e più, racimolando complessivamente 157 presenze (di cui 103 per il primo) e 25 gol (ancora una volta è Peiro con 21 reti ad alzare la media). Fu questultimo a fare da apripista nel 66 quando si trasferì dallInter alla Roma. Vi rimarrà per quattro stagioni, il tempo di conquistare una coppa Italia (lunico spagnolo ad alzare un trofeo con i giallorossi), per poi chiudere là dove aveva cominciato: a Madrid, sponda Atletico. Fuori uno, dentro laltro. E il turno di Luis del Sol, centrocampista classe 1935 che fu ingaggiato nellultimo anno di presidenza del dottor Marchini ('70-71). Un paio danni e poi anche per lui il ritorno a casa nel Betis Siviglia. Il più recente, invece, è proprio lallenatore del momento. Pep Guardiola da Santpedor figura negli annali giallorossi per le 4 presenze racimolate tra il settembre del 2002 e il gennaio successivo, quando tornò al Brescia.
CON ZEMAN RIECCO LA SPAGNA 25 anni. Tanto attese la Roma per fidarsi nuovamente di uno spagnolo. Dal 1972, quando salutò Del Sol, al 97, con larrivo di Helguera e Cesar Gomez. Forse, sarebbe stato bene pensarci un altro po visto il rendimento dei due. Eppure, per 'ideologie', quella Roma lì ricorda (si spera con migliori fortune) la Roma di oggi. Dopo il fallimento con Bianchi, la panchina giallorossa finì sotto la guida del rivoluzionario per antonomasia: Zeman Zdenek. Un punto di rottura con tutto ciò che circondava Trigoria: il boemo arrivava dalla Lazio, applicava un calcio integralista e in controtendenza con la cultura italiana, raffigurava lantagonista ai poteri forti del Nord. Insomma, non fu ribattezzata una rivoluzione culturale ma gli assomigliava decisamente.
Nella sua prima campagna acquisti, il nuovo tecnico pescò anche in Spagna e quella squadra rimane l'unica con più di uno spagnolo in rosa. Gli effetti, tuttavia, non furono quelli sperati. Uno, Helguera, si trovò catapultato in una dimensione che si scontrava col suo ritmo flemmatico. Laltro, Cesar Gomez, probabilmente dedicherà un pensiero a Zdenko prima di coricarsi per tutte le sere del resto della sua esistenza. Leggenda (neanche troppo fantasiosa) vuole che il difensore si ritrovò obiettivo della Roma per errore. Era tale Pablo Paz, compagno di squadra nel Tenerife, il desiderio di Zeman dopo che, in una sfida della stagione precedente, aveva mandato in bianco per 90 il laziale Casiraghi. Nel frattempo, Gomez aveva già firmato un quadriennale da un miliardo e mezzo a stagione. Salutò il Tenerife in lacrime, più o meno la stessa reazione emotiva che ebbero i tifosi giallorossi durante le sue 3 apparizioni. Al quintetto si aggiunge anche Luis Mirò Doñate, unico predecessore connazionale di Luis Enrique, sulla panchina giallorossa nel 63-64.
Dunque, nonostante laffinità cromatica, i giallorossi non si sono mai ritrovati a cantare Y viva España per le strade del centro. A 8 anni di distanza, gli spagnoli ci riprovano con presupposti tutti diversi. Buona fortuna. Anzi, mucha suerte.
Mirko Bussi